La democrazia ai tempi del referendum
Referendum, elezione diretta del Presidente della Repubblica, del Sindaco, consultazioni on line, negli ultimi anni non sento parlare d’altro, come se improvvisamente avessimo riscoperto la gente, il popolo, come unico depositario della saggezza comune, della verità e di soluzioni per una democrazia vacillante, in primis nei contenuti.
Questo allargamento della partecipazione formale però è inversamente proporzionale alla risposta del popolo, che fa crescere l’astensione, la sfiducia, la distanza tra rappresentanti e rappresentati.
Insomma, qualcosa non funziona. Sembra che non basti sollecitare l’immaginario collettivo con formule populiste dalle nefaste conseguenze se poi chi governa decide da solo. Occorre realizzare qualcosa che sia in connessione con i bisogni profondi delle persone, una democrazia piena e qualche proposta di contenuto, che dia una speranza vera alle persone, una visione per il futuro.
Basta un popolo per fare una democrazia?
Non basta un confine per fare uno Stato, nè un titolo per fare una nazione. E forse non basta un popolo per fare una democrazia. Sembra questo il messaggio che le persone lanciano, anche rifiutando la partecipazione alla vita democratica o rinunciando al voto che in fondo è l’unico strumento che abbiamo.
C’è bisogno di qualcosa di più.
E’ una riflessione più guidata dalle immagini e dalle sensazioni che dagli approfondimenti politici o dagli articoli di giornali, mi rendo perfettamente conto. Quelli però li avrete già letti o li leggerete, se ne avrete voglia.
Io vorrei tornare indietro di qualche anno (più di qualche anno :), a quando nella mia testa di giovane studentessa si è formato il concetto di democrazia matura.
Siamo nell’illuminismo francese de Lo spirito delle leggi di Montesquieu e poi al Contratto Sociale di Rousseau. Simpatie forse o qualcosa di più, ma sono immagini su cui mi viene voglia di indagare.
Certo allora la parola popolo mi sembrava stonata, capivo di più il termine cittadinanza, come forma attiva di partecipazione, come scelta, non come concessione.
Contratto sociale e regolazione della relazioni tra cittadini per mezzo dei governi. La Repubblica, informata al principio di virtù.
Cose obsolete, insomma.
Teorie che auspicano classi dirigenti capaci di rappresentare i cittadini e che possibilmente ne soddisfino i bisogni, con processi di partecipazione e rappresentanza regolati da norme certe e da principi di trasparenza.
Dove per rappresentanza io intendo la capacità di interpretare bisogni che occorre conoscere, non sollecitare la pancia delle persone, che a quello ci pensa già la miseria.
Capacità di comporre interessi divergenti tra chi produce e lavora e chi massimizza il profitto, di giovani con un futuro tutto da costruire e anziani con un passato cui restare aggrappati, tra uomini e donne che fanno fatica a conciliare, di ricchi e meno ricchi che stanno sempre peggio, nell’indifferenza dei più.
Che alludesse a questo Montesquieu quando richiamava la virtù come qualità fondamentale delle repubbliche?
Democrazia non è solo rappresentanza diretta
Oggi la parola democrazia sembra declinarsi come forma di rappresentanza diretta, anche per mezzo dei referendum. Apparentemente sembriamo protagonisti della nostra storia, ma lo siamo davvero?
Abbiamo davvero più leve o ne abbiamo di meno?
E che fine ha fatto il Parlamento? Designati dai partiti e non scelti dal popolo che tanto si vuole valorizzare, i fulcri della democrazia rappresentativa sembrano con le armi spuntate. Un pò duro svolgere il lavoro di mediazione e composizione in un contesto come questo… Il Parlamento conta sempre meno, se non per votare ripetute fiducie.
Non è che il ricorso alle forme di partecipazione diretta sia il segno tangibile di una crisi materiale della democrazia rappresentativa de facto e de jure?
Prendete il caso Gran Bretagna.
Ecco qui la misura della distanza giunge al suo maximum, e non penso solo alla Brexit, ma alle strumentalizzazioni ( e alle speculazioni finanziarie) che intorno ad essa si sono raccolte, anche fuori dal Regno Unito (che tanto unito non sembra, a giudicare dalle reazioni, in primis della Scozia).
Un processo che va verso la polverizzazione, verso l’autodafé, piuttosto che l’unità di cui ci sarebbe bisogno.
Vince l’idea che da soli è meglio e a suon di nazionalismi muore l’idea di un collettivo che ancora non è stato costruito.
E c’è una tale leggerezza nell’assumere queste decisioni…. ho sentito alcuni inglesi intervistati che hanno votato per il leave, per uscire dall’Europa. Sembravano aver appena marinato la scuola tanto erano soddisfatti. Ma sapere cosa li aspetta, cosa ci aspetta… beh è altra storia.
Intanto i potenti, da una parte e dall’altra, prendono tempo. Comunque sia andato il voto, ne vedremo ancora delle belle. A proposito di democrazia diretta e di scelte.
Dicevamo cittadinanza
L’Europa ha bisogno di valori comuni, valori sui quali ancora poco o nulla si è detto. Voglio portare un esempio.
Perché proprio non dimentico che qualche giorno fa, sostanzialmente sotto silenzio, si è compiuta ai confini tra Turchia e Siria una strage di civili che fuggivano dalla guerra per opera si suppone della polizia turca.
Hanno sparato alzo zero a donne e bambini, lo hanno denunciato ONG e l’UNICEF in Italia, ma non se ne è parlato molto. E ancora in queste ore, ancora in Turchia, attentati kamikaze con al momento in cui sto scrivendo 36 morti. E noi ci dividiamo?
Qualcosa bolle ai confini dell’Europa che un po’ ammettiamolo, traballa.
Ci tengo a sottolineare che la Turchia è uno di quei paesi che da tempo è in predicato di entrare nell’Unione Europea in cerca d’autore. Mi vengono i brividi.
Come se ne esce?
Non so se gli strumenti della democrazia diretta da cui siamo partiti nella nostra riflessione siano la strada maestra per uscire dal guado, ma di certo lo siamo noi.
Dobbiamo tornare ad uscire dai nostri rifugi in cui nel tempo ci siamo annidati, per mille buone ragioni.
Se non accadrà, ci passeranno sopra tanti altri referendum e forse li bucheremo ancora per ignavia, per demoralizzazione, per ignoranza, per mancanza di fiducia. Forse li trasformeranno in plebisciti di antica memoria, e allora avremo toccato il fondo.
O forse no. Forse potremmo trasformarli in quel segnale di forte volontà di cambiamento di cui c’è bisogno. Sul lavoro, sui diritti, sulla democrazia. Facciamoci sentire.
Serve una partecipazione massiccia, serve esserci, serve segnalare che siamo usciti dai nidi-prigioni dell’indifferenza.
Lasciar correre sta generando tutto ciò, forse è il caso di riprendere in mano le briglie del nostro futuro.
Forse possiamo ritrovare le radici della nostra storia comune e farle rivivere.
C’è qualcuno a cui questa demoralizzazione, questa lontananza o ignoranza, serve. Non facciamo che le cose gli riescano più facilmente del dovuto.
Facciamo argine.
Non permettiamo a nessuno di dirci ciao ciao, popolo.
Rendiamo benvenuta la cittadinanza.
4 Comments
Juana
Quello del dividerci in un momento storico in cui si dovrebbe piuttosto rimanere uniti e’ un pensiero che ho avuto anch’io dal momento in cui udii per la prima volta del Brexit. Fondamentalmente, al momento ne abbiamo troppe che bollono in pentola per riuscire a star dietro a tutte e a sistemare tutto. Mi chiedo se, magari, non c’era modo di evitare di arrivare fino a questo punto prima che partisse la prima scintilla del dissenso. Forse no, in fondo e’ nella nostra natura essere irrequieti e mai contenti di cio’ che abbiamo.
Elena
Ciao Juana, benvenuta nel blog e grazie per il tuo commento. La cosa che mi colpisce di più è che in realtà si è scelto di uscire da qualcos’altro che ancora non si era pienamente conosciuto. Uk non è mai definitivamente entrato in Europa e a quanto pare non ne uscirà nemmeno nel breve, visto che non formalizza l’uscita…. Un modo c’era era non coltivare subdolamente le ideologie naxionaliste e xenofobe pensando di poterle controllare. Questa brexit non è per un progetto diverso e se vuoi più ambizioso. Ma è contro gli immigrati, gli altri, c’è una disperatamente volontà di ognun per sé. Questo mi spaventa e questo pagheremo caro. Se continueremo a lasciarci decidere, ne pagheremo il prezzo. Tu vivi là, non è vero?
marina serafini
Come dici tu c’è bisogno di unione, ma di una unione diversa da quella che ci hanno imposto. Una europa unita deve tener conto delle differenze e rispettare, gestendole in modo intrlligente, le diversità. In questi anni abbiamo visto accadere fenomeni incomprensibili (come le merci buttate e distrutte per rispettare “le quote comunitarie”, o tutte le erogazioni di finanziamenti concesse senza la verifica effettiva del loro utilizzo). Forse un federalismo potrebbe funzionare: io non ho mai creduto nella centralizzazione della gestione dei servizi. Sarà che ho lavorato per anni come supervisore nazionale di una azienda italiana che si voleva per forza “roma-centrica”, senza tener conto di quanto fosse diverso il modo di pensare e di vivere ( con relative necessità ed esigenze) da una regione ad un’altra.
Come dici giustamente, la nostra diversità fa la nostra ricchezza, ma il modo superficiale con cui la gestiamo ce la fa vivere come un problema.
Omologazione, identificazione, la legge é uguale per tutti (e per alcuni ancora di piu, scriveva Orwell). ..un pensiero che mi rimanda allo scarsi senso di realtà.
L’Austria dichiara che se la Turchia entra in Europa, voterà per uscirne. La Turchia agisce secondo i suoi modi.Non é bello escluderla, ma non può entrare così. Tutto si riduce ad una riflessione su razzismo e xenofobia… Ma i diritti umani, quelli di tutti, vengono davvero rispettati?
Io vedo demagogia e vedo molti interessi economici…E noi, qui, a parlare di umanità!
Elena
Carissima Marina, benvenuta nel blog! Sono molto in sintonia con questo commento. Stamattina ho appreso che l’Europa sarebbe intenzionata a stanziare 150 miliardi per salvare le banche (quelle stesse che hanno truffato i risparmiatori). Dopo aver detto no a risorse per salvare il lavoro e il reddito delle persone, arriva questa “apertura”. Davvero si pensa che sia questa l’idea di Europa che cerchiamo? Marina, il dato di realtà è essenziale, hai ragione. Ma anche l’umanità,come ci solleciti. Altrimenti l’Europa diventa un’altra istituzione che opprime i popoli, non li solleva.