Questo è stato ed è un periodo di grandi trasformazioni per me e buona parte degli articoli degli ultimi mesi lo dimostrano.
Volendo guardare alle cose in ottica positiva, si può dire che è un periodo pieno di sfide.
Ma il vissuto pesa. Due mesi fa la morte di mia madre, la difficoltà di occuparsi di pratiche burocratiche necessarie, l’ultimo anno di lavoro intenso e stressante, specie sul versante personale e una vita nel suo complesso da riprendere in mano, piano piano, dopo i ritmi dettati dalla sua malattia.
La prossima sfida ha per me un gusto diverso: essere pienamente all’altezza di un cambiamento inevitabile, nella vita e nel lavoro, nei confronti del quale ho sentimenti ambivalenti: lo desidero, lo invoco ma mi spaventa.
Fare kintsugi con la mia vita
Il 13 febbraio mamma è andata via e da allora molte cose sono cambiate. Molte delle cose che amavo, vela compresa, sono rimaste sullo sfondo e oggi ho la consapevolezza di essere la stessa di allora eppure, molto diversa.
Come il kintsugi, ovvero l’arte giapponese di esaltare le ferite, anche io ho fatto il quadro delle mie sofferenze, ispezionato i cocci e preparato una pasta d’oro per recuperarli a nuova vita e dare vita a una nuova me.
Il kintsugi è per me oggi la più bella metafora di un cambiamento verso cui ho sentimenti altalenanti che possono rompere qualcosa. E, forse, è necessario.
Kintsugi per la mia vita familiare
Trovarsi senza nessuno alle spalle capita e capiterà a ciascuno di noi, fa parte della vita. Quando è accaduto a me ho ritrovato cocci di una vita familiare mai completamente risolta, su cui potevo decidere di lasciar perdere o di metterci una pezza qualunque.
Invece ho scelto di cominciare a riparare con l’oro, perché le mie fragilità, che si sono puntualmente manifestate, vanno valorizzate perché mi hanno rafforzata, cambiata, caratterizzata.
La nuova me mi piace più di quella vecchia e questa è già di per sé una grande consolazione, anche se lo ammetto, non ho potuto evitare qualche scalfitura.
Nei primi giorni di lutto avevo in mente di chiudere tutto nel più breve tempo possibile: svuotare la casa, sbrogliare la matassa burocratica per preparare la successione, chiudere i conti e così via.
Pensavo che ce l’avrei fatta a chiudere subito quella finestra rimasta per me troppo a lungo aperta su un passato fatto di rapporti conflittuali. Con mia madre ma soprattutto con mia sorella, destinataria come sono stata di continue demolizioni da parte di mia madre per tutto ciò che facevo, ottenevo, ero perché non fossi troppo “diversa” da lei.
Un passato su cui avrei potuto asserragliarmi e tenere conto, nel dopo che è il mio ora. Ma ho scelto di fare diversamente.
Accendere un lumicino e guardare le proprie ferite
Quando mia madre ha cominciato ad ammalarsi ho fatto una scelta precisa: ho pensato a me. Mi sono domandata come avrei voluto affrontare quegli anni, tanti o pochi, che avremmo ancora passato assieme con tutto quel bagaglio alle spalle.
E come li avrei condivisi con lei.
- Li avrei usati andando avanti come avevamo sempre fatto, volendoci bene ma sopportando conflitti, ingiustizie, iniquità, rancori?
- Oppure avrei approfittato dell’occasione per guardare dentro quei comportamenti e depotenziarli, perché non mi facessero più così male?
Ho scelto la seconda ipotesi e guardandovi dentro, talvolta con il lumicino, mi sono accorta che più vedevo quei conflitti e quelle che per me erano ingiustizie, più ne ero consapevole e meno continuavano a ferirmi.
Gli ultimi due anni sono stati un viaggio di avvicinamento a mia madre passando da me che mi ha fatto accompagnare l’inevitabile chiusura del rapporto con lei rendendomi ancora più forte.
Devo solo trovare la forza per affrontare tutto ciò che c’è da fare e chiudere davvero questa lunga fase della mia vita.
Non sono più figlia e non sono mai stata madre, come ho raccontato nel bel post scritto a sei mani pubblicato qui.
Posso essere semplicemente la donna che desidero essere. E accidenti se lo sarò.
Kintsugi professionale
Anche sul fronte professionale l’ultimo anno è stato significativamente difficile. Molte tensioni per me e aspettative rivelatesi poi incapaci di produrre effetti (non per colpa mia) che si sono riversate su di me, mettendomi a dura prova in un momento della mia vita già delicato per i fatti appena descritti.
Ammetto di aver fatto molta fatica a mantenere l’equilibrio ben saldo ma credo di avercela fatta. L’immagine del kintsugi si applica molto bene a questi miei percorsi, pieni di fratture e ricostruzioni che hanno messo in evidenza una nuova me anche sul piano professionale.
Le fratture ricomposte con l’oro permettono di rendere unica la mia personalità, di ricordarmi e ricordare agli altri il mio percorso e come quel percorso mi abbia reso la persona che sono.
E in più, tutta dorata e senza nulla di rotto nella mia vita relazionale 🙂
Una nuova esperienza di vita professionale
Mi attende, anzi, è già cominciata, una nuova sfida professionale.
Tra poco non mi occuperò più di una categoria di lavoratori, quelli della comunicazione, ma ricoprirò, anzi, sto già ricoprendo perché attualmente faccio il doppio lavoro 😉 un ruolo così detto confederale, ovvero di raccordo tra tutti i settori della nostra rappresentanza su alcune materie nello specifico e con compiti di direzione politica.
Non l’ho cercato e non mi aspettavo questo compito, ma prendo atto che il cerchio che avvolge la mia vita continui ad aprirsi e chiudersi su se stesso senza mai restare fermo nello stesso punto.
Sono dentro quel movimento a spirale che cresce ed espande il mio ambito esperienziale e delle competenze e mette alla prova parti di me che ancora non hanno avuto modo di vedere la luce e che probabilmente stanno bussando da tempo perché da tempo le avevo accantonate.
Ma quest’altra sfida comunque costa qualcosa. non tanto in termini di lavoro, quello sarà più complesso e in fase di transizione più pesante – perché di fatto svolgo ancora due ruoli contemporaneamente – ma in termini di essere capace di trovare il modo di radicare il nuovo incarico nei luoghi di lavoro dove una categoria di solito è più presente
Un passo fuori e uno dentro
Significa per me fare in modo che la CGIL compia un passo fuori e uno dentro: fuori alla ricerca di quelle contaminazioni e collaborazioni che sole possono aprire coscienze e risvegliare connessioni neuronali efficaci in un mondo che tragicamente cambia e in cui il valore del lavoro e della conoscenza è subordinato a quello della libertà senza vincoli e del successo, anche spicciolo senza sacrifici.
Dentro: in questi anni il sindacato ha perso parte della sua aderenza nei luoghi di lavoro, soprattutto in ruoli più politici come quello che ricoprirò.
Volare alto è giusto se si ha ben chiaro da dove decollare e, soprattutto, dove atterrare.
La prossima sfida sarà quindi percorrere la mia spirale con determinazione sapendo che, talvolta, si ha l’impressione di essere tornata al punto di partenza e invece stai solo guardando dall’arco più in alto.
Con un’unica certezza: il centro della spirale da cui tutto è partito non lo raggiungerai mai.
Quali sono le sfide che state attraversando?
Su cosa avete fatto o farete kintsugi negli ambiti della vostra vita?
Se vi va raccontatelo qui, nei commenti. Vi aspetto care Volpi.
22 Comments
Grazia Gironella
Ho il mio kintsugi sotto gli occhi mentre commento: una ciotola che un mio gesto di rabbia ha mandato in pezzi. Incollando i pezzi la ciotola sembrava miracolosamente integra, ma ho deciso di evidenziare in acrilico oro le fratture, per ricordare che la rabbia, oltre a disperdere energie utile, distrugge anche. Ti faccio tutti i miei auguri per i tuoi nuovi percorsi. Sarà bello sentirti raccontare. <3
Elena
Cara Grazia, l’ultimo oggetto che ho rotto per la rabbia risale a molti anni fa. Fu una telefonata a irritarmi, così gettati il mio adorato Nokia contro la testiera del letto, in legno. Il buco fu riempito con stucco marrone scuro. Se avessi conosciuto il kintsugi ci avrei fatto una bella decorazione… Certe situazioni o certe persone vanno ricordate a lungo per evitare di cascarci. Penso che illuminare le nostre ferite serva anche a questo. Racconterò. E tu, é da un po’ che non ti racconti sul blog…
Ninfa
So qualcosa dell’arte del Kintsugi, degli oggetti riparati con l’oro, e la trovo interessante anche applicata alla vita come tu stai facendo. I lutti sono passaggi molto dolorosi ed è importante “raccogliere i cocci” di un sè frantumato e tornare intere, trasformate, anche se le cicatrici rimarranno. Certo i conflitti familiari fanno sì che l’elaborazione sia più difficile, ma sono contenta per te che hai iniziato, prima del distacco, a sentirti meno ferita da certi comportamenti, devi esserne orgogliosa. Facendoti tanti cari auguri per le sfide anche professionali, cambiamenti molto importanti, che avrai di fronte, ti racconto delle mie…anzi di una, non quelle del passato, se no scrivo troppo. La sfida di quest’anno sarà quella di traslocare nella casa dove vivevano i miei genitori. Loro non ci sono più da sei anni e quella casa è rimasta a me, ma io ho rimandato per tutto questo tempo il momento. Ora i lavori di manutenzione-riparazione sono stati fatti, già da anni veramente, ma ancora non sono riuscita a “liberarmi” di molti oggetti e alcuni capi di abbigliamento che appartenevano a loro e che a me di riflesso sono molto cari. E comunque non sono riuscita ancora a fare quel salto nell’altra casa, si perde sempre qualcosa nelle scelte…ma ce la farò…
Elena
Cara Ninfa, mi riconosco nelle tue sensazioni circa il tuo obiettivo di quest’anno, perché sono difficoltà che sto toccando con mano, quelle di “fare i conti” con oggetti, case, ambienti che riguardano i nostri genitori che non ci sono più. In qualche modo mi rassicura pensare che la mia difficoltà sia condivisa, anche se in forme differenti, perché qualche volta mi sento in colpa di non poter essere operativa come vorrei. Una cosa stupida, ma forse per me inevitabile. Invece ci vuole tempo per fare Kintsugi anche con le cose che certe rotture rappresentano, perché anche i lutti in realtà sono fratture, rotture, cesure. Sono molto felice che tu abbia deciso di affrontare la tua sfida, sento molta energia e consapevolezza che mi fa dire che certamente ce la farai. E sarà la Tua casa. Bellissima. Ti faccio i miei migliori auguri
Brunilde
Ho sempre pensato che il passato non passi, che noi siamo la somma del nostro vissuto, delle nostre scelte e delle nostre ferite.
Il dolore può essere salvifico, se passandoci attraverso si riesce ad accettare l’ineluttabilità di certi accadimenti, e addirittura a crescere.
Diversamente, se il dolore viene vissuto con rabbia porta le persone a rinchiudersi, a irrigidirsi.
Quindi, si può usare oro per ricostruirsi e diventare splendenti nonstante le rotture, oppure pece.
Come sempre, la scelta è solo nostra.
E non ho dubbi sul tuo risplendere.
Elena
Cara Brunilde, grazie per la fiducia, sto facendo di tutto per fare ciò che dici anche se è difficile. Per via di me stessa, non certo per colpa di altri. Per moltissimo tempo sono stata vittima del mio dolore. Penso anche io, come ha detto @Ninfa, che in fondo per me sia stata una fortuna cominciare il lavoro di “riparazione” per tempo. Siamo la somma delle nostre esperienze ma anche la risultante di esse. Diverse, ricche, cicatrizzate. Vive. Grazie amica mia
Paolo Perlini
Sapevo di questa “pratica” giapponese ma non ne sapevo il nome. E forse è quello che inconsapevolmente, da tre anni a questa parte sto praticando
Elena
E’ una pratica sanissima @Paolo. Buon lavoro!
Andrea Cabassi
Io il kintsugi lo faccio con l’attaccatutto, che è trasparente e ha poche metafore con la vita reale 😉
Elena
Sei sarcastico! L’attaccatutto ha comunque la sua metafora: appiccia ogni cosa alla bene e meglio. Ti piace come immagine? Aggiungi pure quella che avevi in mente tu quando hai scritto il commento :))
newwhitebear
Io kintsugi l’ho conosciuto tramite una blogger Chiara Lorenzetti – https://squarcidisilenzio.wordpress.com/ – e quindi so come funziona. Molto interessante è la tua applicazione virtuale alla vita che di fratture ne sopporta tanto. Non ho mai pensato di applicarlo alla mia vita ma ormai non mi rimane molto. Tuttavia un pensiero merita di farlo.
Elena
Eh ma Gian non è da te questa risposta! Ogni tempo è un buon tempo per questa pratica! Grazie per il suggerimento, sono andata sul blog di Chiara e mi ci sono iscritta. E’ bravissima! Io metaforicamente, lei il Kintsugi lo fa sul serio… Ti abbraccio
Giulia Lu Mancini
Riparare le ferite con l’oro, è una pratica giapponese che conosco bene, lèssi un libro ispirato a questo concetto qualche anno fa che raccontava proprio di un’esperienza di vita dolorosa affrontata avendo come faro questa idea giapponese così forte e delicata. Credo che la nostra vita sia piena di prove sofferte e il lutto ne fa parte. Ho fatto più di una volta kintsugi con la mia vita, un po’ l’ho anche raccontato nel nostro post comune. Ho affrontato diversi gravi lutti (la morte di mia madre quando ero ancora molto giovane, poi se vogliamo anche il divorzio posso considerarlo un lutto, poi i lutti degli ultimi anni, perdite che mi hanno lacerato e per cui ho dovuto “riparare” i cocci).
Condivido molto il tuo modo di affrontare il dolore “riparandoti” le ferite con l’oro di una nuova consapevolezza e affrontando delle nuove importanti sfide anche sul lavoro. Un abbraccio
Elena
Grazie cara Giulia. Per me i’mparare’ l’arte di riparare con l’oro, e parlo in senso metaforico perché non ho mai azzardato ad usare questo metallo prezioso per riparare i cocci della mia cucina , è stato un percorso lungo e consapevole. A volte guardandomi indietro mi dico che se fossi arrivata prima a questa consapevolezza mi sarei risparmiata tanti dolori inutili. Poi guardo avanti e mi dico : quanti me ne risparmiero! Il presente è qui a ricordarmelo. La vicenda dei nostri genitori, che ci accomuna, è una occasione per riparare e non mettere da parte. Non conosco il libro di cui parli ma mi piacerebbe leggerlo. Ti abbraccio forte, buon Kintsugi amica mia e grazie per l’incoraggiamento
Luz
Mi piace il lavoro che stai facendo su di te. E anche a scelta di prepararti, prima, riguardo alla perdita di tua madre che poi è avvenuta. Denota la capacità di mettere a fuoco il proprio vissuto e concentrarsi su quanto siano inevitabili i cambiamenti, le piccole e grandi crisi, e farne risorsa di crescita, accoglierli come parte della vita. Questa arte giapponese è davvero molto bella e rappresenta alla perfezione questo percorso. Sì, quel viaggio a sei mani è stato bello. Ogni tanto vado a rileggerne alcuni passaggi, resta una delle cose più belle realizzate nel blog. 🙂
Elena
Grazie Luz. Sono orgogliosa di chi sono, non posso fare a meno di trasmetterlo, anche quando zoppico! Il post l’ho richiamato perché secondo me è stato un momento di confronto che mi ha aiutata a focalizzare dov’ero
Belle queste collaborazioni tra blogger!
Marina
Ti faccio i complimenti per come stai affrontando la tua nuova vita, con le ferite ancora troppo recenti perché possano chiamarsi cicatrici, ma sulla buona strada perché possano trasformarsi in preziose risorse, grazie a questa pratica giapponese che conoscevo e ammiro tantissimo. La mia unica sfida, adesso, è trovare il modo di avvicinare i miei genitori, rimasti soli in Sicilia (anche mio fratello adesso lavora qui a Roma) prima che il tempo inesorabile renda infattibile il progetto. Lo so che è una corsa contro il tempo, ma vorrei prevenire il “danno”, non avere rimpianti, non dovermi un giorno rimproverare qualcosa che non ho fatto. Ecco, adesso, la mia vera sfida è non pensare al kintsugi, perché vorrei non avere qualcosa da riparare (anche perché, te lo confido, ho una paura fottutissima di non essere all’altezza di affrontare e superare certe ferite, peraltro inevitabili)
Elena
Cara Marina, gli esseri umani possiedono risorse straordinarie che spesso non conosciamo nemmeno. Per fortuna, arrivano a noi quando ne abbiamo bisogno, basta solo ascoltarsi un poco. Capisco il tuo desiderio di superare le distanze, la Sicilia sembra così lontana… Quando mia madre si è ammalata abbiamo deciso di acquistare una casa nuova in campagna abbastanza grande da poterla ospitare. Pensavo sarebbe stata unna buona idea ma lei non ha voluto: non le piace che la città. Abbiamo fatto altri percorsi, spesso senza il supporto di altri. Anche questa è una ferita, come ce ne sono molte nella vita. Imparare a riconoscerle è già il primo passo per poterle vedere come risorse e come bellissime tracce di quell’oro che è già dentro di noi. Buona ricerca di modi e di forme per stare di più e meglio con i tuooi genitori. Un abbraccio
Giulia Lu Dip
Il libro che ho letto io si intitola Mi sa che fuori è primavera di Concita De Gregorio racconta una storia vera che lei ha raccolto dalla protagonista, nella sinossi del libro cita il sintsugi.
Elena
Grazie Giulia. Ho letto un solo libro della De Gregorio , Così è la vita, ma talmente non mi ha impressionata che sono dovuta andare a cercare il titolo! Ops…
Grazia Gironella
Dopo la nube piroclastica, la crisi continua…
Elena
Adoro le tue metafore che fanno subito pensare a una terribile devastazione… 😀 Ma si raffredderà prima o poi questa lava? Baci