Sembra una filastrocca ma è ciò che potrebbe davvero accadere, se dal 3 ottobre un numero significativo di mamme e papà dei bambini che frequentano le scuole primarie a Torino, decideranno, com’è loro diritto stabilito dalla Corte d’Appello, di mandare a scuola i propri figli con il classico baracchino.
Quello che un tempo gli operai si portavano in fabbrica, per mangiare di corsa nella pausa pranzo e tornare subito a lavorare.
Insomma, davvero la mensa non ci sarà più?
E perché siamo arrivati a questa situazione?
Ecco i detti e non detti e perché la scelta di rinunciare al pasto in comune è perdente per tutti, a partire dai bambini.
La storia (ipotetica) di Micaela
Vi presento Micaela. Lei non esiste davvero o forse sì, insomma è il frutto della mia potente immaginazione. Micaela ha 8 anni e frequenta una scuola elementare nel comune di Torino.
E’ il 2013 e a Micaela piace andare in mensa, è il suo momento preferito, la pausa dalle lezioni e se è fortunata riesce a stare seduta vicino ai suoi amici e a passare insieme un pò di tempo a ridere e scherzare.
A casa mamma cucina poco, non ha molto tempo, lavora come una matta, così dice sempre lei. Per Micaela è un bene che almeno un pasto al giorno sia cucinato per lei, bilanciato, nutriente, che può consumare insieme agli altri bambini. Eh ma non sempre le cose che ci sono in mensa le piacciono, però la maggior parte delle volte sì.
Anche suo padre è sempre via, lei non sa di preciso dove, lavora anche il sabato e la domenica.
Quando la scuola è chiusa spesso Micaela mangia da sola, lei è grande e sa prepararsi qualcosa, i suoi genitori si fidano di lei. Solo che lei non ha molta voglia e finisce spesso con il mangiare il solito panino. Ogni sabato, ogni domenica. E’ così da settimane ormai!
Mamma ogni tanto prepara, ma che bello quando è lunedì e la domenica sera può riposare, perché l’indomani a pranzo Micaela mangerà alla mensa!
L’amica di Micaela si chiama Federica
La sua amica Federica, che ha 8 anni come lei, invece a casa mangia poco e male. I suoi genitori mangiano una volta sola al giorno e non sono mica a dieta! Anche se Federica a volte dice così perché si vergogna.
Non mangia carne da chissà quanto tempo e la sera si abbuffa di pasta al sugo, qualche volta insalata.
In mensa Federica mangia la cotoletta impanata. La purea d’accordo è una schifezza, ma il resto, le piace un sacco. E poi torna a casa con la pancia piena. A Filippo invece la cotoletta non piace. Cioè a lui piacerebbe, ma a casa mangia solo verdure e spesso in mensa le verdure sono troppo poche e, come dice sempre Filippo, un pò asfittiche.
Ma a un certo punto aumenta il costo dei pasti
Un bel giorno la mamma torna a casa arrabbiata. Ha saputo che a scuola la mensa aumenterà. Deve pagare più di mille euro all’anno, è più di uno stipendio mensile. Ha spiegato a Micaela che è come se per un mese non ricevessero lo stipendio. Micaela ha capito ed è preoccupata, non sa bene come si può fare ma certamente sa che per un mese non dovrà più chiedere di comprare nulla, una specie di fioretto.
Ma non basta mica.
La mamma è arrabbiata e insieme ad altri genitori si rivolge a un avvocato. E scopre che il Comune lo può fare, può aumentare il costo dei pasti in mensa per i bambini della scuola elementare.
Lo fa in base alla fascia di reddito ISEE, ma è pur sempre un aumento, peraltro, secondo le mamme e i papà, nemmeno equilibrato dalla qualità. Insomma, i bimbi si lamentano sempre più spesso dei pasti e i costi aumentano.
Qualcosa non funziona
Anche le lavoratrici della mensa si lamentano. Sono rimaste in due più uno in cucina. E i bambini sono tanti, a volte le pietanze sono un pò scotte.
Così i genitori si rivolgono al Tar, per contrastare l’aumento delle tariffe. Ma il TAR dice che il Comune ha ragione, può aumentarle quelle benedette tariffe. La mamma di Federica e quella di Micaela sono disperate. Facendo due conti, nè l’una nè l’altra possono pagare la retta. E la scuola dice che alle figlie non darà loro da mangiare se non lo faranno.
Una brutta situazione.
Allora decidono un altro ricorso. Questa volta sono davanti alla Corte d’Appello con una domanda diversa, si può dire “a trabocchetto”. Passino gli aumenti, ma è un obbligo frequentare la mensa?
O Micaela e Federica possono portarsi il pasto da casa?
La Corte d’Appello ci mette un pò ma alla fine decide che portarsi il pasto da casa è un diritto.
Così Micaela e Federica da lunedì 3 ottobre potranno mangiarsi un bel panino. O quello che c’è nel baracchino, sperando che mamma abbia avuto tempo di cucinare. Ed io mi chiedo: è davvero una vittoria?
Ma no, proprio no. La socialità, l’educazione alimentare, la varietà e l’accessibilità di un pasto equilibrato e bilanciato è un valore inestimabile.
La battaglia di questi genitori contro gli aumenti è comprensibile, ma come si suol dire
Quando si mira per colpire, bisogna mirare al bersaglio giusto
Chi ci perde e chi ci guadagna
Non ci guadagna nessuno, forse la panettiera.
Invece c’è molto da perdere se questa storia paradossale si avverasse.
- Rivendicare la possibilità di portarsi un panino o che per esso non è libertà è rinuncia a ciò che in molti anni di battaglie si è conquistato per il benessere dei nostri figli.
- Rinunciare alla mensa significa decretare la possibile riduzione dei pasti e conseguentemente ridiscutere l’appalto (in parole povere, licenziamenti per quelle lavoratrici che fino a ieri servivano la minestra a Micaela, Federica e a tutti gli altri).
- E’ mettere a rischio la salute dei bambini, che in mensa seguono un regime alimentare bilanciato e preciso, studiato da un professionista per il loro benessere
- E’ aprire la strada al pasto consumato di fretta su una sedia o in un locale, magri anche adeguato, con qualcuno che controlla che non ti ingozzi, come se fossi in un collegio. Ogni bambino il suo pasto speciale, solo con la sua (triste) libertà quotidiana.
- E’ distinguere tra bambini. Io mi ricordo, figlia di operai, la mia merenda. La odiavo, era pane burro e zucchero. Altri avevano la brioches, molto meglio, ma comprarla tutti i giorni…. una vera impresa. Vi ricordate i Consigli dei Delegati? Discutevano e risolvevano i problemi, un pò quello che dovrebbe accadere oggi.
Lo so che i vostri figli sono più uguali degli altri, ma pensate ai bambini degli altri.
E sapete alla fine chi ci perde? La la società, quella stessa che ha lottato tanto perché il diritto alla ristorazione scolastica collettiva a prezzi popolari fosse garantita a tutti a prezzi accessibili a tutti.
Allora, Cucù, la mensa a scuola non c’è più?
Speriamo di no, è ovvio. Ma mi pare utile suggerire di fermarsi e riflettete.
Lasciamo alla Corte il proprio mestiere e diciamo forte e chiaro che la mensa scolastica deve poter essere accessibile a tutti.
E se qualcuno pensa ancora che la scuola sia solo mandare a memoria un pò di matematica e imparare a leggere e a scrivere, ricordategli che lo spazio in cui i bambini sperimentano la realtà e imparano a muoversi nella nostra società è proprio la scuola.
Insegniamo pure le differenze, ma educhiamo a riconoscere e valorizzare le cose comuni. Come un pasto consumato ridacchiando e sbrodolando, magari su un grembiule che poi, alla sera, si fa in fretta a mettere in lavatrice e via.