Memorie dal mio quartiere
Comunicare, secondo me

Memorie del mio quartiere 

Memorie del mio quartiereUn pomeriggio di un inverno troppo mite per essere considerato tale, stavo prendendomi cura dei miei gerani, che da tempo si sporgono rinsecchiti verso la strada dal mancorrente del mio balcone.

Dall’altro lato della strada un uomo vestito di blu suona a un portone, lo scorgo solo con la coda del’occhio.

Continuerei ad occuparmi dei gerani, se a un certo punto un altro uomo non si sporgesse dal balcone di fronte e rispondesse alle domande del tale vestito di blu, con un italiano stentato.

Vuole sapere come si chiama e in che anno è nato. Dal balcone l’uomo risponde senza esitazioni.

“Va bene così” – dice l’uomo e poi se ne va, verso un altro portone.

Chi è l’uomo con il taccuino?

Non avevo fatto caso che l’uomo con il taccuino fosse un vigile urbano in servizio, chissà cosa stava verificando

Così chiudo la porta finestra e torno dentro, al calduccio. Ma qualcosa mi frulla nella testa e a un tratto capisco cos’è. Un vigile urbano, ecco cosa c’era di stonato nella mia via, nel mio quartiere… ..un vigile urbano!

Pensa che ti ripensa non sono riuscita a ricordare l’ultima volta che nel mio quartiere ne ho visto uno, di vigile urbano. E’ da più di dieci anni che sono tornata a vivere qui e non mi viene in mente nessuna immagine, nessun ricordo.

E così, facendoci caso, mi sono accorta che già da un po’, anche se non saprei dire quanto, il netturbino che incrociavo ogni mattina con la sua ape attrezzata non c’è più, e in effetti, si vede. Improvvisamente mi accorgo che in questi anni mi sono abituata a vedere molte cose che non dovrebbero essere: strade sporche, giardini non curati, auto che guidano all’impazzata, parcheggi nel parco (non a fianco del parco ma proprio sull’erba del parco), finestre rotte.

Insomma un moderno e quotidiano caos.

I borghi abbandonati

Così ci si rende conto che tutte le figure di riferimento pubblico non ci sono più, siamo soli.

E’ la crisi ci spiegano, devono salvare le banche. Mi rendo conto che l’unica presenza costante nel mio quartiere sono giovani con la felpa a cappuccio che gironzolano con le bici parcheggiate a fianco, sempre nello stesso angolo, in attesa di chissà che.

Eh sì, la memoria a volte ci fa brutti scherzi, così come l’abitudine. Siamo talmente presi dalla velocità del nostro quotidiano che non vediamo più cosa ci accade intorno, non chiediamo, non denunciamo, non reagiamo.

Siamo rinsecchiti, come i miei gerani, che hanno lo stelo piegato all’ingiù.

Il mio quartiere ha memoria

Perse ormai negli anni che sono passati. Nelle strade che portano ancora disegnate le insegne delle vecchie drogherie, nei tori verdi, le tipiche fontanelle di Torino, sempre più introvabili, che l’acqua si sa è diventata un business, e un cuore caldo e accogliente che ho raccontato ne “Il ladro di sogni“, un mio racconto recentemente pubblicato.

Nelle strade operaie ora svuotate, nelle fabbriche esempio di archeologia industriale, nel melting pot culturale che vive gioiosamente nel mio quartiere.

Immagini vive che porterò con me, per sempre.

In un caldo pomeriggio di sole dicembrino mi è venuta voglia di riportarle in vita condividendole con voi, che magari vivete in quartieri altrettanto ricchi di memorie perdute.

E chissà che succederebbe se ciascuno di noi rispolverasse le sue memorie e ripulisse le lenti dei suoi occhiali dell’abitudine.

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