La scienza del calabrone
Femminile, plurale

La scienza del calabrone

Tutto si può spiegare, anche se apparentemente sembra impossibile.

Un assunto che potrebbe essere scambiato per esaltazione della scienza, ma che nella mia esperienza di vita ho sperimentato più volte. Anche contro i miei stessi pregiudizi.

Ne ho ricavato un’attitudine: non considerare nessun rebus irrisolvibile, perché ciò che oggi appare incomprensibile domani si chiarirà, in qualche modo, comunque.

Non significa che una spiegazione non c’è. Solo che ancora non la conosciamo.

Un approccio opposto a quell’affidarsi al fato, alla divina provvidenza, o che altro volete che mette in gioco noi, ci chiama in causa, come artefici, direttamente o indirettamente.

Ci impone di lavorare su noi stesse e progredire, anche quando non sappiamo esattamente verso dove.

Mi è capitato con la scrittura, con la vela, con il lavoro. 

Cambiare la prospettiva

Quando approcciamo realtà che non comprendiamo, o dobbiamo valutare giudizi che consideriamo spropositati, incongrui, spesso siamo portati a escluderne le risultanze, perché non si conformano alla nostra filosofia di vita quotidiana.

Carl Gustav Jung nel corso del seminario “Psicologia del Kundalini Yoga” affermò:

C’è una quantità di persone che non sono ancora nate. Sembra che siano qui e che camminano ma, di fatto, non sono ancora nate perché si trovano al di là di un muro di vetro, sono ancora nell’utero.

Sono nel mondo soltanto provvisoriamente e presto ritorneranno al pleroma da cui hanno avuto inizio. Non hanno ancora creato un collegamento con questo mondo; sono sospesi per aria, sono nevrotici che vivono una vita provvisoria.

Dicono: ‘Adesso sto vivendo in queste condizioni. Se i miei genitori si comportano secondo i miei desideri, ci sto. Ma se dovessero mai fare qualcosa che non mi piace, allora tiro le cuoia.’

Questa, vedete, è la vita provvisoria: una vita condizionata, la vita di qualcuno che è ancora collegato al pleroma, il mondo archetipico dello splendore, da un cordone ombelicale grosso come una gomena da nave. Bene, nascere è importantissimo; si deve venire in questo mondo, altrimenti non si può realizzare il Sé, e fallisce lo scopo di questo mondo.

Se questo succede, semplicemente si deve essere ributtati nel crogiuolo e nascere di nuovo. […] Vedete, è di un’importanza assoluta essere in questo mondo, realizzare davvero la propria entelechia , il germe di vita che si è, altrimenti non si può mai mettere in moto Kundalini e non ci si può mai distaccare.

[…] Si deve infatti lasciare qualche traccia di sé in questo mondo, che certifichi che siamo stati qui, che qualcosa è successo.

Se non accade nulla del genere, non ci si sarà realizzati; il germe di vita è caduto, per così dire, in uno spesso strato d’aria che lo ha tenuto sospeso. Non ha mai toccato il suolo, e quindi non ha potuto produrre la pianta. Se invece si entra in contatto con la realtà in cui si vive, vi si rimane per diversi decenni e si lascia la propria impronta, allora può avviarsi il processo di impersonale.

Vedete, il germoglio deve sbocciare dalla terra, e se la scintilla personale non è mai entrata nella terra, da lì non uscirà nulla, non ci saranno né “linga” né “Kundalini” perché si è ancora nell’infinità che c’era prima.

La scienza del calabrone

Doveva essere parecchio preso dai suoi studi Antoine Magnan quando ha affermato che in base ai suoi calcoli sul volo il calabrone non poteva volare.

Nonostante la cosa abbia una certa diffusione in rete e sia persino suggestiva, quei calcoli erano sbagliati.

I suoi modelli erano relativi alle piccole oscillazioni delle ali in volo, e non contemplavano il fatto che il calabrone per volare ha imparato non solo a oscillare le sue ali, come fanno gli altri insetti, ma a sbatterle così rapidamente tra un’oscillazione e l’altra (circa 200 volte al secondo) e perfino a ruotarle in un verso e nell’altro in modo da compensare e sostenere il suo volo, con una precisione millimetrica.

Tuttavia, l’idea che il grassoccio calabrone e le sue piccole ali che non potrebbero volare volano lo stesso è affascinante e lancia un doppio messaggio: da un lato che la scienza non può spiegare tutto, dall’altro che ciascuno di noi può essere ciò che desidera se solo ignora i limiti fisici della sua esistenza.

Consolante?

Mah.

 

L’idea romantica che i nostri limiti siano solo nella nostra testa fa presa sulle persone e forse anche su noi stesse. Ma è utile?

Oppure ci spinge verso opzioni, scelte, fatiche che alla lunga sono inutili perché non corrispondenti alla nostra natura?

Domande che valgono anche per la scrittura, come per ogni altra cosa?

 

La natura dei sogni è materiale delicato, profumato come un grappolo d’uva appena raccolto e pericoloso come una vipera.

Sovrasta la nostra coscienza e ci spinge a immaginare noi stesse come creature sostanzialmente senza limiti e pronte a tutto, a qualunque cosa, perché tutto possiamo.

L’assenza di limiti è un sogno che ha solleticato ciascuno di noi, almeno una volta nella vita.

Ci ha lasciato immaginare che avremmo potuto diventare qualunque cosa se solo lo avessimo desiderato e naturalmente lavorato duro per ottenerlo.

E se invece la scienza avesse ragione?

Se ci fosse davvero una spiegazione per tutto e i limiti fossero uno spazio valicabile ma di cui dobbiamo prendere le misure?

Adattamento, resilienza. Parole chiave in questo ragionamento, non credete?

 

La scienza del calabrone

Ovvero come la vita superi sempre la nostra capacità di spiegarla

Realizzare il germe di vita che è in noi, come dice Jung, è la chiave per un’esistenza felice.

Per farlo, non dobbiamo preoccuparci tanto di dimostrare ciò che ci accade come naturale, scientifico, oggettivamente rilevabile, ma di farlo, e basta.

Essere liberamente noi stesse.

Scrivere liberamente di ciò che ci piace, dire ciò che pensiamo, uscire con un casco arancio fluo a cinquantunanni, giocare con un monopattino, baciare il tuo uomo canuto in pubblico come una ragazzina.

Essere, semplicemente.

La scienza del calabrone mi piace e si rivela esatta nella misura in cui sfata l’impossibile e il possibile a tutti i costi.

Non esiste nulla che possa compensare i nostri limiti se non noi stessi.

Le uniche persone cui affidarsi siamo noi.

Cicciotte, a righe, con ali piccole o grandi, svolazzanti o plananti.

Noi.

Chi altro?

 

11 Comments

  • Barbara

    Chi ha fissato i nostri limiti? Davvero noi o le altre persone limitate intorno a noi?
    Ho sempre tifato per il povero calabrone. E in effetti i limiti al calabrone li aveva fissati l’uomo per la sua ignoranza. Non sapeva come si muove davvero il calabrone. E il calabrone, completamente ignaro non di come vola ma di quello che l’uomo pensa di lui, continuava a volare beato.
    Se i nostri limiti sono in realtà nostre mancanze di interesse, allora va bene. Non ci interessa diventare il runner più veloce del mondo, non ci interessa il guinness per il primato della sciarpa lavorata a mano all’uncinetto più lunga del mondo, non ci interessa vivere indossando solo indumenti di colore Pantone amaranto opaco. Interesserà qualcun altro, non noi. Ma se invece i nostri limiti sono dettati dalla società intorno a noi, che ci ha messo in testa fin da piccoli cosa possiamo o non possiamo fare… siamo sicuri che siano veri limiti? Chi ci ha messo in testa che non possiamo scrivere ciò che ci piace, dire ciò che pensiamo, uscire con un casco arancio fluo a qualsiasi età, giocare con un monopattino, baciare il nostro uomo (o la nostra donna) in pubblico come una ragazzina? Chi ha detto che i trasferelli hanno una scadenza? Chi ha detto che non posso aprire un blog di scrittura creativa? Chi ha detto che non posso ridere e divertirmi in palestra? Chi ha detto che non posso andare a correre vestita di rosa fluo? Chi ha detto che non posso andare in piazza San Marco a Venezia a sventolare la bandiera dell’MPC? (c’erano i vigili, e allora? li avrei fatti sventolare al posto mio 😉 ) Chi ha detto che, passati i 40, non avrei più potuto perdere peso? E soprattutto non avrei mai potuto vedere la forma dei miei bicipiti?
    Niente, sbagliavano i calcoli, come con il calabrone. 😉

    • Elena

      E meno male, cara Barbara, perché e ci fossimo limitate ai limiti esterni no avremmo fatto ciò che la nostra anima ci chiedeva di fare. Il bello di noi è proprio questo, tifare per il calabrone anche se grassottello, non perché non conosca il peso della sua mole e i suoi limiti, ma perché si libra in alto sopra i fiori e i campi e da lassù ci guarda, stretti nelle nostre scatole di latta o di cemento, e sorride. Sorride, perché lui è bello.
      Adoro il fucsia, in quella foto poi stavi benissimo 🙂

  • Nadia

    Ogni tanto mi pare di essere un calabrone che non dovrebbe volare eppure lo fa, poi la zavorra mi riporta a terra e non so bene se mi senta una formica o un altro insetto, ma di fatto la sensazione di avere il mondo in mano svanisce. Riuscire a stabilizzare la piena consapevolezza di sé é complicato ma merita impegno. Infatti mi ci sto appassionando.

    • Elena

      Mia cara i tuoi voli di recente sono così alti e leggiadri che dovresti sentire le vertigini! Quella zavorra sono le tue radici. Ti ricordano che il mondo che devi tenere per mano sta in cielo ma anche in terra. Goditi il viaggio amica mia. Un abbraccio

  • digito ergo sum

    mi piace. mi piace davveramente. accettare l’insoluto come temporaneamente insoluto, l’irrisolto come sulla via della soluzione.

    sono un uomo stupido e semplice, faccio pensieri stupidamente semplici (o semplicemente stupidi). escludo jung dall’elenco dei personaggi affidabili (parere personale che non merita la critica di nessuno). nel libro “la psicologia dell’inconscio” ha negato sé stesso almeno 12 volte e con la storia del “sé” (ereditato dall’inglese “self ” e dal tedesco “selbst” ) ha fatto una figura irrimediabile arrampicandosi poi sugli specchi, parlando di un “sé collettivo”. Ma mi sto perdendo nelle trame dei pensieri, quindi ritorno al punto.

    Punto. (eccomi ritornato)

    La fisica quantistica (che ci inchioda, tra le altre leggi della natura, al ruolo di “ippopotami lenti e ipofacenti sulla faccia della terra) prevede che alcune particelle muoiano prima di nascere e, cosa altrettanto stupefacente, che la realtà quantistica dipenda dall’osservatore.

    sono concetti teorici, ma hanno una portata deflagrante e sono bombe a orologeria destinate a cambiare ciò che sappiamo del mondo, della vita, di noi stessi.

    siamo talmente tanto irrilevanti, giunto a oggi grazie alla resilienza che ha acceso un certo tipo di ingegno, talmente tanto irrilevanti che, uscire con un casco fluo anche se fossimo nudi, non ci dà libertà o restrizioni, aggiunge un non-senso laddove un senso non dovrebbe neppure essere cercato. e gli aggettivi sono dannosi, li hanno sdoganati i giornalisti quando gli articoli erano pagati a righe.

    le cose sono. noi siamo. la realtà è. tutto il resto non ha luogo, tempo, spazio o misura.

    • Elena

      Apprezzo Jung per glis timoli che ha dato alla scienza e alla consocenza del sé. Faccio fatica a pensare che cambiare opinione (o forse intendevi aggiornarla, approfondirla, leggerla nei suoi mutevoli aspetti) sia un problema e non cerco le incoerenze ma le coerenze, ciò che mi aiuta a fare un passo in avanti. Non è forse la vita a costringerci ad arrampicarci più volte sui nostri assunti, costrutti e ideali, per evitare di perderli o di vederli andare via? Ad afferrare il senso o il non senso? Per me è così, mi interrogo e cerco risposte. E volo, cicciottella, e compio gesti incosulti e faccio cose che non esisterebbero se io stessa non le realizzassi. La realtà è ciò che noi vediamo di essa ma non basta, sono d’accordo. Perché al mondo non siamo soli. Per fortuna. Buona giornata!

  • Grazia Gironella

    I sogni sanno troppo di illusioni confortanti per i miei gusti; sono però convinta che non conosciamo i nostri limiti, anzi, che li inventiamo per credere che delimitino uno spazio sicuro, all’interno del quale non possiamo fallire, né soffrire. In realtà non c’è un terreno sicuro, e forse non ne abbiamo bisogno.

    • Elena

      Molto interessante questo tuo punro di vista “dal di dentro” Grazia. Penso sempre ai limiti come qualcosa da cui guardare oltre, mentre possono essere una barriera, una potezione proprio perché il “fuori” ci fa paura. Come volare da cicciottelle perché di solito non si fa, scrivere lo stesso quando tutti ti dicono che è meglio smettere e pensare allle cose serie, e così via. In realtà dentro i nostri limiti, se li accettiamo come forme di noi assolute, soffriamo eccome, come in fondo dici tu. “Nella realtà non c’è un terreno sicuro, e forse no ne abbiamo bisogno”. Dovremmo scriverci queste parole nel cuore, tanto sono vere. GRAZIE. Buona giornata

  • Sandra

    Essere liberamente noi stesse, ecco la chiave.
    Sabato una cara amica mi ha detto che stava cercando – non so se li ricordi – i trasferelli, non per qualche bimbetto ma per se stessa. E io le ho detto che caspita sì, li adoravo e avrei proprio voglia di mettermi lì a farli, li avevo visti in un negozio e non li avevo presi per non sembrare infantile. Mi sono pentita e spero di ritrovarli per prenderli per me e per lei.
    Ma chissnefregaaaaaa, faccio del male se mi metto al tavolo e mi rilasso coi trasferelli a 50 anni? Direi di no.
    W il calabrone, dunque, i monopattini e la nostra generazione.

    • Elena

      Ciao Sandra, hai colto in pieno il senso di quanto volessi trasmettere. I traferelli me li ricordo, come il pongo colorato che quello si con tutto lo stress che accumulo mi farebbe bene! Il calabrone ha aperto una finestra di freschezza, non chiudiamola, i nostri limiti sono la soglia oltre la quale sentire il profumo del mondo
      Abbracci

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