Forse capita anche a voi di sentirvi strette in mezzo ad abitudini, comportamenti o aspettative di altri che non sentite più vostre. Fare una fatica del boia a lasciare qualcosa di tutto ciò che credete di essere, attaccandovi a ogni cosa che vi riguarda per paura, perdendola, di perdere un pezzo di voi.
Donne a metà, che si trascinano tra i doveri e i piaceri, tra l’essere ciò che desiderano e l’essere ciò che serve, che si dividono tra ciò che ritengono giusto fare/essere e ciò che è giusto fare/essere. Giusto per loro.
Le due metà sono così distanti che il risultato è una lacerazione profonda del nostro sé; può generare conseguenze molto dolorose.
Avete mai provato ciò che descrivo?
Quando nonostante i tentativi di tenere insieme tutto, faticosi e ingegnosi allo stesso tempo, qualcosa si spezza, ci rendiamo conto che non possiamo più andare avanti e, improvvisamente, si cambia.
Le parti di noi che hanno coabitato in modo più o meno sopportabile fino ad allora chiedono il conto. Vogliono essere integrate.
Si tratta di una sorta di intelligenza inconscia: quando qualcosa è rotto è ovvio che non possa più funzionare. Tanto vale cambiarlo. Ne abbiamo consapevolezza nonostante riflessioni, aiuti e sostegni di amici o professionisti; quell’attimo in cui tutto diventa chiaro è inatteso, sorprendente, mai banale, anche nella sua semplicità.
Come un clic che scatta nella testa mentre stiamo pensando ad altro. Non sarò più una donna a metà.
Così è capitato a me. E così ho capito che non potevo, non volevo più essere una donna a metà.
Non sarò più una donna a metà
L’attimo in cui ho fatto clic
Cammino sola, lungo un sentiero che conosco bene. Penso che tra qualche giorno è il mio compleanno, 54 anni. Una bella cifra, rotonda; due numeri che si guardano, si ascoltano, si sfiorano.
Il bosco autunnale ombreggia i miei passi, complice un sole estivo spuntato all’improvviso. Resto concentrata sull’andare, osservando la natura che mi circonda.
Più avanti, su un lato del sentiero, un gruppo di funghi prataioli sembra essersi radunato accanto al fogliame per un pic nic.
Più in alto un falchetto cambia la direzione del suo volo e si posa sulla sua preda con una dolcezza inversamente proporzionale alla ferocia con cui il suo becco arpiona un rettile o qualcosa del genere. Non riesco a riconoscerlo. Non voglio.
Mi godo la bellezza della solitudine e del silenzio, con cui ho fatto amicizia da tempo. Il profumo di legna umida mi confonde. Cos’è quel rumore, laggiù, nel bosco? La mia cautela è dovuta a un incontro, datato molti anni prima in un’altra valle, con una famiglia di cinghiali.
Una paura con il senno di poi ingiustificata. Non dovrei leggere così tanti racconti dell’orrore!
E’ solo un cerbiatto. Lo scorgo appena ed è già sparito. Mi ha vista. Mi ha guardata, Ne sono sicura.
Ancora rumori, questa volta sono di fondo e somigliano a rimpianti.
Penso a tutto ciò che ho fatto in questi anni e a tutto ciò che ho dovuto lasciare, non importa il perché. Mi manca. Sono concentrata su ciò che non c’è più e non su ciò che possiedo, che sono, proprio adesso, con i piedi immersi nel bosco.
Vorrei essere l’intero di tutto ciò che amo, non una sola metà. Ma mi rendo conto che è impossibile
Da due anni non salgo su una barca a vela, né dirigo una regata. Mi manca il mare e mi sembra di aver buttato via il tempo di molti anni di preparazione, formazione, allenamento.
Durante la pandemia ho frequentato un corso di coaching evolutivo perché in quel periodo mi sembrava che potesse, dovesse cambiare tutto, a partire dal mio lavoro.
Mi sbagliavo, anche se quella convinzione ha lavorato per mesi dentro di me mettendo in discussione tutto.
Non posso dire che non sia cambiato nulla, anche se parte di quei progetti sono finiti nel dimenticatoio. Le cose che ho imparato mi hanno cambiata, me ne accorgo ogni anto giorno.
Non sono più la stessa. Un refrain che mi ripeto da anni ormai nei pressi del mio compleanno e che si rinnova sempre.
Se mi volto indietro, lungo il sentiero, non vedo nessuno.
Anche la donna che ha fatto quelle scelte non c’è più o, meglio, si è trasformata.
Quando cerchiamo l’ombra del nostro sé ci voltiamo su noi stesse senza mai afferrarci. Inutile correre dietro a un’idea di noi che non tornerà più.
Queste parole mi convincono così proseguo fin dove il sentiero si fa più erto. Spingo i bastoncini sul terreno sconnesso, mi danno la giusta spinta per andare avanti, cercando di guardare con affetto tutte le parti di ciò che sono stata e riconoscerle come ancora esistenti, anche se meno vivide perché integrate con altre.
E’ proprio mentre schivo l’ennesima buca che so che non sarò più una donna a metà.
Ho deciso: sarò tutto quello che ho messo da parte e niente di tutto questo. Sarò un intero, una sfera senza crepe che contiene ogni grammo della mia esperienza.
Questa è la risposta che attendo da tempo per una domanda che non mi sono mai davvero posta.
Riguarda il mio viaggio in questa esistenza. Il suo significato, la mia stessa natura.
Rimettere insieme le nostre metà, il lavoro più utile che possiamo fare per essere le donne che vogliamo essere
Ed ecco che questo fraseggio assume nuovi significati. Le mie continue riflessioni sull’esistenza di molte parti di me finalmente si compongono in un unico quadro: io.
Non voglio più essere una donna a metà e se questa estate mi ha portato qualcosa è stato senz’altro questa nuova consapevolezza.
Sono tante le parti da ricomporre, ognuno conosce le proprie.
Ho deciso di cominciare dal mio lavoro e dall’esplorazione di una nuova forma di comunicazione/ascolto per ciò che ho intorno e per me stessa. Non più una cosa in alternativa all’altra, ma fondere insieme due o più esperienze.
Riconosco in questo gineceo la me sindacalista, la me sportiva o piuttosto dirigente sportiva, scrittrice, coach, studiosa, figlia, amica solo per citarne alcune.
Fino alla passeggiata nel bosco che vi ho raccontato, pur conoscendo l’importanza della ricomposizione o meglio dell’integrazione dei miei sé, come la psicoterapia insegna, non ne avevo mai mai intuito davvero l’importanza.
Ora tutte le mie passioni, talvolta solo temporanei innamoramenti, mi lasciano dentro una grande gioia per la scoperta e anche una grande frustrazione per non riuscire a viverle fino in fondo.
Tutti i passi indietro che ho compiuto mi hanno fatto perdere occasioni di cui altri hanno beneficiato.
Non sarò più una donna a metà significa avere il coraggio di essere tutto ciò che abbiamo sfiorato e ci ha dato gioia. Significa prendere coscienza di chi si è davvero e accettare ogni parte di noi come avente il diritto di contaminare le altre. E’ allora che cambia tutto.
Per me tutto è cambiato.
Ho scelto e riconosciuto la parte di me che in questo momento contiene tutte le altre e ho deciso di investire su di essa. Senza scorciatoie o vie secondarie che mi costringerebbero a perdere di vista il cammino principale.
E’ solo quando capisci chi sei che sai anche chi vuoi essere.
A 54 anni so che voglio essere una donna intera. Non vedo l’ora di vederla vivere pienamente come merita.
E voi care Volpi, vi siete mai sentite donne/uomini a metà? Quali sono le parti di voi che riconoscete e quali tenete in disparte?
14 Comments
Grazia Gironella
Credo di capirti molto bene, cara Elena. E’ un periodo così anche per me, con la differenza che non ho ancora raggiunto un approdo – non l’ultimo e definitivo, perché finché vivo ce ne saranno altri, ma quello giusto per questo momento. Il fatto è che per rinnovarsi è necessario essere disposti a lasciare andare qualche pezzo di sé. Io credo che sia così. Poi in realtà ciò che lasciamo continua a vivere dentro di noi, e spesso anche fuori, ma esce dalle nostre priorità e crea spazio per la nuova persona che stiamo diventando, o vogliamo diventare. Ti abbraccio.
Elena
Oggi cara @Grazia ho sentito un motto semplice semplice che mi ha colpito molto. recita più o meno così: l’autunno ci insegna a lasciare andare le cose che sono morte. Un po’ truce ma reale, questo tuo commento me l’ha fatto ricordare. Dici bene, non vi è alcun approdo definitivo, ma solo temporaneo, quello giusto per il momento che stiamo vivendo. Io l’ho trovato dentro di me scoprendo la nuova persona che sono. Libera sebbene legata a sé stessa (una bella contraddizione). Ho bisogno di accettare che parti di me sono morte e non sono certa torneranno. Ci ho messo molto tempo e molta sofferenza. Ma ci sono arrivata. Le guardo con simpatia e comprensione. Grazie per avermi compresa, sono sicura che la sintonia che esprimi è reale. Ti abbraccio anche io
newwhitebear
Ho l’impressione che sei entrata in fase involutiva dove silenzio e solitudine ti spingono a chiuderti su te stessa. Forse la mancanza di una prospettiva chiara che appare invero nebulosa e nebbiosa dai contorni sfumati, ti induce a pensare di essere una donna a metà. In realtà non lo sei perché fino a qualche anno fa ti sentivi dinamica e giovane ma ora non più. Se superi questi momenti tornerai come lo eri prima.
Elena
Chiudermi in me stessa, sì, forse è un rischio. Ammetto che la pandemia, o meglio il lock down, mi abbiano spinta in questa sicurezza che via via si è fatta gabbia. Oggi ogni giorno lavoro per conquistare o riconquistare spazi di libertà che quel condizionamento mi ha tolto. Capita anche a te? Ma non direi che si tratti di involuzione. Al contrario, pensa che mi sento evolvere, crescere. In qualche modo migliore. Grazie per la tua presenza Gian
Giulia Lu Mancini
Spesso siamo quello che vogliono gli altri, genitori, amori, amici, la società. Per anni ho cercato di assomigliare a quella donna che voleva la mia famiglia o il contesto sociale, mentre volevo solo essere me stessa, l’ho capito con la fine del mio matrimonio e con altre situazioni pesanti che ho dovuto affrontare. Da qualche anno mi sento più libera, ma la longa manus della famiglia di origine a suo modo ancora mi opprime. Anche certe figure di contorno fanno la loro parte, il condizionamento esterno resiste sempre, ma la consapevolezza di quello che si vuole essere é già un modo per arrivarci. Quindi sei sulla buona strada, in bocca al lupo
Elena
Cara Giulia, sento che siamo sulla stessa traccia. Inutile misurare a che punto, la cosa bella è che ci siamo, e basta. Emanciparsi da ciò che ci chiedono è un lavoro duro e faticoso, produce sofferenza perché siamo l’immagine che ci siamo fatte di noi stesse nel riflesso degli altri. Qui pago anche una certa idea di me stessa: eroica, sfidante, vincitrice di ogni scommessa. Ammetto, e farà sorridere, che l’ho pensato di me. Ma non regge. non può reggere. Il bello è che alla fine ho capito che quello che ho amato può essere integrato con ciò che già amavo. Così accade che io stia scrivendo un libro su come utilizzare il coaching per migliorare le relazioni all’interno del sindacato. In fondo sto cercando risposte alle stesse domande. Sono dunque sulla buona strada, almeno dal mio punto di vista. In bocca al lupo a te e alla tua dinamica con famiglia e tutto il resto. Mi sento a te vicina
mattinascente
Siamo come quelle sfere della disco anni 80, mille sfaccettature, mille luci che si riflettono, bellissime, da qualsiasi parte tu le guardi. Eppure la loro bellezza si spegne, se c’è il buio intorno a loro. Forse il sentirsi “a metà” è proprio il frutto dell’isolamento, prima forzato e poi ricercato. L’altro è quella metà che ci infastidisce, ci sfida, ci sprona al confronto, ma è anche quella metà che ci permette di brillare.
Un caro saluto.
Elena
Grazie mattinascente per questa bella immagine che mi regali. Quelle sfere luminose erano e sono bellissime e rinviano molti lati di noi. Il senso di dimezzamento che ho descritto qui è legato alla difficoltà di tenere insieme tutte queste tessere e a volte rinunciare a qualcuna. Forse è proprio l’idea di non dover essere o una cosa o l’altra ma entrambe che può giovare a non sentirsi secata in due come spesso mi accade. La metà che infastidisce, sprona e fa crescere la conosco bene. E’ quella che mi fa buttare in nuove esperienze e nuovi esperimenti. L’altra si lamenta perché teme di essere abbandonata, ma alla fine fanno sempre pace. Un caro saluto anche a te
Sandra
Forse non proprio a metà, però persa in dimensioni che non mi appartenevano, quello sì. La migliore me stessa è adesso, però non ci si arriva facilmente, il lavoro e il cammino sono stati totalizzanti e duri, eppure bellissimi e soprattutto necessari. Quasi tre anni di covid non potevano lasciarci indenni, abbiamo vissuto e stiamo in parte vivendo ancora ora, un tempo straniante e doloroso. La gratitudine è diventata un elemento importante e costante dei miei giorni assieme alla costruzione e alla ricerca costanti di cose belle, piccole ma bellissime, per riempire le mie giornate e accarezzare la mia anima.
Elena
Hai ragione @Sandra, tre anni di Covid (che non è ancora finito) hanno lasciato tracce. Alcune le hanno raccontate e si raccontano volentieri, altre le teniamo nascoste ma sì, ci ha cambiate. A volte piccole cose che diventano impraticabili e il dolore, per le perdite subite, per ciò che ci viene impedito, per una sorta di furto di un tempo di vita che non tornerà e che anzi pesa il doppio. La gratitudine è utile e se c’è qualcosa che può davvero fare in modo che tutto questo non sia vano è il cambiamento che possiamo regalarci. La migliore te stessa è adesso. Credo che questa affermazione valga tutti gli sforzi che hai fatto e che stai facendo. Buona strada 🙂
Franco Gabotti
Ciao Elena, esiste un altro grado di separazione da noi stessi, lo si raggiunge a determinate condizioni: ci si deve spogliare di ogni ruolo che la società e la cultura dominante ci hanno attribuito per trovarci soli ma penetrati dalla Natura di cui facciamo parte, quindi infine in una sorprendente e affollata compagnia.
Guardandoci dal di fuori possiamo imparare ad accettarci, a vederci sopravvivere e a praticare compassione e umiltà. Lo so che un punto di vista piuttosto zen non è utile in una battaglia quotidiana e che poterselo permettere è privilegio, ma può aiutare.
Elena
Può aiutare soprattutto per chi è impegnato in una battaglia quotidiana! Mi colpisce questa frase, accettarci e vederci sopravvivere con compassione e umiltà. Ecco credo che buona parte delle mie sofferenze, che non sono drammatiche ma nemmeno dimenticate, avrebbero potuto essere alleviate se solo avessi avuto più compassione e dolcezza nei miei confronti. Talvolta ci giudichiamo troppo duramente. L’ho fatto per troppo tempo. Ora voglio solo librarmi leggera, magari in quella Natura di cui parli e che anche io amo
newwhitebear
se capita anche a me? In un certo senso sì, anche se a dire il vero non sono mai stato troppo estroverso. Diciamo che da quando mi è capitato il problema al cuore mi sento più solitario anche se cerco di non pensarci.
Elena
Anch’io dopo la pandemia mi sento più solitaria. Sono passaggi della vita che ci dicono qualcosa di noi e di quali talenti o caratteristiche coltivare. Mi godo il momento, avendo recuperato la salute starai godendolo anche tu