Un anno fa ho incontrato su Anobii Emilia, autrice di un romanzo autobiografico dal titolo Io come la fenice in cui racconta la sua anoressia. Ci siamo piaciute subito e così le ho proposto di rilasciare un’intervista alle Volpi, anche perché il tema alimentazione mi interessa molto, da sempre.
Ne sono venuti fuori tre articoli di cui questo che vi ripropongo, riveduto e rinfrescato nello stile e nei contenuti, è il secondo. Tutti e tre gli articoli sono legati ma si possono benissimo leggere autonomamente.
Non mi resta che augurarvi buona lettura e presentarvi Emilia, che su Anobii è presente con il nickname Jaemy. Si è raccontata nella prima parte di questa intervista che trovate a questo link. Buona lettura!
Morire di cibo o della sua assenza
Cara Emilia, bentornata tra le Volpi! La volta scorsa abbiamo volutamente lasciato in sospeso un tema importante, il tuo rapporto con il cibo. Lo riprendiamo?
Ciao Elena, certamente. Quando qualcuna di noi sente dentro di sé la sensazione di sentirsi “sbagliata” o “inadeguata” cerca una compensazione, perché piò diventare molto opprimente. Io la provavo all’inizio della mia malattia e per quanto riguarda me, il cibo era la modalità più semplice per gestirla, insieme allo sport. Mi spiego meglio.
Sentivo che tutto ciò che avevo intorno a me mi sfuggiva, mentre il corpo è l’unica cosa che potevo controllare direttamente e senza intermediari. Per questo ho cominciato a mangiare meno e dunque a dimagrire, oppure consumavo più calorie possibili facendo sport, camminate eccetera.
Si comincia evitando solo i cibi più grassi, più calorici. Vuoi dimagrire, alleggerire quel peso che sentivo dentro di te. Ma ben presto tutto il cibo diventa troppo “grasso” e così piano piano cominci a rifiutarlo. Per me è andata così. Pensa che sono arrivata a mangiare una fetta di prosciutto magro a pasto, a bere pochissimo, una o due tazze di acqua al giorno, per non gonfiare.
La cosa peggiore è che mi sentivo alla grande, avevo molta energia e così andavo avanti. Questo se vuoi è l’aspetto più pericoloso.
Quanto sei dimagrita?
Tantissimo, sono arrivata a pesare meno di trenta chili, considera che sono alta un metro e settantacinque! Il mio stomaco si era abituato a mangiare la propria mucosa ed io non sentivo più la fame, si era per così dire ristretto. Anche solo un bicchiere d’acqua lo riempiva in modo per me insopportabile.
Tutti i miei organi si erano adattati alla nuova condizione di carestia: stomaco, reni, fegato. Ed io percepivo il mio corpo come se fosse morto. Quando poi sopraggiungeva l ora dei pasti poi… Che tensione c’era in casa. Io cucinavo, mi piaceva farlo per la mia famiglia, ma a loro non bastava. Loro volevano che io mangiassi e non sapevo più cosa inventarmi. Poi ho scoperto che potevo vomitare tutto. Non perché lo volessi veramente, solo che ero obbligata.
Quel cibo che era nel mio stomaco mi faceva stare male, dovevo rimuoverlo. Per un certo periodo così sono stata bulimica.
Bulimia e anoressia, due facce della stessa medaglia?
Sì, per me è stato così. L’una è il contraltare dell’altra. Io ci sono passata, a fasi alterne, ma ci sono passata. L’anoressia mi faceva sentire bene, mi faceva sentire forte e piena di energia.
La bulimia, ovvero quando mangiavo per poi vomitare tutto, mi faceva sentire una fallita, una debole. Passare da uno stato all’altro era per me devastante, sotto il profilo fisico e anche emotivo. Eppure era diventato un circolo vizioso.
Sei mai riuscita a comprendere quando è scattata la malattia?
Credo di sì. La mia famiglia era molto impegnata a litigare perché i miei non andavano per niente d’accordo. Io e mia sorella assistevamo, senza sapere che cosa fare, a queste interminabili e dolorose discussioni. Ricordo che qualche volta sbottavo e urlavo:
“Se ogni volta dovete litigare per qualsiasi cosa, allora divorziate!”
E così è stato. Volevo solo ritrovare la pace ed ero disposta a tutto per fare in modo che tornasse tra di noi, anche se vivevo nel terrore che sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile. Avvenne nell’estate del 1998, una vacanza senza ritorno.
I miei si separarono. Io volevo restare con mio padre, ma ciò non era possibile. Così dovetti andare a vivere da mamma, per un anno. Cambiò tutto, mi mancavano i miei punti di riferimento, la mia vita fu stravolta. Non frequentavo più basket, non avevo più i miei amici… Anche se vedevo sempre mio padre, era il viverlo, il viverci, a mancarmi. La nostra quotidianità non c’era più e ciò mi destabilizzava, mi metteva ansia. E’ così, credo, che ho cominciato ad ingrassare.
All’inizio erano solo due chili, così cominciai a correre e ad allenarmi. Ma pian piano lo sport divenne la mia ossessione. Scaricavo la tensione, non pensavo, mi alleggerivo e mi faceva stare bene. In questo modo ho perso 17 chili.
Dopo la separazione mi ero fatta l’illusione che i miei, una volta separati, avrebbero ripreso in mano il loro rapporto e lo avrebbero condotto in modo più civile. Una speranza vana. Fu quando presi coscienza di questa situazione che mi ammalai per davvero.
Quali sono le conseguenze fisiche dell’anoressia?
Le conseguenze della malattia sono pesanti e si portano addosso per tutta la vita.
I denti si ammalano facilmente, perché lo smalto che li protegge si indebolisce e viene corroso dagli anni di vomito e malattia.
L’intestino resta pigro e non funziona più bene. Io in tredici anni di malattia ho avuto due blocchi renali e intestinali, vi assicuro che è terribile.
Lo stomaco poi è distrutto. Ancora oggi continuo a prendere protezioni e pillole per combattere ulcere, gastriti croniche, coliti ecc. Anche quando cambia il tempo sto malissimo.
Ma le conseguenze più terribili sono quelle per chi desidera figli , perché con l’anoressia e la bulimia rischi l’infertilità. Durante la malattia ero diventata amenorroica, fortunatamente io non sono risultata essere sterile, ma a molte mie amiche è successo anche questo.
Quali sono i segnali che indicano l’insorgere della malattia?
Devo dire intanto che il lavoro più grande l’ha fatto mio padre. All’inizio insisteva perché mangiassi, ma era l’approccio sbagliato. Poi abbiamo conosciuto l’ABA (Associazione Anoressia e Bulimia) di Milano e ha cominciato a capire meglio la mia malattia, come rapportarsi con me.
Imparammo a riconoscere i segnali di quando una persona si ammala. Li ho scritti per non dimenticarli:
- La persona che sta cadendo nell’anoressia inizia a non essere più spensierata e felice come prima, si chiude a riccio e stenta a confidarsi;
- Evita di uscire;
- Si comincia a fingere di essere sereni e felici, e si perde interesse per ciò che prima era importante;
- Sei nervosa, come se ce l’avessi col mondo intero;
- Adduci mille scuse per evitare di mangiare;
- Cominci a spezzettare il cibo per mangiarne il meno possibile;
- Ti estranei anche dal tuo mondo;
- Ci si chiude in bagno più volte al giorno e ad orari prestabiliti.
- Si aumentano le ore di sport.
Oggi mi sento di dire che sebbene assomiglino a semplici reazioni adolescenziali, spesso possono nascondere di peggio. Non bisogna mai perdere il contatto con la propria figlia o il proprio figlio. Così in effetti ha fatto mio padre, che mi ha sostenuto al punto da sottoporsi, lui stesso, a psicoterapia, mentre io all’inizio la rifiutavo.
Di tua madre parli pochissimo, anche nel tuo libro
La ragione è che con mia madre, purtroppo, non ho mai avuto un buon rapporto. Lei riversava il malessere che provava a causa del rapporto conflittuale con mio padre su di me. Per lei ero la figlia di mio padre, colei che più gli somigliava, fisicamente e nei comportamenti.
Non mi dimostrava affetto, sebbene sono sicura che lo provasse, mentre con mia sorella aveva un buon rapporto. Faceva sempre paragoni tra me e lei, mi parevano sempre a suo vantaggio.
Qualcuno faceva notare a mia madre che stava sbagliando, che mi aveva giudicata troppo duramente? Lei mi abbracciava per farsi perdonare, ma io non mi fidavo di quell’abbraccio, non ci credevo, perché non mi pareva sincero.
Mio padre sentiva questo disagio e mi ha sempre spronato a fidarmi di lei.
“Vedrai che non sarà sempre così a babbo. Non perdere la fiducia, lei ti vuole bene solo non è ancora riuscita a capire come dimostrartelo”
In tutto il periodo della mia malattia ho l’impressione che mia madre non sia riuscita a realizzare cosa mi stesse capitando, anche se ero dimagrita tantissimo quando abitavo con lei In clinica, durante i ricoveri passava le notti con me, ma non ricordo una sola parola utile a spronarmi a guarire. Credo si sentisse rifiutata, esclusa.
Ed io so che tutto nasce dal rapporto con lei e dalla comunicazione con lei. che non c’è mai stata .
Nonostante tutto, ce l’hai fatta
Sì, ne sono orgogliosa. Sono riuscita a uscire dal tunnel dell’anoressia all’età di vent’anni circa, un anno prima che morisse mio padre. Sono trascorsi ben tredici anni da quando mi sono lasciata alle spalle quel periodo che però non dimentico.
Oggi cerco di prendermi cura di me stessa evitando le ossessioni per il cibo o per qualsiasi altra cosa e cercando di affrontare i problemi non appena sorgono, dialogando ed esternando il mio stato d’animo quando ce n’è bisogno.
Cerco di valutare le situazioni in modo più distaccato, riuscendo così a trovare sempre un equilibrio interiore e una soluzione ai probabili problemi.
E poi, ho imparato a chiedere aiuto.
Al mio compagno o alla mia famiglia. Perché imparare a chiedere aiuto è importante così come essere circondati da persone che sappiano ascoltare senza pregiudizi e dare una mano nel momento del bisogno. E’ bello avere intorno qualcuno che ti vuole bene.
Oggi sei madre di una bellissima bambina. Com’è il rapporto con lei?
Nostra figlia ha dieci mesi ed è una bimba autonoma, stupenda. Lei decide i tempi del sonno, come e quando giocare eccetera. E’ libera. Non l’ho mai costretta a dormire di più di quanto non avesse voglia, a mangiare di più, a giocare diversamente da come ha voglia di fare.
Pensa che l’ho svezzata a quattro mesi, a otto mesi scarsi ha voluto mangiare da sola con le sue mani, sempre giocandoci un po’, prima di ingerirlo 🙂
Oggi ho fiducia nell’istinto di mia figlia e sai una cosa? Funziona! Mi fa sentire bene e anche lei sta bene. Tutto questo è molto importante per me. Quando ero anoressica avevo rimosso la mia autonomia. Mi ero abituata all’idea che solo i genitori sanno ciò che è meglio per te. Io non avevo trovato altro modo per dire che Emilia era qualcun altra.
Ma oggi non è più così, per fortuna.
L’intervista con Emilia è terminata. La prima parte è riportata nell’articolo Magre da morire – Parte prima.
Desidero ringraziare Emilia per essersi messa a nudo così apertamente qui, tra le Volpi, e invito tutti voi a leggere la sua testimonianza.
Al momento la distribuzione è ferma, ma potete trovare il libro in catena di lettura su Anobii.
Sono gradite le vostre considerazioni o incoraggiamenti, tante donne e tanti uomini sono oggi affetti da questa terribile e subdola malattia. Le loro storie si intrecciano ogni giorno con le nostre. Facciamoci vicini
17 Comments
Banaudi Nadia
Mi si è stretto il cuore leggendo. Quel nostra figlia alla fine però è la più bella dichiarazione d’amore. Sono certa che nulla verrà dimenticato, ma anzi nulla sarà stato vano, solo superato e ti faccio i miei migliori auguri perché le giornate piene di sole superino di gran lunga il tempo le nuvole.
Elena
Sebbene oggi Emilia stia bene, credo che dentro si sé porti i segni di tutto questo dolore. Nessuno realmente sa perché si giunga a un tale senso di disagio e forse non è nemmeno così importante. Ognuno ha la sua motivazione. La cosa importante è individuare la strada per uscirne. Purtroppo i centri specializzati sono, almeno in Piemonte molto pochi, solo due. Una cosa del genere non può essere lasciata solo alla famiglia , occorre supporto, sostegno, cure. Amore. Qualcuno sostiene che l’amore curi ogni cosa…… Grazie per il tuo commento Nadia, a presto
Giuseppe
Bellissima intervista. Molto toccante. Complimenti Elena. Complimenti Emilia. Felice di averti conosciuta.
Elena
Grazie Giuseppe 🙂
Marina
Cara Elena, é bello questo tuo dare voce a storie di vita che in molti preferiscono non ascoltare, o che vengono fagocitate, ahinoi, da morbosi interessi perversi, e distribuiti in certi canali solo per altrettanti motivi di audience. Ogni volta che incappo in queste testimonianze mi chiudo in me stessa a pensare, mi domando cosa significhi fare il genitore, mi chiedo quanto sia facile condannare, e altrettanto facile, per altro, giustificare…
Io posso testimoniare solo cosa significa essere stata figlia nella situazione in cui lo sono stata, e non c’è né c’è stato nulla di facile anche in quello, purtroppo.
Un giorno mi é stato rammentato che quella del genitore é una professione a tutti gli effetti. Condivido, pure con la certezza che si tratti di una professione resa difficile dalle condizioni emotive sottostanti, di difficile gestione. É complicato, é serio, é davvero impegnativo. È condizionato dai trascorsi di ogni chiamato in causa, figlio del suo tempo, della sua cultura, delle sue esperienze, e dei suoi problemi.
Il mondo animale ci insegna che il piccolo deve diventare adulto per vivere, guadagnerà quella vita, con le proprie forze. Spesso (troppo spesso) in contrasto con le modalità della nostra cultura, avviene un distacco dalla famiglia di origine,che consente una esplorazione totale, anche se il rischio é totale. La natura ti sfida: ce la fai oppure no. Crudele, la vita, selettiva, ma davvero superba!
Un abbraccio.
🙂
Elena
Se non sbaglio quando ci siamo conosciute, uno dei primi temi su cui abbiamo discusso era proprio questo: donne senza figli possono esprimere orientamenti, opinioni, sulla crescita e sull’evoluzione dei piccoli uomini e piccole donne? Io sono convinta di sì, perché sono parte di questo universo un cui ciascuna di noi partorisce qualcosa, si fa carico di qualcosa e ama profondamente qualcuno come se fosse un figlio. Anche se non “esercita” la professione di madre, non è detto che madre non si possa essere… E in ogni caso per me la cosa più importante in questa fase della mia vita è trasmettere ciò che so. Non avendo figli cerco spazi di ascolto, perché non voglio che ciò che ho imparato vada disperso.E una cosa che ho imparato è l’autonomia. Non credo nel principio della chioccia, anzi ritengo questa modalità soffocante. Meglio accettare la sfida della vita. Ma mi pare di capire che sia molto più difficile lasciar tentare che tentare la propria strada…..Abbracci
Marina
Onestamente, se una cosa mi é chiara, é la consapevolezza acquisita che di facile, in questa vita, non vi é proprio molto. Per noi, così come per gli animali, che pure sono rimasti più vicini ai loro istinti e meno lontani dalle “leggi di natura” di quanto abbiamo fatto noi, in nome della razionalità e di un fumoso concetto di moralità, sempre li a cambiar volto…
È vero, ce lo siamo detto: la maternità non é esclusivo appannaggio della biologia, ma un modo che include la cura, l’amore, il rispetto, e la voglia di vedere che altri divengano sé, non il prolungamento di chi li ha guidati.
Il mio commento non mirava a giustificare certe dinamiche (es. anche se non era tua intenzione uccidere quella persona, lo hai fatto!) ma a contestualizzare certe azioni che, a volte, sono eseguite nel rispetto di modi appresi, forse gli unici conosciuti. Temo che chi poi dovesse arrivare a comprendere la gravità sostanziale di quella ignoranza sottostante, potrebbe percepire un dolore infernale. La legge non ammette ignoranza; la stessa natura la punisce – come é giusto che sia, ma non sempre chi la subisce e se ne fa promotore ha avuto a disposizione gli strumenti per diradarla. Questo porta in un loop drammatico ed inevitabile, perché la vita vuole la vita, e cura solo se stessa. Giusto e triste al contempo…
Elena
E’ sicuramente come dici, le azioni compiute sono “ispirate” da modi appresi, spesso nel periodo più importante della nostra formazione che è l’infanzia e l’adolescenza. Dunque la famiglia. Ma non si dice forse che occorre a un certo punto “uccidere il padre”? Quel dolore di cui parli io l’ho provato quando ho capito che essere come i miei genitori stava uccidendo la mia anima. E loro sono due ottime persone, ma io volevo essere la mia personale ottima persona 🙂
Barbara
Non ho conoscenze dirette di anoressia o bulimia, ma per quel che ho visto, sentito, letto sono devastanti. Non direi poi che sono fenomeni prettamente adolescenziali, la maggioranza certo lo è, ma temo che anche in altre fasi della vita possano colpire duro. Probabilmente l’adolescente, affrontando già il frastornato periodo dello sviluppo fisico, è più soggetto al bombardamento mediatico circa la forma fisica perfetta, quella vergognosa taglia 38 poco salutare che sfila ancora oggi in passerella (personalmente quando vedo certi vestiti meravigliosi indossati da modelle che sembrano malate, mi rifiuto categoricamente di acquistare). Credo che la moda abbia grosse responsabilità in questo campo e sono contenta per esempio che Mattel abbia lanciato un anno fa i nuovi modelli «petit» (minuta), «tall» (alta) e «curvy» (formosa), con diverse tonalità di pelle e capelli, per un totale di 33 nuovi modelli. E’ qualcosa, anche se si può fare di più.
Elena
Ciao Barbara, la malattia insorge in età molto giovane, ogni ci sono bambine di 10 anni ricoverate… Nei casi più fortunati nell’arco di due o tre anni si guarisce. Ma altre restano impigliate nella malattia per tutta la vita. Sulle taglie sono assolutamente d’accordo con te. Il comunella di Torino un paio di anni fa ha vietato ai negozi del centro di mettere in vetrina abiti e modelli taglia 38…. Mi pare civile.. C’è tanta sofferenza Barbara, e purtroppo non tutti sopravvivono… Sono storie dolorose. Grazie per essere passata di qui
Emilia Amodio
Ciao a tutti
Sono Emilia…si sono io la persona intervistata da Elena la quale ringrazio per avermi dedicato tempo e per avermi dedicato spazio nel suo blog.
Ma soprattutto la ringrazio per dedicarsi a queste problematiche
Io sono una d molte che ce l hanno fatte e mi considero fortunata per aver ricevuto tanto amore in quel periodo grazie al quale mi sono salvata e ho capito di mon essere sola ma soprattutto libera di poter scegliere e d avere potere decisionale sulla mia vita. Spero che la mia testimonianza possa essere d aiuto a molte persone.
Mia figlia che oggi ha 19 mesi è il più grande dono che la vita mi abbia donato dopo anni di lotta. Quando la guardo ringrazio molte volte mio padre per essere riuscito a lottare al mio fianco. Non sono sicura che senza di lui ce l avrei fatta…
Per dare un parere personale alla discussione sulle madri, è mio parere che Mamme c si nasce (con l indole d madre) e molte donne senza bimbi lo sono più d alcune madri con bimbi.
Ringrazio tutti voi per aver partecipato alla discussione.
Un abbraccio a tutti
Emy
Spero che presto il libro torni nelle librerie
Per il momento può essere letto in modo privato tramite una catena di lettura come ha già detto elena
Elena
Emi ti ringrazio per questo commento vivo e per le parole di comprensione che esprimi. Sono felice di averti incontrata! Baci alla piccola, ha una madre Grande
Emilia Amodio
Il problema per la famiglia di suddette dagazze, donne adulte e uomini e ragazzi è che esistono pochi centri e poco supporto ancora oggi e che molte terapie di sostegno sono a pagamento
Spero che presto ciò possa cambiare
Elena
Queste tua parole dovrebbero essere ascoltate da tutti. Sono terribilmente vere. Ieri ho ascoltato dal vivo la testimonianza di un padre che ha visto morire sua figlia perché nessuno li ha presi in carico. Mi viene una rabbia amica cara…..
Emilia Amodio
È vero cara Elena fa proprio rabbia anche perché non è giusto che una famiglia meno fortunata non riesca ad avere un vero sostegno da parte della sanità e che oltre il grande dolore e il grande coraggio che ha nell’affrontare la situazione si debba vedere isolata..si parla tanto d sanità pubblica ma la verità è che per problemi seri quali dca, malattie degenerative, e quante altre i mezzi e gli strumenti utili per risolvere i problemi diventano privati, non più convenzionati. Una vera vergogna che si giochi cosi con la vita delle persone.
Spero che le cose cambino.
Spero che anche l ABA possa in toto mettere a disposizione delle famiglie le terapie gratuitamente o almeno far pagare un tot in base al reddito mantenendo ovviamente alto le qualità dei loro professionisti.
Speriamo che non sia Utopia…
Un forte abbraccio a tt
Emilia Amodio
Elena perché non scrivi un articolo a proposito del convegno a cui haj partecipato? Sarebbe interessante e molto utild. Baci emy
Elena
É una buona idea Emilia, ci penso su. Baci