Scrittura creativa

Sei volpe o riccio? Amare le regole o affidarsi all’improvvisazione

Lessi “La pazza di casa“, di Rosa Montero, qualche anno fa. Mi piacque molto il suo stile diretto e senza fronzoli, una donna di cui ho apprezzato l’anticonformismo, nella vita come nella scrittura. Regole o improvvisazione anche nell’ambito creativo.

In uno dei brani salienti di questo libro, Rosa definisce se stessa come una “volpe, che cammina di romanzo in romanzo alla scoperta di paesaggi inaspettati. Senza adattarsi mai o ripetersi.

La metafora mi ha colpita. Non solo perché la volpe è il simbolo di questo blog, come ho raccontato nel primo articolo che ho pubblicato, ormai più di cinque anni fa.

Ma anche perché la volpe con il tempo è diventata, forse inconsapevolmente, anche il modo, l’immagine il simbolo con cui leggo me stessa.

L’indole nomade della volpe mi affascina e voglio capire meglio il perché. Tra la volpe e il riccio, dilemma con cui giocheremo lungo tutto l’articolo, Rosa si definisca una volpe, nella scrittura e nella vita.

Ho approfondito l’argomento e ne è venuta fuori la riflessione che oggi pubblico sul blog. Buona lettura!

Sei volpe o riccio? Amare le regole o affidarsi all’improvvisazione

Regole o improvvisazione

Quanta energia mettiamo nelle passioni che animano la nostra vita.

Per amministrarle in modo sapiente ci dotiamo di regole che consentano di bilanciare tempo, risorse, energie, entusiasmo.

Sostenuti da un robusto sistema di regole interiori e da una buona dose di fantasia e improvvisazione, ci avventuriamo tra i boschi della vita assaporandola appieno e alimentando passioni che spesso si rinnovano, lasciandoci senza fiato, talvolta letteralmente.

Ma se ci fermiamo per riconoscere, dare un nome al motore che ci spinge a praticarle tutte, alcune persino distanti le une dalle altre, a volte manca il fiato.

E una domanda ci assale: perché le amiamo tanto?

La ragione profonda, l’energia che le guida. Di cosa si tratta?

Trovare la risposta è difficile, sfuggente.

Essere volpe, essere riccio. Che cosa intendo?

Per capire chi siamo a quale delle due energie ci muove, tra regole e improvvisazione, giova recuperare una classificazione, ideata da Isaiah Berlin, tra volpi e ricci. Quando l’ho scoperta, ha subito attirato la mia attenzione.

Cosa induce ciascuno di noi a ritagliare tempo, pensieri, azioni per fare ciò che desideriamo fare, ciò che amiamo? Riguarda forse il modo in cui prendiamo la vita?

Esistono differenti approcci ai problemi e alle cose in generale e forse conoscere il nostro “modello di funzionamento” può aiutarci ad affrontarli e a concepire il cambiamento.

Perché se è vero che aderiamo a un “modello di funzionamento” è altrettanto vero che non siamo obbligati a restarvi imbrigliati, per sempre.

A volte ne cogliamo alcuni aspetti, sfaccettature che, al pari di quei disegni di cui si devono unire i puntini, compongono la nostra visione di noi stesse.

Una visione legata spesso a ragioni antichissime, vecchie almeno quanto noi, buone da riscoprire ogni giorno, o che appaiono per la prima volta.

Grandi e piccole ragioni. Quando a volte ne basta una soltanto per calmare la nostra tensione emotiva. Proprio come sa fare il riccio.


Volpe o riccio
Archiloco
"La volpe sa tante cose, ma il riccio ne sa una grande"

L’idea di stabilire una connessione, anzi una contrapposizione tra la volpe e il riccio al fine di spiegare i differenti approcci alla vita è venuta a Isaiah Berlin e alla sua fisiognomica delle idee.

Nel saggio Il riccio e la volpe, edito nel 1953, Berlin si interroga sui differenti approcci ai problemi e alle cose che caratterizzano l’agire umano.

Dice Berlin delle volpi:

coloro che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contraddittori, magari collegati soltanto genericamente, de facto, per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico

e dei ricci:

coloro che riferiscono tutto a una visione centrale, a un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono

Provate a immaginare una scena rupestre: la volpe, affamata, si aggira per i boschi in cerca di cibo. E’ veloce, scattante, famelica e spigolosa. Il suo muso affusolato si infila ovunque e i suoi occhi, sostenuti dal suo fiuto, la guidano, anche nella notte più buia.

Sulla sua strada si imbatte un riccio, pesante, rotondo, lento e abitudinario. La volpe sa che si trova a un passo da lui e che può prenderlo, con un solo balzo. Ma ciò che la volpe non può ancora conoscere è che il riccio sa appallottolarsi su se stesso, offrendo al nemico la sua parte coriacea più pericolosa: i lunghi aghi della sua pelliccia.

La volpe è astuta, versatile, studia il terreno, gli gira intorno, prova a farlo ribaltare.

Il riccio, solido nella sua convinzione, si affida all’unica regola che conosce, quella che gli ha salvato la vita da sempre: porge la schiena al nemico e tiene duro. non molla fino a quando non si sia allontanato.

In una parola resiste.

Rigidità e morbidezza, calma e movimento

Provando a uscire dal racconto immaginario, si può sostenere come il riccio veda il mondo attraverso un’unica idea, una grande visione centrale, fondante la sua stessa esistenza.

L’ha formata lungo il suo intimo divenire, è a lui nota sin dall’inizio e l’ha perfezionata, giorno dopo giorno, arrotolandosi e irrobustendo gli aghi, tenendo il corpo ricurvo, senza mai stancarsi.

Dentro di sè possiede una disciplina straordinaria, una forza e una resistenza fuori dal comune.

Se anche sentisse la paura, non potremmo vederla. Se ne sta nascosta, dentro la parte più morbida di sé, protetta dalla sua perfetta armatura.

La volpe ha percorso chilometri e chilometri di strada in cerca di cibo e di un luogo sicuro dove vivere.

Protetta soltanto dalla sua pelliccia e dalla sua velocità, deve rifuggire gli spazi abitati per evitare il nemico più pericoloso, lo stesso nemico che il riccio non può vedere e di cui è spesso vittima. L’uomo.

Ma la sua transumanza le offre una vasta gamma di esperienze. I suoi ragionamenti si fanno malleabili, flessibili, si adattano alle circostanze, possono integrare prospettive ed idee differenti. 

Il riccio non dubita. Conosce la sua forza e la sua debolezza. Non fa che attendere che il peggio sia passato.

La volpe è cauta, pragmatica, incline a vedere complessità e sfumature. Irrequieta tenta tutte le strade. Difficilmente si arrende.

L’irsuta difesa del riccio allontana, respinge. La morbida pelliccia della volpe avvicina, incoraggia.

Con impazienza il riccio attende che la volpe si allontani per riprendere la sua lineare esistenza. La sente respirargli accanto, la annusa, e quasi si prende gioco di lei quando si sincera che ancora non si dà per vinta.

Potremmo assegnare al riccio una certa rigidità, come gli aculei che porta sul dorso. Come quelli di coloro che affrontano la vita in difesa, avendo elaborato la strategia più comune di tutte, indossare un’armatura.

L’errore non è contemplato nella sua esistenza, poiché equivale alla morte, all’umiliazione, alla sconfitta. Se un riccio commettesse un errore, si liberasse dalla sua propria difesa troppo presto, difficilmente potrebbe rimediarvi.

La volpe, invece, di fronte a una rigidità deve pensare in modo complesso se vuole farcela. Deve fingere, allontanarsi e poi sorprendere, resistere agli aculei e tentare di ribaltare la sicurezza del riccio.

Mentre osserva da ogni punto di vista la palla aghiforme, cerca senza tregua una via, si punge il naso arretra e poi ritenta.

La fortuna della volpe è che può percorrere chilometri per cercare di sfamarsi. Il riccio è costretto a un luogo fisico da cui in qualche modo è tenuto in scacco.

Ha un’unica, grande visione, mentre la volpe riconosce che la sua relatà dipende da forze esterne e dalla cieca fortuna, che può condurla a trovare la prossima, facile preda, nel giro di poco, pochissimo tempo oppure di giorni.

Ricci e volpi famosi secondo Berlin

Torniamo a Berlin. Egli ci semplifica il lavoro, permettendoci una qualche forma di identificazione con i grandi del passato. Secondo il suo pensiero, riccio sono Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust.

Tra le volpi annovera Shakespeare, Erodoto, Aristotele, Erasmo, Molière, Goethe, Puskin, Balzac, Joyce e Montaigne.

Non ho difficoltà a dirvi che, seguendo questo schematismo, d’istinto sceglierei di esser riccio, tanto mi sento attratta dai geni che compongono quella classificazione.

Ma se mi fermo a riflettere penso che sia la visione del riccio che quella della volpe abbiano virtù che non si escludono a vicenda e che possono essere compresenti nella mia vita di donna nel suo complesso. 

Tuttavia credo che l’immedesimazione dica molto di noi. Immagino che vi siate sentiti attratti dall’uno o dall’altro animale e sarò curiosa di conoscere il vostro pensiero nei commenti, in fondo all’articolo.

Nella vita di tutti i giorni, così come in un percorso di crescita ed evoluzione, è importante lasciarsi affascinare da entrambi gli approcci.

Pensate alla volpe che scopre una sua abilità e la spende con rigore e determinazione fino a quando non ne è divenuta una esperta.

O al riccio, quando affacciandosi al mondo dal suo rotolare scopre la bellezza della flessibilità e delle conseguenze positive sulla sua esistenza.

La curiosità e la flessibilità della volpe ci aiuta a padroneggiare e raccogliere competenze in diverse discipline, settori, conoscenze, prospettive e argomenti.

Per migliorare un’abilità, specie se tecnica, abbiamo bisogno della determinazione e del rigore del riccio per perfezionarla.

Se vogliamo approfondire una nuova conoscenza, da un lato troveremo utile la tendenza ad una visione equilibrata del riccio; dall’altro, la ricerca delle contraddizioni di una volpe ci aiuterebbe ad aumentare i nostri limiti nel ragionamento.

E se applicassimo questa tassonomia alla scrittura?

Una volpe spazia tra i generi, un riccio ne conosce uno bene e lo approfondisce fino a farlo diventare il senso della sua stessa esistenza.

Il riccio scrittore è colui o colei capace di individuare un genere e tuffarsi dentro, senza annegare.

Le volpi invece, esplorano. Conoscono terreni differenti, vi camminano sopra con prudenza e coraggio, li assaggiano, ne restano feriti e poi, proseguono.

Approcciano le cose osservandole con metodo analitico, valorizzano le differenze, e decidono caso per caso l’atteggiamento da tenere sulle questioni da affrontare.

I ricci invece conoscono la loro legge fondamentale e la percorrono, fino all’esaurimento. Conoscono il mondo in cui operano a fondo e la loro collocazione nella società.

Le volpi camminano invece su un terreno scivoloso, sempre al confine con lo scetticismo, il cinismo e il relativismo.

Quanto a me, credo di poter confermare l’intuizione di questo blog. Sono profondamente una volpe. Non me ne voglia Berlin che assegna alla compagine dei ricci autori per me fondamentali come Dostoevskij che immagino ricci con lo sguardo della volpe, mentre scava a fondo i suoi personaggi, cogliendone l’archetipo.

Ho sempre usato la cifra della sperimentazione. Ho vagato, talvolta sperduta, sui ghiacci sottili cercando la via e quando l’ho trovata non mi sono adattata ad essa ma l’ho conosciuta e sono andata oltre.

La caratteristica della volpe che sento profondamente mia è proprio questa: la tensione della ricerca che la volpe esprime nel suo coprire vasti territori in cerca di qualcosa che possa nutrirla.

Sono nomade e coraggiosa.

Secondo Berlin è solo così che si può dare piena cittadinanza al pluralismo delle idee.

Esiste infatti un grande divario - scrive il filosofo - tra coloro, da una parte, che riferiscono tutto a una visione centrale, a un sistema più o meno coerente e articolato, con regole che li guidano a capire, a pensare e a sentire - un principio ispiratore, unico e universale, il solo che può dare un significato a tutto ciò che essi sono e dicono -, e coloro, dall'altra parte, che perseguono molti fini, spesso disgiunti e contraddittori, magari collegati soltanto genericamente ... per qualche ragione psicologica o fisiologica, non unificati da un principio morale o estetico. 

Ma forse è la loro stessa vita che li unifica e che dà loro un senso. In fondo tutti abbiamo bisogno di sorprese.


E voi, a quale passione rispondete? Quella del riccio o quella della volpe?

25 Comments

  • Luz

    Già leggendo il tuo bellissimo post mi dicevo: “ah, io mi sento del tutto volpe”, poi quando ho visto che lo sarebbe stato Shakespeare, allora non ho avuto dubbio alcuno.
    Mi sento e sono categoricamente volpe. Sono fatta per l’azione, la sperimentazione. Vero è che sono anche una Gemelli, e per chi ci crede l’aspetto della creatività mi muove necessariamente verso il dinamismo della volpe. Restare fermi, in attesa, non fa per me. Anche se vanto una certa capacità di riflessione, devo agire anche empaticamente e improvvisando. L’istinto mi porta verso quella cosa, quell’idea, l’obiettivo.

    • Elena

      Bene, un segno doppio (come me, bilancia) e un’altra volpe. Era ora, temevo di restare presto circondata da ricci! Non mi intendo molto di segni zodiacali non ho idea se il doppio possa indicare proprio una tensione tra due opposti. Se così fosse, dovremmo essere attratte da entrambe le figure. Inoltre, la bilancia di solito è accostata a equilibrio (a vanvera, per conto mio) e la volpe proprio non mi ispira questa immagine appunto statica. Inoltre, non so perché, l’ho fatto anche io, siamo inclini ad abbinare l’idea di volpe a istinto. Sono certa che anche il riccio lo possieda, eppure lo ascriviamo alla volpe. Non è quanto meno “caratteristico”? Forse è l’istinto all’azione, alla scoperta con cui ci identifichiamo, e una naturale indisponibilità all’inazione. Certo il riccio se la può permettere, è corrazzato per farlo. Una volpe no. Deve correre. Un po’ come la gazzella (così ci avviciniamo all’indicazione di Cristina e accontentiamo Marina che a quanto pare ama questi “accostamenti fauneschi” 😀

  • Grazia Gironella

    Bell’articolo! D’istinto mi attira il riccio, ma credo che le mie caratteristiche siano più da volpe. Di certo ci sono momenti in cui l’uno o l’altro approccio sono ideali per farci uscire dall’empasse, e comunque siamo più ricchi se sappiamo uscire dal nostro recinto naturale.

  • Barbara

    Riccio e volpe, leone e gazzella, toro e orso… cosa ne penseranno gli animali dell’uso che ne facciamo nelle teorie filosofiche e economiche? Sempre in suddivisioni dicotomiche, tra l’altro, o nero o bianco. Sono riccio o sono volpe? Nessuno dei due, mi sento più Pantera Rosa. 😀
    Curioso poi che nel marketing abbiamo ribaltato un po’ il concetto, dando più valore al riccio (l’Hedgehog Concept), intendendo che il riccio sa fare una sola cosa molto bene, mentre la volpe ne sa fare molte, ma non eccelle in nessuna. Quindi le aziende dovrebbero comportarsi da riccio individuando qual è il prodotto in cui non sono solo i migliori, ma sono unici.
    Questo perché, dicono, la frase originale di Archiloco si presta a molteplici interpretazioni.
    Non ho una visione unica (penso sarebbe pure limitante per un autore, come avere un solo punto di vista su una storia) ma non perseguo nemmeno principi discordanti. Forse sono una ricciolpe come Brunilde, oppure un volpiccio. Però io mi sento Pantera Rosa. 😉
    [musichina del famoso cartone animato in sottofondo]

    • Elena

      Ah Barbara che bei ricordi la Pantera Rosa! E quante caramelle ho mangiato avviluppate nel suo ritratto! Avevo letto in rete l’interpretazione del settore marketing circa la dicotomia di Berlin, ma non ne ho dato conto perché non la condivido, anche se come dici tu la frase di Archiloco si presta a molte differenti interpretazioni (ecco il valore della filosofia, mettere il naso in ciascuna di esse) . Questa interpretazione mi pare una forzatura utile certo a creare un messaggio funzionale alla vendita valutativo, quando per me il messaggio è a-valutativo, prettamente cognitivo. Stabilire dei limiti, dei confini del significato, in qualche modo depotenzia il portato di questa dicotomia che a mio avviso Berlin utilizza come una polarizzazione. Sembra voler offrire uno spunto di riflessione circa ciò che ci attrae perché ci somiglia e ciò che ci attrae perché ci manca. Le riflessioni faunesche, come le ha simpaticamente definite @Marina, sono da questo punto di vista utili per capire meglio noi stessi. E ci sta assolutamente che le persone ritrovino un pezzo di sé in ciascuno. Come @Brunilde, che si sente un ricciolpe, ovvero un misto con la prevalenza del riccio, se la scelta del neologismo non inganna. Oppure come te, che oltre a sentirti una Pantera Rosa (una pantera, che bell’immagine, ti si addice molto!) sei anche un volpiccio, che mi fa immaginare un morbido mantello pelosone con dentro la sorpresa ;). Mi sono lasciata andare alle sensazioni, chissà che ne pensate di questa lettura, questa sì, pindarica!

  • Marina

    Sono un riccio, Elena. Totalmente. 🙂
    Della volpe, si può dire mi manca tutto: l’intraprendenza, l’inclinazione a sperimentare. A me tutte le novità mettono ansia, preferisco il sicuro di ciò che conosco all’insicuro di ciò che non ho sondato. Mi difendo con le sole armi che possiedo, non amo i cambiamenti e, nella scrittura, uno e uno solo è il genere in cui so di potermi esprimere. Se provo con altro, arrivo alla riga due e mi fermo sconfitta.
    Bella, comunque, questa trattazione. Prevedi altri accostamenti fauneschi? 🙂

    • Elena

      Ciao Marina, sono felice che tu abbia apprezzati gli accostamenti fauneschi e non avevo previsto di farne una sorta di meme, ma dopo il commento di Cristina potrei proprio pensarci! Chissà…
      Ti ringrazio per la franca descrizione di te stessa, talmente efficace che mi è parso di conoscerti da sempre, mentre invece tutto è nato intorno a … un caffè :D. Sono stata un riccio anch’io, per tutta la prima parte della mia vita. Eccetto per gli sport, in cui mi sono sempre trovata a un centimetro dalla vetta, lasciando prima di raggiungerla, in tutto il resto ho costruito una zona di confort dentro la quale sono sopravvissuta. L’ansia è stata ed è la mia peggior nemica. Definisce e cristallizza i limiti, ma è anche il confine entro il quale mi sento al sicuro. Talvolta serve. Per proteggerci da escursioni pindariche che rischiano di essere molto molto pericolose. Chissà se oggi la presenza della volpe può in qualche modo ispirarti un nuovo cammino… Buona serata!

  • Cristina

    Che post bellissimo! Anche se non c’entra nulla, mi hai fatto venire in mente la classificazione tra gufi e allodole, cioè uccelli notturni e mattinieri. 🙂
    La ripartizione tra autori-riccio e autori-volpe annovera grandissimi nomi per entrambi… sarebbe un bel match tra Dostoevskij e Shakespeare, solo per citare due nomi a caso. Ognuno di noi ha in sé una miriade di animali diversi che affiorano a seconda delle circostanze positive o negative. Se dovessi attribuirmi un animale, comunque, mi riconosco molto nel riccio sia per il lavoro che svolgo sia nelle mie passioni e nel mio carattere: sono piuttosto organizzata e tenace e mi piace approfondire. Però allo stesso tempo sono molto curiosa come la volpe e mi piace scoprire sempre nuovi territori, essere affascinata e farmi sorprendere.

    • Elena

      Ciao Cristina, l’utilizzo di similitudini con animali credo sia molto utile per far emergere una nuova consapevolezza circa il nostro modo di essere. Per me è stato così quando lessi La pazza di casa (a proposito, lo conosci?) e mi indusse a riflettere anche perché la Volpe l’avevo scelta come simbolo del blog. Ti ci vedo come riccio : costruire un romanzo storico articolato come il tuo richiede tanta organizzazione e specializzazione! Non conoscevo la dicotomia gufo /allodola dovessi a naso riconoscermi direi allodola ma chissà. C’è sempre qualcosa di noi in ciò che ci pare all’opposto. Che ne pensi? Un caro saluto

      • Cristina M. Cavaliere

        Ciao Elena, no, non ho letto La pazza di casa, ma mi hai incuriosito assai! 🙂 Le metafore animali sono sempre molto utili, non a caso le favole con gli animali sono antiche e parlano un linguaggio comprensibile per tutti anche soltanto d’istinto. Anche se poi leggevo degli articoli in cui certe convinzioni sono del tutto sconfessate dagli studi scientifici più recenti…
        Per rispondere alla tua domanda, siamo molto complessi e quindi tanti animali convivono un noi, anche se pensare che c’è un po’ di pipistrello in me mi incute un brivido di repulsione. 😀

  • Giulia Lu Dip

    Sotto l’aspetto lavorativo sono soprattutto un riccio, cerco di essere organizzata e ligia alle regole, anche se poi, come il riccio che appallottolandosi per difendersi – se lo fa in mezzo alla strada – rischio di restare schiacciata.
    Mi piace però l’istinto della volpe e forse con la scrittura lo sono perché è la parte più libera di me.

    • Elena

      Ciao Giulia, l’organizzazione è tutto per me, determina la qualità delle cose che facciamo e persino la quantità. Non la percepisco come un fattore negativo fino a quando non è limitante, onnicomprensiva, totalizzante. Fino a quando cioè non rappresenti per noi quella “palla” che ci protegge ma ci impedisce di vedere oltre. Chissà che la Volpe non sia presente in ciascuno di noi quando scrive… Intendo dire: si tratta di personalità o di una caratteristica intrinseca della scrittura? Ci rifletto su, grazie per avermi suggerito una nuova strada. Buona giornata!

  • Sandra

    Approcci alla vita e alla scrittura affascinanti così come gli animali che li rappresentano, mi piacciono entrambi un sacco. Esploro e sento più vicini, soprattutto perché li conosco meglio, gli autori Volpe. Come la volpe percorro chilometri e a differenza del riccio, dubito sempre molto. Mio anche il rigore della volpe e no, non so attendere che il peggio sia passato come fa saggiamente il riccio, nè nella vita nè nella scrittura, sbraito, mi agito, spreco anche energie, ma questo movimento talvolta mi fa approdare in boschi appaganti. Però della volpe non ho la cautela. E comunque seppure pungenti gli aculei del riccio sono bellissimi.

    • Elena

      Cara Sandra mi pare di vederti volpe, la tua descrizione è calzante e rende perfettamente il carattere che in questi anni di frequentazione ho percepito. Adoro entrambi anche io. La bellezza di questo saggio di Berlin è proprio questa : ci consegna caratteristiche amabili e riconoscibili senza farle confliggere permettendo a ciascuno di noi di prenderne una parte e riflettere su quella che ci manca. Insomma, un percorso interessante. Gli aculei del riccio sono bellissimi, hai ragione. Non avevo visto le cose da questo punto di vista. Grazie

  • Brunilde

    Che bellissimo post, Elena!
    Io sono sicuramente…una ricciolpe. Sono partita come riccio: educazione rigida, senso del dovere, obbedienza ferrea. Gli aculei mi hanno fatto sentire protetta, erano le certezze di cui la mia giovanile insicurezza aveva bisogno.Strada facendo… ho sentito i profumi del bosco e il richiamo di nuovi orizzonti. Piano piano, mi sono allontanata dalla strada già tracciata, concedendo a me stessa di conoscere e sperimentare. L’amore per i viaggi è emerso prepotente: la ricerca di nuovi spazi, ma non solo fisici, perchè anche le storie, i libri sono viaggi, anche gli incontri e le relazioni sono avventure ed esplorazioni… Il vecchio Eugenio Scalfari ieri scriveva su Repubblica di sentirsi ormai verso la fine del suo viaggio: la vita stessa è percorso, evoluzione e movimento.
    Così mi tengo ancora qualche aculeo di riccio ( dà comunque sicurezza ) e l’appuntito e curioso muso da volpe!

    • Elena

      Cara @Brunilde, grazie per esserti raccontata con così tanta generosità. Descrivi un percorso di crescita che sento legato a una sorta di liberazione dagli schemi acquisiti per percorrere nuove strade. Mi piace anche la definizione di ricciolpe, chissà se altri si riconoscono in questa classificazione extra che hai estrapolato tu. Mi incuriosirebbe sapere a proposito della tua ultima affermazione quando senti il bisogno degli aghi e quando del muso… Si possono seguire le regole senza rischiare di fossilizzarsi? Un caro saluto

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