Pillole d'autore - Recensioni

Belladonna, il romanzo da sorseggiare come un rum

Per raccontarvi della mia esperienza con Belladonna, il romanzo di Daša Drndić, voglio prima domandarvi quali sono i motivi per cui acquistate un libro.

Alcune persone si lasciano suggestionare dai Premi – sull’ultimo Premio Strega e sulle emozioni che mi ha suscitato, ho scritto qui – e corrono ad acquistare i titoli arrivati in finale e, naturalmente, quello vincitore.

Altri scovano tra le riviste di settore titoli fino ad allora sconosciuti, li acquistano e se li trovano accattivanti passano il resto delle loro giornate a suggerirli agli altri e a parlarne, ovunque, per la gioia di averli scoperti.

Qualcuno, probabilmente la maggior parte, si lascia convincere dal passa parola, dal marketing particolarmente accurato di una casa editrice o di un editor, oppure sbircia in cerca di ispirazione nella borsa di paglia della giovane intellettuale arrossata che se ne sta sdraiata sul lettino praticamente tutto il giorno.

Ogni metodo è buono per leggere e di sicuro voi avete il vostro.

Per quanto riguarda me e Belladonna, di Daša Drndić (1946-2018), il romanzo pubblicato da La Nave di Teseo nel 2022 oggetto di questa recensione, è andata un po’ diversamente.

L’ho acquistato compulsivamente al Salone del Libro senza aver mai sentito parlare di questo romanzo né della sua autrice croata, semplicemente attratta dal titolo e dalla fiducia che nutro per le pubblicazioni proposte da questa casa editrice.

Una lettura non semplice, che alla fine ha trovato proprio in quel titolo il significato più profondo.

Per questo ho pensato di raccontarvelo.

Belladonna, il romanzo da sorseggiare come un buon rum

Belladonna romanzo

Prima di tutto chiariamo la faccenda del rum. Le sere d’estate in compagnia possono passare in molti modi: di solito si consumano birre e bibite dissetanti, spesso alcoliche, il che non aiuta a far fronte al caldo di quei giorni.

Di solito nessuno accomuna il rum a una sera d’estate, a meno che non siate su una spiaggia cubana, dove anche la mattina è buona per un sorso.

Eppure un buon rum da meditazione è ciò che serve quando si affrontano argomenti profondi con persone vere, ops, personaggi veri.

Il romanzo di Daša Drndić appartiene a quel tipo di sere e va sorseggiato, centellinato, proprio come un buon rum.

La ragione è semplice: questo è un romanzo che ha più storie e più linee narrative con cui l’autrice gioca di continuo con il lettore che ne rimane spesso disorientato per via delle molte le informazioni che riceve. Così anche io non ho potuto fare altro che desistere dal ricercare una traccia e mi sono abbandonata completamente alle storie e ai continui flash back e flash forward che l’autrice impone al flusso degli eventi.

La trama

Così ci ritroviamo in un mondo in cui Andreas Ban sembra il protagonista. Un anziano psicologo, consumato nel corpo e nella mente, cacciato dall’istituto per cui lavora, si racconta attraverso la malattia e le relazioni che essa disvela, i pazienti che non riesce a lasciare e i terribili ricordi di un passato i cui effetti sono ancora vivi nell’oggi.

Sembra, perché le protagoniste sono le storie che Daša non può smettere di raccontare. Della filmografia del regime nazista di cui ci racconta e da cui scopriamo che sotto l’occhio vigile di Goebbels, sono state realizzate opere orribili come Suss l’ebreo, o L’ebreo errante, stracolmi di pregiudizi utili a fabbricare il nemico che verrà poi sterminato e dati in pasto a un popolo che appare completamente affetto da cretinismo e che le apprezza. Quanto ci fa pensare tornare alla storia!

Queste storie sono macigni che pesano sulla coscienza di tutti che raccontano un passato che ha il sapore amaro del nazismo e che Andreas riassapora ogni giorno, come se fosse ancora vivo nella sua carne, in quella dell’autrice, nella nostra.

E’ impressionante la mole di ricerca storica che la Drndić ha dovuto affrontare per offrirci continui scorci dettagliati e taglienti di ciò che fu, e, come spesso accade, di ciò che sarebbe stato ancora, in Yugoslavia e oggi, tra le pieghe di un’esistenza apparentemente felice.

Così tra le briciole che Drndić distribuisce qua e là per il romanzo, troviamo tracce di Primo Levi e del suo inestimabile Se questo è un uomo e solo alla fine, quando il senso di questo titolo, Belladonna, sarà svelato, che ricostruiamo La Trama, ciò che attraverso l’apparente confusione delle storie l’autrice ha voluto comunicare: l’orrore e la brutalità dell’accettazione del male.

Il valore di un rossetto rosso

Il romanzo propone anche alcuni brani tratti da diari o documenti frutto della ricerca storica dell’autrice. Come questo, tratto dal diario del luogotenente-colonnello Mervin Willet Gonin che fu, con i soldati inglesi nel 1945, tra i primi a liberare Bergen-Belsen. Se fossero arrivati qualche mese prima, probabilmente Anna Frank sarebbe potuta sopravvivere.

I cadaveri giacevano ovunque, alcuni in enormi mucchi, alcuni singolarmente, alcuni a coppie. 
Ci volle del tempo per abituarsi agli uomini, donne e bambini che semplicemente cadevano esausti e bisognava trovare la forza di non aiutarli. Bisognava abituarsi presto all'idea che l'individuo semplicemente non contava. 
Si sapeva che ne sarebbero morti cinquecento al giorno e che per settimane ne sarebbero morti cinquecento al giorno prima che potessimo fare qualcosa che avesse un minimo effetto. Non era facile, guardare un bimbo che soffoca per la difterite sapendo che una tracheotomia e un'infermiera lo salverebbero, vedevamo donne affogare nel loro stesso vomito perché erano troppo deboli per girarsi  e uomini mangiare vermi mentre tenevano in mano una mezza pagnotta solo perché avevano dovuto mangiare vermi per sopravvivere e ora non riuscivano a notare la differenza.
Pile di cadaveri, nudi e osceni, una donna troppo debole per stare in piedi si appoggiava contro di essi mentre cucinava su un fuocherello il cibo che le avevamo dato; uomini e donne si accovacciavano all'aperto ovunque fossero liberandosi della dissenteria che frugava nelle loro viscere, una donna completamente nuda si lavava con del sapone nell'acqua di una cisterna dove galleggiavano i resti di un bambino.
Fu poco dopo l'arrivo della Croce Rossa inglese, anche se potrebbe non esserci nessun collegamento tra le due cose, che arrivò una grande quantità di rossetti. 
Non era per niente ciò che volevano i nostri uomini, gridavamo perché ci dessero centinaia e migliaia di altre cose e non so chi chiese i rossetti. 
Vorrei così tanto averlo scoperto, era un'azione geniale, assolutamente, genuinamente brillante. 
Credo che niente fece così tanto per questi reclusi quanto quei rossetti. Le donne stavano a letto senza lenzuola e senza biancheria ma con labbra rosso fuoco, le vedevi vagare in giro con addosso nient'altro che una coperta gettata sulle spalle, ma con labbra rosso fuoco. Vidi una donna morta sul tavolo dell'autopsia e stretto tra le sue mani c'era un pezzo di rossetto. 
Finalmente qualcuno aveva fatto qualcosa per renderli di nuovo individui, erano qualcuno, non più il numero tatuato sul loro braccio. 
Finalmente potevano aver cura del loro aspetto. Quel rossetto iniziò a restituire loro l'umanità

Attenzione: Spoiler!!!

Devo dire che ben oltre la metà del libro stavo perdendo ogni speranza nel riuscire a collegare il titolo del romanzo al romanzo stesso.

Andreas Ban è malato di cancro al seno, non è pazzo. Eppure come un pazzo si aggira nei meandri della sua memoria senza una meta, perché come lui stesso afferma

La pazzia non è tra le mura di un manicomio ma fuori 

Alla ricerca di cosa? Dopo aver viaggiato attraverso tutte le sue vite, Belgrado, Amsterdam, la Croazia, Trieste e finalmente Rovigno, la bella Rovigno che ho molto amato, incontra Victor, anche lui paziente di quell’ospedale in cui le radiazioni e tutto il resto hanno accomunato il loro destino.

E gli porge una busta di plastica con dentro il suo biglietto per l’ultimo viaggio. Ecco che Belladonna ha un senso, anche detta la ciliegia della pazzia o delle streghe, allucinogena, due sole bacche rosso viola possono uccidere un bambino.

Un adulto invece ha bisogno di più.

E Andreas Ban è come se l’avesse sempre tenuta in tasca. Sminuzza le foglie e la fuma, nella sua pipa accesa per la prima volta. Poi se ne ciba, mentre l’erba maligna lo trasforma, lo conduce in un viaggio allucinato di ricordi sovrapposti a paure e orrori, fino a quando, completamente cieco, perde i sensi, mentre attorno a lui danzano falene Parche.

La sua gola è stretta e piena di polvere. Solo allora chiama un’ambulanza.

In definitiva, qual è il senso del romanzo Belladonna?

Penso che il modo migliore per raccontarvi quale sia stato il messaggio, il senso di questo romanzo, è quello di lasciare la parola a Daša o meglio, a chi lei l’ha affidata, Leo, il figlio di Andreas, che cita un dialogo tra sé di László F. Földényi, pubblicato nel catalogo di una installazione veneziana di Forgacas dal titolo “Col tempo”:

La vita può essere tagliata a pezzetti? No. Eppure, ciò che la rende intera è il fatto che è composta di "pezzi"; parti che non si possono mai assemblare senza soluzione di continuità. La vita è piena di tagli, dice Foldenyi, anche se dedichiamo gran parte delle nostre energie per renderli impercettibili. 
Vorremmo credere che la nostra vita sia coerente, continua, con cuciture nascoste e tutto apparentemente levigato e costruito con logica. Le cuciture, tuttavia, sono ancora più evidenti dei tagli. Peggio, continuano a strapparsi ancora e ancora. 
Questi sono ciò che si chiamano i momenti duri della vita; questi sono i tempi in cui si coglie di sfuggita la struttura divergente della vita dietro le cuciture e i tagli; quando invece di ciò a cui siamo abituati vediamo qualcosa che non è comprensibile, su cui non si può costruire niente che possa durare.
Per quelli che sono entrati nello specchio magico, che sono andati dietro lo schermo, il tempo non esiste più. La morte, quando arriva, rischia di non trovare più nessuno lì.

Se le cuciture sono ancora più evidenti dei tagli, e gli errori inevitabili, ha senso fare kintsugi con la propria vita o è soltanto la pia illusione di aver rimesso le cose a posto?

Che cosa ne pensate?

4 Comments

  • Giulia Mancini

    Questo romanzo mi attrae perché amo approfondire la “storia” attraverso le storie vere, credo sia anche il modo più efficace per capire certi eventi storici, io per esempio quando ho letto La memoria rende liberi di Liliana Segre mi sono resa conto con estremo orrore di come la storia possa passarci sotto il naso e restare indifferenti.
    Come scelgo i libri? Quasi sempre a istinto, ormai quasi mai in libreria visto che ci passo sempre meno per mancanza di tempo, anche se può capitare che in libreria noti un titolo che poi compro in eBook. Mi piace scorrere le classifiche sugli store on line cercando le offerte, poi se trovo un libro che mi intriga lo compro quasi a scatola chiusa, mi lascio attrarre dal titolo oppure dalla trama, se ho dei dubbi scarico l’estratto.
    Oggi per esempio ho comprato due eBook di una serie di gialli, l’autrice è Alessandra Carnevali e avevo letto il primo della serie gratis perché era nell’offerta Amazon prime, quindi ho approfittato. Certo è un altro genere.

    • Elena

      Cara Giulia, ecco un approccio che non avevo considerato, i suggerimenti on line delle piattaforme su cui ormai sempre più spesso acquistiamo i nostri libri. Personalmente utilizzo poco questa modalità anche se ho scoperto solo di recente – non ridere – dopo anni di abbonamento a Prime, che ho “diritto” anche a ebook gratuiti in prestito di lettura, tra i quali però non sempre trovo titoli che mi acchiappano. Ma almeno adesso ogni tanto ci guardo 🙂
      Sui temi storici devo dire che mi hai fatto riflettere: pensavo di non amare i romanzi a sfondo storico ma guardando indietro alle mie letture mi accorgo che ne ho letti molti e tutti con gusto. Molti li ho recensiti sul blog nella rubrica “Pillole d’Autore” e, insomma, vuol dire qualcosa. A volte abbiamo convinzioni errate al punto che nella realtà le cose stanno in modo differente. Perché, mi chiedo? Penso che questa diffidenza verso il romanzo storico dipenda da alcune insistenze a scuola. Sono sempre stata una ribelle e se mi si spiega che qualcosa mi deve piacere, beh, succede il contrario. Sai qual è il primo romanzo storico che ho letto? Lo ricordo molto bene: “LA verità perduta” di Bruno Tacconi. Me lo regalò mio zio. Tacconi è un autore splendido che vale la pena di riscoprire, soprattutto se si ama l’Africa e la storia dell’antico Egitto.

  • newwhitebear

    Molto intrigante questo romanzo e del tutto sconosciuta l’autrice.
    Come scelgo i romanzi da leggere? Mi devono chiamare, attrarre verso di loro.

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