Pillole d'autore - Recensioni,  Storie libri e racconti

A ritroso

Vi è mai capitato di apprendere dell’esistenza di un autore solo perché menzionato in un romanzo che avete appena letto?

E’ quanto successo a me con A ritroso, di Joris-Karl Huysmans, scoperto durante la lettura di Sottomissione, il romanzo di Michel Houellebecq che ho recensito a questo link.

Ogni volta che scopro un autore nuovo mi sento immediatamente impegnata a colmare il deficit ed è essenzialmente per questa ragione e per la curiosità che François, il protagonista del romanzo, ha suscitato in me nei ripetuti richiami alla produzione letteraria di questo autore, che ho compulsivamente acquistato A ritroso.

La lettura di questo romanzo, completamente incentrato su un unico personaggio, è stata difficile ma oltremodo interessante.

Non si tratta di un romanzo “moderno” ma di uno sguardo su uno scorcio di fine novecento che mi ha fatto tornare per un istante alle radici della mia passione letteraria, nata sui banchi del liceo: il verismo italiano, quello magistralmente incarnato da Giovanni Verga.

La lettura di A ritroso è valsa la pena; per la scrittura barocca e pomposa, densa di particolari e dettagli, per l’ambientazione, colorata eppure grigiastra, in una Parigi da cui Des Esseintes, il protagonista, fugge come da un fuoco indomabile.

Nel secolo delle idee e dei grandi romanzi, il Novecento, Joris-Karl Huysmans fu eretto, suo malgrado, a simbolo del decadentismo.

Ma c’è dell’altro. Ve lo racconto qui.

A ritroso

A ritroso

Devo gioire oltre la possibilità del tempo… sebbene gli uomini abbiano orrore della mia gioia e, nella loro rozzezza, ignorino quello che voglio significare.

Rusbrock il Mirabile

A ritroso: la trama

A ritroso, di Joris-Karl Huysmans, è stato pubblicato nel 1884 con il titolo originale À rebours. Studio psicologico di un giovane parigino.

Le sue 250 pagine scorrono lente, sull’onda della noia che fa compiere al protagonista, Des Esseintes, scelte apparentemente radicali nella critica alla società del tempo ma nei fatti superficiali, specie per gli effetti che sono in grado di produrre.

Una denuncia che si rivolge verso l’intimità della sua casa e verso sé stesso, assorto com’è nel suo ménage, piuttosto che verso quella società che il naturalismo si proponeva di indagare a fondo.

La fuga di Des Esseintes da una Parigi grigia e noiosa lo conduce a un paesino di campagna, circondato dai suoi agi, sufficienti, almeno all’inizio, a sopportare il suo eremitaggio di protesta.

Un borghese decadente, accompagnato da un paio di domestici che non hanno facoltà di parlare, per non interferire con la sua intima esistenza. E via via, si chiude sempre più in sé stesso. Decade, appunto, se per decadenza intendiamo proprio l’incapacità di evolvere nel rapporto con il mondo esterno.

Nel suo progressivo perdersi può contattare le vette di un misticismo qui solo abbozzato. Sarà infatti nelle sue opere successive che sublimerà il linguaggio sensuale ed estetico di questo romanzo alla ricerca delle più profonde verità della sua e della nostra esistenza.

La Pillola oggi

Ricordate l’articolo Come usare la similitudine per descrivere l’amore? Un’opportunità per scrittrici e scrittori che desiderano promuovere il proprio libro sul blog, offrendo un estratto del proprio testo in cui sia utilizzata una similitudine o una metafora dell’amore. Per chi volesse partecipare, le regole sono descritte qui.

Leggendo A ritroso mi sono resa conto che avevo tra le mani un autentico esempio di uso della similitudine per descrivere l’amore.

La Pillola di oggi mostra questa mirabile capacità descrittiva.

Più morto che vivo Des Esseintes si volse e, attraverso l’occhio di bue, vide delle orecchie dritte, dei denti gialli, froge che soffiavano due getti di vapore che sapevan di fenolo.

Si lasciò andare rinunciando alla lotta e alla fuga; chiuse gli occhi per non vedere il pauroso sguardo della Sifilide che pesava su di lui, attraverso il muro, e che lui scorgeva tuttavia sotto le palpebre chiuse e si sentiva scivolare sulla schiena madida, sul corpo i cui peli si ergevano in laghi di sudore gelato. Era preparato a tutto, sperava addirittura il colpo di grazia per farla finita. Passò un secolo che durò certamente un minuto; riaprì gli occhi rabbrividendo. Tutto era svanito; senza transizione, come per un cambiamento a vista , per un trucco scenografico, un terribile paesaggio roccioso fuggiva nella lontananza, un paesaggio scialbo, deserto, squallido, morto. Una luce rischiarava quel luogo desolato, una luce tranquilla, bianca, che ricordava i sudori del fosforo sciolto nell’olio.

A terra qualche cosa si mosse e divenne una donna pallidissima, nuda, le gambe inguainate in calze di seta verde.

La contemplò curiosamente; come crini strinati da ferri troppo caldi, i suoi capelli si arricciavano spezzandosi all’estremo; urne di Nepente pendevano dalle sue orecchie; toni di vitello lessato brillavano nelle sue narici semiaperte. Con gli occhi languidi, lo chiamò piano.

Non ebbe il tempo di rispondere che già la donna cambiava; colori di fiamma passarono nei suoi occhi; le labbra si tingevano del rosso furente degli Anthurium, le punte dei suoi seni scoppiavano, accese come due bacche di pimento rosso.

Gli venne un’improvvisa intuizione: è il Fiore, pensò. E la mania ragionante persisté nell’incubo, deviò, come durante il giorno, dalle piante al Virus. Allora osservò la paurosa irritazione dei seni e della bocca e scoprì sotto la pelle macchie di bruno e di rame. Indietreggiò smarrito, ma l’occhio della donna lo affascinava, ed egli avanzava lentamente, cercando di ficcare i calcagni a terra per non avvicinarsi, lasciandosi cadere, rialzandosi tuttavia per andare da lei.

Quasi la toccava quando dei neri Amorphophallus scaturirono da tutte le parti , si slanciarono verso quel ventre che si sollevava e si abbassava come un mare. Egli li faceva da parte, li respingeva, provando un infinito disgusto a vedersi brulicare fra le dita quei fusti tepidi e robusti; poi, improvvisamente, le odiose piante scomparvero e due braccia cercarono di avvincerlo. Una spaventosa angoscia gli fece battere il cuore a gran colpi perché gli occhi, i paurosi occhi della donna erano divenuti di un azzurro chiaro e freddo, terribili. Fece uno sforzo sovrumano per liberarsi dalla sua stretta, ma con un gesto irresistibile ella lo trattenne, lo afferrò e sbigottito, egli vide sbocciare sotto le cosce rovesciate, il torvo Nidularium che si apriva, sanguinoso, tra lame di sciabola.

Già sfiorava col corpo la schifosa ferita di quella pianta. Si sentì morire, si svegliò di soprassalto, soffocato, agghiacciato, folle di paura sospirando: – Dio sia ringraziato, è soltanto un sogno!

Un balzo oltre il naturalismo

Come disse D’Aurelly, “Dopo un libro come questo, al suo autore non rimane che la pistola o la croce”.

Profetico, Huysmans sceglierà la croce o meglio, ne porterà per un breve tratto il peso. Fino a quando, come ogni figlio che si rispetti, ucciderà i “padri” , Zola e Flaubert, suoi maestri indiscussi.

Ed è proprio in questo romanzo che mi pare di veder rappresentata la fuga di Des Essenties -Huysmans dal naturalismo e dal decadentismo. Da ciò che né Zola né Flaubert sembravano voler assumere e cioè che tutto ciò che si era potuto scrivere sul realismo e il naturalismo era già stato scritto.

Un autore incapace di accontentarsi del ruolo di imitatore come Huysmans, quale altra via avrebbe potuto trovare se non la fuga da un genere letterario che aveva trovato il suo compimento ne L’educazione sentimentale di Gustave Flaubert?

Lo affermerà lui stesso, nella prefazione apposta al romanzo dieci anni dopo la pubblicazione:

Questo romanzo, per tutti noi delle serate di Médan, era una vera bibbia; ma su di esso si potevano fare poche variazioni. Era concluso, irripetibile per lo stesso Flaubert; tutti noi, in quel tempo, eravamo dunque costretti a destreggiarci gironzolando per le vie più o meno esplorate. […] eravamo dunque costretti a rimasticare sotto tutte le forme il peccato che tra tutti era il più facile a spellare: la lussuria. E Dio sa se lo rimasticammo

Un romanzo che va letto “a ritroso”

Sentire Des Esseintes descrivere le stanze della sua abitazione dai colori accesi e splendenti, mentre parla di gemme preziose, ricchezze, libri e letteratura antica, mentre si avvicina a grandi falcate al baratro, genera nel lettore un’emozione che va compresa e vissuta, soprattutto a ritroso. Un romanzo palindromo, che vi invito a scoprire e riscoprire da più punti di vista.

E a ritroso si volge lo sguardo dell’autore quando scrive la prefazione. Proprio questo sguardo sghembo sta a significare la potenza di questo romanzo.

Non un inizio né una fine. Soltanto una storia. Che come in un gioco maledetto, riporta il protagonista al punto di partenza.

Un viaggio per cui c’è un prezzo da pagare: la trasposizione sul corpo della confusione e del disagio della mente.

Sembra che le malattie nervose e le nevrosi provochino nell’animo fessure attraverso cui penetra lo Spirito de Male.

Decadentismo, appunto. Un luogo dell’anima in cui nulla brilla più di luce propria ma ogni cosa viene tirata giù, verso il basso, nel baratro.

L’ultimo saluto di Huysmans è quasi tenero. Sembra chiederci di essere conosciuto come scrittore, per intero, senza tralasciare nulla.

Come apprezzare, d’altra parte, l’opera di uno scrittore nel suo insieme, se non la prendiamo fin dagli inizi e non la seguiamo passo a passo? Come, soprattutto, rendersi conto del cammino della Grazia nel suo animo se sopprimiamo i segni del suo passaggio e ne cancelliamo le prime impronte lasciate?

Possiamo non ascoltare questa accorata richiesta, fatta con trasporto ed emozione?

La raccoglierete?

Pensate anche voi che di un autore, se davvero vogliamo comprenderlo, amarlo e conoscerlo, si debba leggere la sua opera per intero e dal suo principio?

8 Comments

  • Luz

    Mi hai riportata agli anni del liceo, al mio professore di Italiano che adorava questo romanzo e lo citava spesso. Quando affrontammo quella poesia a volte oscura che è il Simbolismo, quando trattammo del poeta come di un privilegiato che è il solo a poter cogliere certi aspetti di una realtà agli altri nascosta, questo romanzo apparve in tutto il suo splendore, come paradigma di quei contenuti. Ottima la tua recensione, che ne coglie i tanti aspetti affascinanti e irripetibili.

    • Elena

      Durante i miei studi non ho mai incocciato Huysmans, la cosa è abbastanza strana perché ricordo bene affrontammo quel periodo e anche Flaubert e Zola e persino Wilde in lingua originale (ottima idea, chissà se è ancora praticata la lettura in lingua originale nelle scuole di oggi?). Sono felice che ti sia piaciuta la recensione. Più ci penso e più mi viene voglia di leggere ancora qualcosa di lui…Magari del suo breve periodo cattolico per poi approdare al suo periodo più … nero…. Vedremo… Baci

  • Brunilde

    Ti dirò, questo autore, la sua scrittura barocca e il naturalismo come tema centrale della sua produzione letteraria mi spaventa un po’. Inoltre, la lettura di Sottomissione di Houellebecq, che comunque ho apprezzato, mi è risultata un po’ difficile proprio per i continui riferimenti culturali ( attuali e del passato ) storici e politici francesi, che non riuscivo a seguire.
    Questa è la maggiore esitazione che ho nell’affrontare l’ultimo di Houellebecq, ” Annientare”.
    A parte il titolo un po’ inquietante temo di trovarmi nuovamente alle prese con un romanzo francocentrico, il che alla lunga risulta riduttivo, per non dire un po’ irritante ( i cugini francesi si sentono davvero al centro del mondo! ).
    Per quanto riguarda leggere tutta la produzione di un autore, se uno scrittore mi ha davvero affascinato cerco di leggere altre cose sue, se non tutte.
    In ogni caso, ho uno scaffale Jorge Amado, con la maggior parte dei suoi romanzi, se non tutti, più quelli di Zelia Gattai, l’ autobiografia, una raccolta di vecchi articoli di giornale che lo riguardano, libri fotografici su di lui e sulla casa di Rio Vermeho. Per Amado, grande scrittore e grande uomo, ora ingiustamente dimenticato, è stato vero amore!

    • Elena

      Anch’io davanti a Sottomissione ho esitato a lungo prima di leggerlo. Ero incuriosita ma non attratta, se rendo l’idea. Accetto il francocentrismo, ci sta, ma mi allontana la dilatazione dei tempi narrativi. Certo questo è il romanzo che mi ha fatto scoprire questo autore e dunque qualcosa di buono c’è stato, ma non so se accetterei l’idea, almeno non subito, di leggere il nuovo romanzo (ma tu l’hai acquistato?). Anche per il titolo che francamente comincia a prudere troppo… Ma non dico il fatidico mai, perché se mi conosco un po’, tra qualche anno potrei anche decidere di fare ammenda e leggerlo. Ecco, quanto mi fa felice che tu sia una estimatrice di Amado che ho adorato e apprezzato in un periodo felice e spensierato della mia vita. Hai ragione, è ingiustamente dimenticato. Sul blog ho recensito “Mar morto”. Ma meriterebbe di più…. https://www.elenaferro.it/mar-morto-jorge-amado/

  • Giulia Lu Mancini

    “Sembra che le malattie nervose e le nevrosi provochino nell’animo fessure attraverso cui penetra lo Spirito de Male.”
    Mi piace molto questo passaggio, mi ci ritrovo molto, le ferite della mente possono aprire le porte allo spirito del male, credo sia profondamente vero.
    Riguardo alla tua domanda, se di un autore é importante conoscere tutta la sua opera per comprenderlo, penso di sì, certo solo di alcuni autori ho letto davvero tutto, mi è successo con Cesare Pavese e (per i romanzi) con Sartre, ieri, oggi con Carofiglio e Riccardo Bruni, poi ci sono alcune autrici che seguo sul blog da sempre come Maria Teresa Steri. Non è fattibile con tutti, ma con un autore che appassiona molto può accadere, percorrere i romanzi aiuta a capirne la vita e l’anima…

    • Elena

      Ciao Giulia, leggendo l’incipit del tuo commento circa la frase di A ritroso sulle malattie nervose, sono subito finita con il pensiero al tuo “Una inutile primavera” e in particolare all’epilogo. Il male, fonte per te di grande ispirazione, mi piacerebbe sapere di più su questa caratteristica della tua scrittura ora che ci penso! Quanto alla risposta alla mia domanda, per cui ti ringrazio, sono ammirata. Di Sartre ho cominciato “La nausea” ma non sono riuscita ad andare oltre le prime 20 pagine, forse non era il momento. Quanto a me, perché la domanda è anche per me, ho riflettuto a lungo e anche a proposito di quegli autori di cui credevo di aver letto tutto il leggibile, ho scoperto che non è così. Di Dostoevskij per esempio mi manca “Povera gente”, di Amado “La bottega dei miracoli” e addirittura un secondo dimenticato, “Capitani della spiaggia”. Potrei proseguire, ma non serve. Credo che Huysmans in quel passaggio abbia mostrato la parte più fragile di uno scrittore, ovvero il nostro timore di non essere conosciuti e compresi. Mi ha fatto una immensa tenerezza… Ti auguro una buona giornata

  • Marco Freccero

    Ottimo libro. Di lui ho letto “Zaino in spalla” (non mi è piaciuto molto). Ci sarebbe poi “Laggiù” che racchiude la descrizione di una messa nera, che ha ispirato i satanisti per le loro cerimonie. Per ora non lo leggo perché pare una lettura per chi ama l’horror, e questo è un genere che non sopporto.

    • Elena

      Si ho sentito parlare di questo libro “satanico” è un uomo che ha contattato davvero le zone più ime della sua esistenza. Pensa che ha avuto anche una stagione cristiana, si intuisce dalla mia recensione. Poi ha subito cambiato prospettiva. Un personaggio insomma, ma la sua scrittura è interessante anche se oggi credo potrebbe avere ben poco successo…

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