Comunicare, secondo me

Manifesto della comunicazione non ostile

La ferita provocata da una parola non guarisce

 

Non può essere un caso che proprio oggi io abbia deciso di scrivere intorno al ruolo delle parole nella comunicazione e in particolare delle parole ostili.

Esattamente un anno fa ero sullo stesso argomento, pubblicando l’articolo Le parole che fanno male.

Era il 4 novembre 2016.

Ricordo molto bene quel momento, che è perfettamente riassunto in questa frase che scrissi in allora:


Eh sì, le parole che fanno male non dovrebbero mai essere pronunciate, né ascoltate. 

Semplicemente perché non servono a nulla, fanno male e basta. 

Specie quando sono pronunciate da persone cui vuoi bene


Oggi desidero parlarvi di un documento che ho recentemente scoperto e che vale la pena di conoscere a fondo: Il manifesto della comunicazione non ostile.


Il manifesto della comunicazione non ostile


Manifesto della comunicazione non ostile

 

Si tratta di un progetto che il sito Parole Ostili ha lanciato all’inizio del 2017.

Un gruppo di persone ragionano intorno al ruolo delle parole e in particolare sulla spirale di dolore che possono generare.

Per questo si sono incontrati e hanno ideato, promosso e lanciato una sottoscrizione intorno a un’idea molto semplice e proprio per questo molto efficace a mio avviso.

 

Il Manifesto ha l’ambizione di essere questo: l’occasione per ridefinire lo stile con cui stare in rete e magari diffondere il virus positivo dello “scelgo le parole con cura”, perché “le parole sono importanti”


I 10 punti del Manifesto


  1. Virtuale è reale

    Dico e scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona. Ho scritto su questo argomento qui.

  2. Si è ciò che si comunica

    Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi rappresentano. Leggi cos’è la comunicazione efficace

  3. Le parole danno forma al pensiero

    Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso.

  4. Prima di parlare bisogna ascoltare

    Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura. Questo è ciò che mi ha insegnato il silenzio.

  5. Le parole sono un ponte

    Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.

  1. Le parole hanno conseguenze

    So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi. Le parole fanno male, ecco quelle che feriscono di più e perché.

  2. Condividere è una responsabilità

    Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.

  3. Le idee si possono discutere.
    Le persone si devono rispettare

    Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare.

  4. Gli insulti non sono argomenti

    Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.

  5. Anche il silenzio comunica

    Quando la scelta migliore è tacere, taccio. Ecco il mio silenzio


Il video di presentazione del Manifesto


 

Mi accorgo che moltissimi di questi punti sono già stati inconsapevolmente oggetto di mie riflessioni.

Non potevo non aderire a questo progetto, che ora propongo anche a voi!!

A proposito… Il Manifesto della comunicazione non ostile si può sottoscrivere. Fatelo cliccando su questo link.


Parole pro versus parole contro


Chi di noi non porta addosso una ferita più o meno grande, più o meno dolorosa, fatta alla nostra autostima, alla nostra identità, alla nostra sensibilità, da parole sgradevoli, ostili, ferenti?

Parole contro di noi e non per noi, utilizzate per insultare, avvilire, sottomettere, umiliare.

Quando basterebbe così poco per costruire, qualcuno distrugge, in un attimo.


Le parole sono ponti


Ci stavo riflettendo in questi giorni a proposito della violenza, tema su cui ogni tanto mi soffermo. Ma c’è bisogno di allargare il cerchio, di cercare anche altrove le cause, i prodromi, le micce che scatenano la rabbia.

 

Leggi anche: Come tenere la rabbia lontano da noi e vivere meglio

 

Capita così spesso nel quotidiano di ricevere o di assistere al pronunciamento di parole ostili, che quasi non ci facciamo più caso.

Parolacce, insulti, specie leggendo certi post sulla rete.

Sono frasi così rapide e ormai comuni, troppo comuni, tanto che ormai ne siamo quasi assuefatti.

Questo è il primo problema. Come possiamo tenerci alla larga da qualcosa cui non facciamo nemmeno più caso?

Magari ci infastidisce, ma quanti di noi sono disposti a fare qualcosa?


Un percorso sui temi del Manifesto


Credo che il Manifesto meriti discussione e diffusione.

Sappiamo bene quanto spesso le ferite provocate dalle parole brucino più di quelle fisiche.

Dunque le parole hanno un ruolo nel circuito della violenza, non solo in quella verbale.

Dividono, classificano, giudicano, mettono in disparte.

Le usiamo inconsapevolmente.

Basta un attimo di rabbia inespressa e parte qualcosa di cui magari ci pentiamo subito, ma che ha già raggiunto l’altro e magari, lo ha già profondamente ferito.

O un giudizio ingiustamente negativo, un insulto gratuito, un aggettivo sbagliato, che invece di valorizzare ciò che c’è di buono in noi, ne mette in luce i difetti, le storture.

E poi insulti, cattiverie, parole crudeli e malvagie. A chi giovano? A nessuno! Né a chi le pronuncia, né tanto meno a chi le riceve.

Per questo, visto che fa parte della comunicazione che vorrei, propongo un viaggio attraverso i punti del Manifesto così come li cogliamo nella nostra società.

Un viaggio verso la consapevolezza di cosa siamo, come comunichiamo e cosa stiamo costruendo per il futuro.

 

Siete consapevoli della violenza che generano le parole? Riconoscete quelle ostili ? Siete capaci di praticare l’ascolto?

 

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16 Comments

  • Sandra

    Io vedo che spesso parole sbagliate generano litigate toste, poi mi sento dire “non intendevo dire quello”, ma erano state usate parola dal chiaro significato per cui era difficile anzi impossibile fraintendere.
    Nella foga della discussione capita di dire cose che feriscono, non si sta attenti, non ci si rende conto di quanto danno si possa fare con la parole sbagliate, mi ci metto in mezzo anch’io, eh. ma non credo di essere il caso peggiore tra le mie conoscenze.

    • Elena

      Effettivamente Sandra ho l’impressione che la violenza verbale sia diventato un tratto comúne del linguaggio quotidiano. Fa parte del modo spiccio e derespindabilizzato con cui dialoghiamo. L’altro giorno un tizio a momenti mi prende sotto sulle strisce. Ho avuto la tentazione di lasciare andare qualche rotonda imprecazione, ma poi mi sono detta : meglio parlare con calma, spiegare il problema. Risultato? Mi ha mandato a quel paese. In fondo la colpa era mia, cosa ci facevo in giro a passeggio sulle sue strisce pedonali preferite?

  • Marina

    1) Sì, io sono consapevole. Quando le subisco, le violenze verbali, reagisco con lo stesso metro: un errore che non mi perdono, ma al quale non so sottrarmi. In genere ho una tolleranza elevata, ma se si supera il limite divento peggio di chi mi ha provocato.

    2) sai, riconoscerle è facile: il problema è la difficoltà di interpretarle in un mondo, quello virtuale, in cui puoi solo scrivere e aiutarti con qualche faccina. Ma una frase è piena di significati: può essere ironica, può essere scherzosa e in rete è più facile leggere in modo distorto un’intenzione, che darle il giusto peso.

    3) come ti dicevo prima, io sopporto e sorrido, quello sempre. Lo faccio per coerenza con quello detto poco sopra: non ti conosco, non so capire quando parli sul serio o no, cosa vuoi dirmi veramente, allora, se penso di interpretare male io qualcosa approfondisco oppure, se non mi interessa, giro i tacchi e cambio semplicemente strada. Ho molta pazienza, ma la perdo in un colpo solo se tirata allo stremo.

    Questo manifesto è bello: lo avevo già visto nel post di Luz, che ha affrontato il tema da un altro punto di vista che mi è piaciuto al pari di questo.

    • Elena

      Non conosco Luz e non ho visto il suo post, rimedierò! Grazie per aver risposto alle mie domande. Uno dei miei temi preferiti è la reazione alle azioni degli altri. A proposito del come, intendo. È una questione di strategia, mi interessa molto… Sul punto 2 mi è capitato l’anno scorso. Un gigantesco e purtroppo definitivo scazzo per una faccina da parte mia innocua ma vissuta in modo completamente differente dal mio interlocutore… Peccato non fosse un tipo come te…

  • Barbara

    Tu mi leggi nel pensiero, ammettilo!!! 😀
    Ci stavo pensando proprio in queste settimane. Soprattutto da chi vuole scrivere è richiesta particolare attenzione all’uso delle parole. La rete poi non perdona, non solo perché ha memoria, ma proprio perché non sai dove si nasconde il reale e il virtuale (esclusione per gli informatici, che per forza di cose lo sanno eccome).
    Alle tue domande:
    -Siete consapevoli della violenza che generano le parole?
    Assolutamente. Parole date in pasto ad un bambino possono generare danni irreparabili, per prima cosa. Poi c’è la frustrazione e la rabbia che sicuramente non aiutano, ma le parole peggiori, quelle che non si perdonano, sono quelle calcolate. Lì vale la legge del tre. Se l’hai fatto per ferire, stai sicura che ti tornerà indietro tre volte nel male.
    -Riconoscete quelle ostili o sono ormai parte della nostra quotidianità?
    A parte quando guido (credono di vedere una bionda al volante e di poterle tagliare la strada senza che se n’accorga… ), non sono parte di me. Sebbene la rabbia mi faccia sragionare (caratteristica ereditata pari pari dal papà), mi bastano 5 minuti per ritornare in me e trovare un’alternativa pacifica. Il mio entusiasmo prevale sempre.
    Riconosco quelle ostili dalla puzza. Però mi fanno anche pena: che vita grama deve avere una persona per passare il suo tempo a generare parole ostili?!
    -E come reagite quando le ricevete?
    Poker face. A volte mi viene pure da ridere. Se quelle persone indossassero le mie scarpe, saprebbero quanti fatti davvero gravi sono passati per la mia vita e che ho già speso tutte le lacrime possibili. Mi è rimasto solo l’entusiasmo. Smisurato. E dunque, cosa vuoi che mi facciano quattro parole ostili? Niente. Perdono solo il loro tempo. (Però per altri non è così, e allora le parole ostili vanno comunque combattute)

    • Elena

      Ebbene sì Barbara, sono come la Maga Magó, prevedo tutto e leggo nel pensiero! Che bel carattere forte, forgiato sulle difficoltà ma adesso, quasi intoccabile! Io ammetto di essere piuttosto vulnerabile. Ma ci sto lavorando, in fondo, come scrive Rosalia propio in questi giorni giorni e come ho scritto io più volte, la scrittura è uno strumento di crescita e guarigione sotto molti punti di vista…

  • rosaliapucci

    Hai messo in luce uno dei problemi più grossi del nostro tempo, complimenti! Mai come oggi la comunicazione si è potenziata grazie a Internet e ai media. Purtroppo, però, molti hanno difficoltà a gestire la comunicazione virtuale e si lasciano andare a insulti e offese di ogni tipo. Si assiste così a una regressione sostanziale del grado di civilizzazione evolutasi nel tempo grazie proprio al linguaggio orale e scritto. Un paradosso.
    Detto questo, rispondo volentieri alle tue domande.
    1- Sono molto consapevole degli effetti drammatici delle parole. A un seminario ho scoperto che alla base di molte psicopatologie ci sono giudizi genitoriali svilenti: “Mi hai deluso- non avrei voluto che nascessi- se tornassi indietro non ti farei nascere etc…”. Anch’io non sono esente dal pronunciare parole ostili, salvo pentirmene subito.
    2- Le parole ostili sono quelle pronunciate solo con lo scopo di ferire, colpire, sconfiggere, seppure a livello dialettico, l’interlocutore. Scatenano rabbia e frustrazione e, come dici tu, non si dimenticano.
    3- In genere non sono tollerante rispetto alle offese gratuite. Ma ho imparato ad andare oltre. Per esempio ho capito che le parole ostili pronunciate da un figlio adolescente non hanno quasi mai un fondamento, quindi è deleterio rispondere colpo su colpo e infantile rimanerne offesi.
    Trovo il manifesto un documento molto importante, l’ho firmato e lo condividerò, grazie Elena ^_^

    • Elena

      Sebbene non sia recentissimo, ne parlo ora xche me l’ero perso . Lo trovo molto interessante e proverò a declinarlo e a leggere ogni punto dalla prospettiva della tana delle Volpi . Mi hai fatto riflettere sul ruolo educativo delle parole. Non solo feriscono ma creano blocchi. Macigni molto pesanti da spostare…. Bisogna avere molta consapevolezza ed equilibrio per lasciarle andare…

  • Maria Teresa Steri

    Avevo letto il manifesto in un altro post e mi era sembrato una bella sintesi di quelle che dovrebbero essere delle linee guida per la comunicazione reale e virtuale. Ma nel virtuale è tutto così complicato… Proprio pochi minuti fa mi sono resa conto di quanto sia problematico essere onesti senza ferire, molto di più se non hai gesti, tono della voce, ecc. a mitigare le parole. Ovvero quando lo scambio è solo via mail. Quanti fraintendimenti! Direi che le tue riflessioni sono capitate proprio in un momento in cui mi sento quasi demotivata dal portare avanti certi rapporti.
    Venendo alle tue domande.
    1) Siete consapevoli della violenza che generano le parole? Penso di essere abbastanza consapevole, pure con i limiti di cui dicevo sopra.
    2) Riconoscete quelle ostili o sono ormai parte della nostra quotidianità? Le riconosco fin troppo, purtroppo. Non credo siano parte della quotidianità, ma è pur vero che usiamo molta leggerezza con le parole a volte.
    3) E come reagite quando le ricevete? Mi ritraggo o polemizzo, non ho una via di mezzo. Nella vita virtuale mi ritiro perché odio le polemiche e sono fin troppo consapevole di quanto possano degenerare. Con chi ho confidenza invece tendo a essere polemica.

    • Elena

      Buon Giorno Maria Teresa, grazie per aver risposto alle mie domande. Il Manifesto mi ha colpito perché contiene molte chicche interessanti che sintetizzano, come giustamente sostieni, la questione. Va a mio avviso approfondito, vorrei proprio tentare di farlo.
      La comunicazione sta subendo una pesante virata: da verbale, con una serie di sensi “attivi” e disponibili per chiarire il nostro messaggio, a “social” o meglio virtuale, in cui davvero tutto punta sullo scritto, l’uso della punteggiatura, del ritmo. Insomma, molto più che in un romanzo, occorre poter trasmettere con i soli segni grafici o al massimo le faccine ciò che si sente in quel momento.
      Quando si tratta di elogi, di cui è pieno il mondo fammi dire, non ci sono problemi. Possono essere scritti con errori ortografici grossolani ma saranno sempre ben accetti, perché ci confermano.
      Al contrario, una critica sarà sezionata come un pezzo di carne, al fine di trovarci un errore, una incoerenza, qualcosa che la indebolisca. Chi ci faccia pensare quanto è stupido chi ce l’ha consegnata.
      Vedi? Questo è un esempio pratico dell’uso tagliente della parole, sul quale ho bisogno di riflettere anche io, e molto.

  • Grazia Gironella

    Apprezzato e firmato. Sono molto sensibile all’argomento, su cui rifletto spesso, perché mi sento parte in causa in entrambi i ruoli, vittima e carnefice. Mi sono convinta nel tempo che non esista qualcosa come una parola neutra, e nemmeno un pensiero o un’azione. Tutto genera vibrazioni positive o negative che si spandono intorno a noi come le increspature sulla superficie del lago dopo che abbiamo gettato un sasso. E’ importante sentirci responsabili degli effetti di ciò che diciamo, anche se non li conosceremo mai fino in fondo.

    • Elena

      Vittima e carnefici, mi sembra un’eccellente sintesi! E’ proprio così, le vibrazioni di un sasso gettato. Parlo di consapevolezza perché mi sono fatta l’idea, osservando me stessa e gli altri, che siamo così concentrati su noi stessi che una volta che ci siamo “liberati” di qualcosa attraverso una parola o una serie di parole, poi ce ne disinteressiamo, ignari dei reali effetti sull’altro. Siamo forse troppo autoreferenziali?

  • Banaudi Nadia

    Le parole feriscono quanto i coltelli, non c’è dubbio. Se poi sono dette con l’intenzione sono una vera arma carica.
    Ho letto il manifesto girovagando su internet, ma nel post hai portato a riflettere meglio sull’argomento.
    Per rispondere alle tue domande sono assolutamente consapevole della violenza che generano le parole e proprio per questo cerco di sceglierle con cura. Detesto le parolacce, le trovo irritanti e la dimostrazione della parte più buia e rabbiosa umana. Riconosco quindi immediatamente, e non solo dal tono, quelle ostili che purtroppo fanno parte della nostra quotidianità. Non solo nella tv, nel web, ma anche nei discorsi per strada quelli appena sussurrati dei ragazzi. Solitamente reagisco con un fastidio che mi si legge chiaro in volto. E’ come se venissi schiaffeggiata gratuitamente. Non che mi ritenga immune dal provare sentimenti simili, o pensieri, ma credo sia importante il contesto. Ormai si scende nel volgare immediatamente, prendendosi licenze che invece andrebbero di molto limitate. Non so se ne faccio più un discorso di rispetto o di etica, ma di certo io le persone che usano una comunicazione tanto ostile le tengo il più possibile distante da me.

    • Elena

      E questa è una buonissima strategia, Nadia. Io però lavoro in un contesto in cui l’aggressività (non si tratta di questo, in fondo? Ci pensavo adesso…) la fa da padrona. Tutti si sentono minacciati (non è terribile) almeno è la mia impressione, e a volte estendo questa lettura anche alla mia quotidianità diciamo così privata.
      E’ difficile tirarsi fuori. Allora ho pensato di focalizzare, comprendere e poi provare a individuare delle strategie di reazione. Questo è ciò che faccio sempre di fronte a una necessità, magari su questo tema però possiamo aiutarci un po’ tutte (i miei amici maschietti latitano un po’, recentemente 🙂 )

      • Banaudi Nadia

        Nel tuo campo è dura davvero. C’è chi lotta per diritti esistenziali e altro che tirare fuori l’aggressività, anche se in alcuni contesti è del tutto comprensibile, è un po’ come la guerra: sai esattamente dove porta, a contare vittime. Certo le parole feriscono dentro, ma le ferite interiori non guariscono tanto facili. Da sindacalista quale sei immagino bene che avrai fatto l’abitudine a certe situazioni e quando parli di strategie di reazioni divento curiosa.

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