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Storia dell’uomo caduto in un fosso

In un freddo pomeriggio d’inverno, mentre pensavo agli errori ripetuti e al loro ruolo nella mia esistenza, mi è tornata alla mente la storiella dell’uomo caduto in un fosso che mi fu “regalata” da una mia collega coach durante uno scambio tra di noi.

Quando qualcosa di apparentemente semplice risulta tanto potente alle tue orecchie come al tuo cuore, significa che ha colto nel segno. Così questa storiella parlava a me e alle mie ripetute “cadute”, offrendomi un altro punto di vista.

Per questo ho pensato di raccontarvela, in versione personalizzata, perché ognuno di voi ne tragga l’insegnamento che più gli serve.

Con la Storia dell’uomo caduto in un fosso tornano le storie sul blog. Questa volta però la morale la scrivete voi 🙂

Storia dell’uomo caduto in un fosso

Un uomo, stanco delle sue giornate sempre uguali e piene di problemi, decide per una passeggiata in campagna. L’aria è così fresca che sembra quasi primavera, e lui ha tanta voglia di respirare a pieni polmoni, guardando il cielo con il naso all’insù.

Imbocca la strada per la vetta, lungo la mulattiera al limitar del bosco e mentre sale, un passo pesante dopo l’altro, tra i profumi di resina e il canto di una ghiandaia che imita quello di un corvo, pensa e ripensa a ciò che lo ha assillato negli ultimi giorni. Un lavoro mal pagato, una vita sentimentale insoddisfacente, la noia che lo assale la sera, poco prima di coriscarsi e che poi si trasforma in ansia, impedendogli di dormire.

Il capo chino a misurare i passi e la mente altrove: così l’uomo procede lungo il suo cammino, fino a quando il suo piede, improvvisamente, contatta il vuoto. Perde l’equilibrio e incapace di soffocare un urlo di terrore cade in un fosso profondo, rovinando sulle ginocchia.

Storia dell'uomo caduto in un fosso

Spaventato, spalanca gli occhi riuscendo appena a intraveder la luce, lassù, verso l’uscita del fosso. Le mani cominciano a esplorare il terreno circostante che sente melmoso, umido, dal forte odore ferroso. A un tratto gli manca il respiro, ma poi, ripreso il controllo di sé, si solleva poggiando le mai sul fondo fangoso e piano piano risale, aggrappandosi al bordo del fosso.

Una volta risalito, scrolla di dosso la terra e si tasta per bene le braccia, le spalle, le gambe. Sembra tutto a posto, ed è ancora intero. “Che spavento” pensa tra sé “Me la sono cavata per un pelo”, e decide di riprendere il cammino, mentre il pensiero di dover tornare il giorno successivo al lavoro lo tormenta, sgranocchiandogli i pensieri.

Dopo qualche tornante, ecco che inciampa di nuovo. Stavolta il fosso è più profondo, la luce è lontana e le sue mani sono ghiacciate dal freddo e dal terrore. Piange se stesso e la sua stupidità per non aver imparato nulla dal tratto appena percorso e si dispera, fino a quando consuma tutte le lacrime.

Nonostante la difficoltà, l’uomo sa che non può restare fermo lì sotto molto a lungo e che deve trovare il modo di uscire. Sebbene il buio gli blocchi il respiro, comincia a pensare a un modo per risalire. Sa che se non ci riuscirà in fretta, la notte sopraggiungerà e con essa qualche animale feroce, che il canto della ghiandaia annuncia già, tetro.

Il pensiero di quella visita indesiderata prende ogni spazio della sua mente. Riprende il controllo di sé, scava nella roccia appigli come pioli e lentamente risale. Ma stavolta non si rallegra e rimane seduto sul ciglio del fosso, dannandosi per non essere stato capace di vederlo in tempo.

Le lacrime tornano a rigargli il volto e dentro quel pianto c’è tutto ciò che si è portato dietro in quel viaggio. Sente la sua zavorra, pesante, umida, buia, gravargli addosso come un mantello di paura.

Pensa che dovrebbe fermarsi, forse dovrebbe addirittura tornare indietro. E’ passato del tempo ormai da quando è partito e comincia a dubitare di poter raggiungere la meta. Ma una voce dentro lo induce a provare. Così convincente da fargli dimenticare la paura e proseguire.

Stavolta però la sua mente è vuota; un passo dopo l’altro sente il frusciare delle foglie al vento, gli odori lontani di un branco di cinghiali, i profumi della resina dei tronchi tagliati di fresco. A terra radici di alberi dall’aria forte si offrono lungo il suo cammino ed egli attratto da una le cui ramificazioni somigliano ad artigli, la raccoglie e la porta con sé.

Continuando ad avanzare vede un altro buco e questa volta lo evita, fiero della sua attenzione e carico della sua esperienza.

Felice per quella vittoria, comincia a saltellare sul sentiero fattosi ancora più stretto e corre sempre più veloce, perché di sicuro, dopo tante buche, nulla potrà ancora allontanarlo dalla sua vetta, ed è tempo di conquistarla.

Non sente più il frusciare delle foglie né il profumo di resina del bosco. Anche i cinghiali si sono allontanati, spaventati dal suo incedere e dal rumore che provoca.

Così, proprio mentre scorge la tanto agognata vetta, tra i rami frondosi dei roveri e la luce filtrata del sole, ecco che incontra la sua prossima buca e ci cade dentro. Stavolta però si fa male. L’uomo si dice che non avrebbe dovuto accadere, avrebbe dovuto saperlo che quel sentiero è pieno di buche, avrebbe dovuto prevedere la prossima, ma non lo ha fatto ed è di nuovo finito dentro il suo fosso.

Sa anche che la paura lo coglierà e che piangerà. Sa che sentirà le dita intirizzite per lo sforzo di scavare e risalire, ma sa anche che ce l’ha fatta altre due volte e che ce la farà ancora.

Si fa coraggio e piano piano usa la radice per scavare le pareti del fosso e costruire appigli per salire. Una volta fuori, siede accanto al ciglio del fosso, sorridente. Solleva lo sguardo e la vetta è là ad attenderlo.

L’uomo sa che una volta arrivato lassù dovrà fare ritorno. Sa anche che potrà di nuovo cadere in quei fossi ma che sarà capace di risalire, come è avvenuto, tutte e tre le volte. Sa che ogni volta ha imparato qualcosa di nuovo.

Ora conosce la dimensione, l’oscurità, la profondità di quei fossi, così come la paura che l’abisso gli procura. Ma sa anche che può sconfiggerla, che può farcela perché l’ha già fatto altre volte.

E soprattutto, il buio ora non gli fa più paura


Vi è piaciuta questa storia?

Quale significato vi ha suggerito che portereste con voi?


18 Comments

  • Elena

    Il senso cara Grazia potremmo chiamarlo la coazione a ripetere. Sono assolutamente d’accordo. Investire le nostre energie in ciò che è consono alla nostra natura. Un altro insegnamento che traggo da questa storia è che non si può prevedere tutto. E che il karma, esiste!

  • Grazia Gironella

    Non stiamo immobili, ma scegliamo con saggezza a cosa dedicare le nostre energie anche in base a quelli che conosciamo come nostri punti di forza e debolezze. Il crescendo di gravità nelle cadute del racconto mi porta decisamente lontano da quello che potrebbe essere un messaggio di forza.

  • Marina

    Cadere e rialzarsi, quello sempre, però è anche vero che se l’esperienza si ripete, alla fine stanca, pur se ti ha insegnato una cosa in più. Evitare le “buche” della vita non è facile, eppure io cercherei di allertarmi con più convinzione, cercherei di non abbassare la guardia, sebbene nella consapevolezza di possedere nuovi strumenti per uscire fuori dalla difficoltà.

    • Elena

      La mia difficoltà di allora, intendo quando mi è stata proposta questa semplice storiella, era proprio il riprodursi di schemi mentali che mi facevano piombare sempre nelle stesse difficoltà e sofferenze. Per me questa metafora è azzeccata : non sono ancora in grado di evitare il fosso ma ormai ho gli attrezzi per uscirne! Quando finalmente sarò in grado di non cadere più potrò dire di aver superato il mio ostacolo. Una parte recidiva di me stessa

  • Luz

    Il fosso è una metafora molto efficace. Io di fossi ne ho esplorati parecchi ed è vero, la caduta e la ricerca di salvezza ogni volta incidono sulla tua personalità e lasciano un segno forte.

    • Elena

      Siamo concentrate sul benessere. Ma è dal dolore che riusciamo a uscire avendo imparato nuove cose e da cui sorprendentemente attingiamo nuove energie! Mi fu molto utile in quel momento questa storia. Non è detto che risuoni per tutti nello stesso modo. I commenti in effetti lo dimostrano.

  • Grazia Gironella

    Di pancia, non riesco a trarre una morale edificante dalla storia. Se la vita è davvero un susseguirsi inevitabile di cadute, una più grave dell’altra, forse conviene accettare la propria piccolezza e cercare qualche valvola di sfogo meno pericolosa delle escursioni. XD

    • Elena

      Dunque ci ritiriamo in qualche luogo sicuro? La vita è un corso e ricorso solo che ogni volta siamo più forti fino a non notare più ciò che un tempo ci faceva cadere. Fisicamente ma anche emotivamente… Certo che proprio tu Grazia che sei la più bucolica di tutte che inneggia all’abbandono delle escursioni, incredibile 😀

    • Elena

      Sai, quando ho scritto questa storiella, ma soprattutto quando Valentina ha deciso di raccontarmela, non stavo parlando di cose accadute, ovvero da una dimensione del fare, ma dell’essere. Le mie buche non sono fallimenti, ma comportamenti ripetuti che tengo sott’occhio , che sono atavici, vecchi come me, risposte strutturate a chissà quali sollecitazioni… E’ interessante però che ciascuno ci veda ciò che in quel momento risuona. E provare a saggiare qualche altro punto di vista… Buona giornata, Sandra che va avanti!

  • Giulia Lu Mancini

    Si può cadere, ma l’importante è rialzarsi. Su questo in linea di principio sono anche d’accordo, ma mi sento piuttosto stanca, in fondo come Sandra e Brunilde mi viene voglia di percorrere un lungo tratto in pianura su un terreno senza buche.

    • Elena

      E ti auguro di trovarlo se non lo hai ancora incontrato, il tuo terreno senza buche, proprio ora che hai una nuova storia da annaffiare! Quanto a questa, è solo una storiella, ma quanto dice di noi il modo in cui la leggiamo! Forse le ultime buche che hai incontrato sono state davvero troppo profonde. Mi spiace molto, estendo questa comprensione anche a @Sandra e @Brunilde

  • newwhitebear

    una storia emblematica. Si cade, si rialza, si cade di nuovo, si evitano nuovi pericoli ma alla fine se ne esce più forti e saldi nella proprie capacità di affrontare le situazioni più tristi e difficili.

    • Elena

      Gian è molto vicino al senso che ho dato io quando me l’hanno raccontata. Non per somigliare a novelle Rambo, ma per avere consapevolezza che cadere non è mettere il piede in fallo ma accettare l’opportunità di sperimentare come rialzarsi. Ma anche di come la mente impedisca di vedere ciò che ci aspetta davvero…

  • Sandra

    Mah. Oggettivamente le storie per cui non è importante cadere bensì rialzarsi, dove le sconfitte insegnano e rendono forti mi hanno parecchio stancata. Ci sono persone davvero spettacolari che di fronte ad avversità enormi sfoderano talenti non comuni per sopravvivere e andare avanti, ma mediamente finire nei buchi provoca solo ferite con le quali convivere,

    • Elena

      Capisco Sandra il tuo punto di vista. Non conosco persone spettacolari, almeno non 24 ore al giorno! Conosco persone che cadono e restano a terra, altre che evitano le buche, altre che ci cadono dentro le volte necessarie per imparare a farci qualcosa di quelle cadute. Ne vedi altre? Tu a quali ti senti di appartenere?

  • Brunilde

    In un momento di stanchezza, come questo che sto vivendo, mi verrebbe da dire che non ho più voglia di cadere nei fossi, già fatto, grazie. E non ho neppure più tutto questo piacere nel dimostrare a me stessa di sapercela fare, a tirarmi fuori da sola. A un certo punto, pur facendo tesoro della propria esperienza, si desidera un tratto di strada pianeggiante, senza rischi, senza paura del buoi e delle cadute. Questa è la mia fase, ora. Età, ossa rotte ( in tutti i sensi ), pandemia, difficoltà aumentate e vita sociale sparita, tutto cospira per far farmi cercare una zona protetta, in cui sentirmi al sicuro.

    • Elena

      Eh cara Brunilde, chi può contraddirti? La tua stanchezza è comune a molte di noi e se c’è qualcosa con cui dovremo fare i conti, quando la pandemia sanitaria sarà finita, sono proprio le conseguenze sociale, personali, già ben evidenti. E molto, molto profonde. Un luogo protetto, quello che in altri momenti su questo blog ho definito “cuccia”, è caro anche a me ed è la mia casa, il mio lavoro, ciò che conosco. Un rifugio che guardo con circospezione perché come niente può diventare una trappola. Così il fosso si evita. Ma anche ciò che di buono ci porta. Ecco, se sono d’accordo con te sulla necessità di non cercarsi inutili sfide, l’altra faccia della medaglia mi spaventa. Un abbraccio, specie a quelle splendide ossa rotte

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