Come forse ricorderete, negli ultimi mesi del 2020 ho cominciato un corso avanzato per la professione di Coach.
E’ passato qualche tempo e questa esperienza sta sedimentando dentro di me al punto che posso cominciare a parlarne.
Ciò che sto imparando influenzerà la mia intera vita, dunque anche il mio blog.
La scelta di regalarmi un percorso formativo di qualità è stata lunga e meditata. Il parto, se così si può dire, è durato quasi dieci anni.
La difficoltà più grande è stata quella di concedermi uno spazio tutto per me, lasciarmi camminare sul filo dei sogni per raggiungere un altrove che all’inizio riuscivo soltanto a scorgere e che ora comincio a vedere più chiaramente.
Ci sarà tempo per avvicinarsi alla riva, ma intanto posso già dire che non solo l’esperienza formativa in sé mi entusiasma, ma il ruolo di coach è qualcosa che sento nelle mani.
Quando penso al coaching, penso a un’attività, una professione, che posso fare bene e che, cosa assai più importante, mi piace parecchio.
Il bello del coaching
Ci sono scoperte che riveliamo gradualmente a noi stessi. Come regali sommersi da tempo che piano piano riafiorano alla superficie.
Altre esplodono all’improvviso; sorprese, appunto che nemmeno ti aspetti.
Nella mia relazione con il coaching riconosco entrambe: i dieci anni di meditazione intorno a un progetto che solo un anno fa ho riconosciuto pienamente, e la sorpresa, straordinaria, di essere proprio dove desidero essere. Probabilmente dove avrei dovuto essere da sempre.
Non avevo mai provato una sessione di coach, né come coachee (il termine utilizzato per indicare il cliente) né tantomeno come coach.
Questa professione, che ha in sé il significato della sua stessa esistenza, mi è esplosa nelle mani e nel cuore. La sento profondamente mia, nelle mie corde.
Lo so, direte, è presto per dirlo. E se non ne caverai nulla? Se non dovessi infine riuscirci?
Sono dubbi legittimi. Ma dentro di me non risuonano affatto. Sento che sono pronta per questo e sono grata di aver ricevuto autentiche “rivelazioni”, quelle di cui ho intenzione di parlarvi oggi: il valore dell’ascolto attivo e delle domande potenti.
Non ho alcuna autorità per affermare ciò che scrivo come verità intrinseca, né ho la pretesa di sostituirmi a chi della formazione al coaching ne fa una professione.
Dunque vogliate prendere queste mie considerazioni al pari di una innamorata quando descrive l’amato (a forza di parlare d’amore sul blog poi metaforizzo solo su questo !) .
L’ascolto attivo, la chiave di volta del coaching
Chi di noi sarebbe disponibile ad ammettere la sua incapacità di ascolto?
Credo nessuno. Per una forma di auto tutela spontanea di impossibilità di ammettere un deficit che è strutturale alla società e che dunque riguarda anche noi.
Tuttavia è davvero difficile trovare qualcuno che razionalmente possa ammettere di non essere capace di ascoltare pienamente l’altro.
Io stessa appartengo, o sono appartenuta, a questa fattispecie, per lungo tempo.
L’ascolto fa parte del mio lavoro, della mia scala di valori, della mia quotidinaità. La mia capacità di ascolto fa parte delle mie credenze.
Quando proviamo a metterci di fronte a uno specchio, strumento fondamentale del coaching, per analizzare la nostra capacità di ascolto, scorgiamo, intuiamo, ma non possiamo vedere. Non con la necessaria, chiarezza.
Soltanto uno “stress test” può farlo. Accompagnato. Come un questionario che ho compilato, in quanto parte del corso.
Così mi sono accorta che il mio punteggio, incredibilmente, era basso. Molto più basso di quanto mi sarei aspettata.
L’ascolto attivo non è una funzione che si può accendere o spegnere. E’ essenza, presenza, compartecipazione. Rinuncia al nostro io.
Non è attenzione, ma compenetrazione. Accettazione, piena fiducia nell’altro.
Ascoltare significa lasciare spazio a chi è di fronte a noi per esprimere totalmente se stessa, nei modi e nei tempi che le sono necessari.
L’ascolto attivo è essere nel momento, pienamente dentro la relazione con l’altro, a coglierne ogni più piccolo aspetto, in modo naturale, quasi necessario.
L’ascolto attivo richiede uno sforzo apparentemente scontato, ma che scontato non è.
Richiede l’abbandono di se stesso, dimenticare chi siamo e cosa ci convince per abbracciare totalmente il pensiero dell’altro.
Abbracciarlo non significa condividerlo.
Non c’è giudizio né valore nell’ascolto, solo accettazione. Lasciar passare ciò che normalmente fermiamo. Il punto di vista dell’altro.
Un punto di vista che mi capita, nelle “palestre di coaching” ovvero nelle esercitazioni che durante i corsi e nel nostro tempo libero ci regaliamo tra compagni di corso, di pretendere di conoscere a priori ma che spesso mi obbliga a fermarmi, disconnettere il mio giudizio, e tornare ad ascoltare.
Ascoltare è uno dei verbi più abusati. Ma quanto sappiamo davvero declinarlo? Quanto lo rendiamo fattuale, concreto, sorprendente, per noi e per l’altro?
Senza ascolto non c’è comprensione. Senza comprensione non c’è coaching.
Questa la prima cosa che ho imparato.
Le domande potenti
Il secondo aspetto di cui vi parlo oggi tocca altre corde sensibili della mia esistenza.
Cosa intendo dire con “Domande potenti“?
Le domande potenti sono quelle che il coachee non si aspetta. Quelle che lo lasciano senza parole, che lo “costringono” a cercare nei meandri del suo inconscio la risposta, a volte grattandosi la testa istintivamente, o levando gli occhi verso l’emisfero destro, come nel mio caso, per attingere alla sua capacità di intuizione.
Potenti, perché sono capaci di sollecitare le parti ancora inesplorate di noi dove spesso si annidano tutte le risposte alle nostre domande più intime e profonde.
Bene, direte voi, che c’è di strano nelle domande potenti?
Intanto, almeno per quanto mi riguarda, ho scoperto che non sono per niente abituata a farle.
Una domanda potente è una domanda aperta, che non suggerisce, pilota, indica o indirizza in alcun modo la risposta, ma lascia all’altro il compito di esplorare la sua realtà.
La domanda potente non è neutra, la neutralità non esiste, ma è aperta a ogni possibilità che il coachee possa esaminare e ritenere opportuna.
Per generare domande potenti occorre, come nel caso dell’ascolto attivo, mettere da parte il proprio ego e rinunciare alla manipolazione per abbracciare l’inesplorato.
Accettare l’idea che chi conduce la sessione, ovvero il coach, non sappia assolutamente la soluzione al dilemma portato dal coachee prima di giungere insieme al coachee alla soluzione.
E’ difficile da accettare, almeno all’inizio del percorso. Ma è fondamentale farlo, poiché necessario.
L’unico modo per liberare le energie del coachee e determinare la propria soluzione autentica è che giunga da lui/lei e da li/lei soltanto.
Sembra facile, ma non lo è.
Da sempre sono chiamata a formulare risposte, non domande, forse questa è una condizione comune a molti di noi.
Il coaching è dunque una bella palestra.
Ci metterò tutta me stessa perché già sento che qualcosa sta cambiando dentro di me.
Chissà se riuscirò a superare quel ponte. Di sicuro ci proverò.
E intanto mi godrò il viaggio.
E voi care Volpi avevate mai sentito parlare del coaching? Lo scegliereste come strumento per la vostra crescita personale?
Approfondisci il ruolo delle emozioni a questo link
28 Comments
Luz
Mi sono imbattuta in questa parola molti anni fa, quando mi sono affacciata sul web. Un utente di un forum che amministravo stava studiando alacremente per entrare in questo universo e gli veniva spontaneo raccontarsi e sottoporci alcune curiosità.
Se penso ad anni molto difficili della mia vita, penso che ne avrei avuto molto bisogno, oggi non penso che mi affiderei a questo metodo. Anche se devo ammettere che è una figura affascinante, una specie di tutor che entra nel problema e trova una chiave per uscirne.
Mi piace la parte riguardante l’ascolto profondo. Sai che credo di esserci portata per natura? È come se mi sintonizzassi con l’altro, sono una grande ascoltatrice e mi sembra di penetrare il senso del problema. Colgo le difficoltà, anche nel tono di voce. Mi piace mettermi in ascolto profondo. Forse sarei stata una buona coach. 🙂
Però so anche che certe pratiche, o anche mestieri legati all’ascolto di problematiche altrui, espongono al rischio di assorbire troppo di quello che si ascolta. Una mia cugina che fa l’assistente sociale mi dice di aver bisogno di “disintossicarsi” di tanto in tanto.
Elena
Cara Luz, nei dieci anni di meditazione sula scelta che oggi mi ha portata a questo master (sì, dieci, mi piace pensarci bene sulle cose 😀 ) ho esaminato molte figure correlate a questa del coach, in particolare il counseling, che agisce sul vissuto doloroso o problematico della persona e contribuisce a scioglierlo, a rimetterlo per così dire in un ordine utile alla vita del momento presente. E’ una professione di aiuto, di supporto verso l’altro. Per le ragioni che espliciti a proposito di tua cugina, ho scartato con decisione quel percorso. Non mi ci sentivo tagliata ma soprattutto, sono sincera, non ne avevo voglia. Desideravo offrire una competenza in una relazione paritetica in cui il coachee, ovvero il cliente, fosse al centro del processo e non al margine. Il coach da quel che sto imparando è molto marginale. Il processo è ciò che porta la consapevolezza e fa maturare le soluzioni, non il coach che ascolta, appunto, facilità, aiuta a generare insights. L’ascolto attivo è un grande dono, conservalo sempre. Per impararlo io ci sto mettendo tutta me stessa. Mi auguro di riuscirci perché, come hai ben compreso, è il punto dirimente. Se posso farti una domanda, vorrei sapere cosa ti avrebbe permesso di essere una buona coach. In fondo, sei ancora e sempre in tempo per fare qualunque cosa tu desideri…
Grazia Gironella
Molto, molto interessante. Mi piacerebbe come esperienza, sì. Mi è capitato un paio di volte nella mia vita di fare quelle che definisci domande potenti, e… bè, te ne accorgi, quando le fai, per come suonano alle tue stesse orecchie e per la reazione della persona dall’altra parte. Mi sbaglio?
Elena
Ho imparato che le domande potenti sono quelle che l’altro non si è mai posto. Quelle che ti fanno stare in silenzio alla ricerca di qualcosa che apparentemente ti sfugge ma ce poi arriva, sempre. E quando arriva manifesta la sua potenza perché si tratta di una scoperta, o di una riscoperta che avevamo dimenticato. E’ davvero molto interessante Grazia e siccome ti attira l’esperienza se ti accontenti hai vinto un giro con la tua coach preferita! 😉
Grazia Gironella
Accetterei il giro anche solo per fare qualche chiacchierata con te. 😀
Barbara
Ho sentito parlare di coaching, inteso come processo di sviluppo personale assistito da un professionista? Si. Come Giulia, ho frequentato alcuni corsi di coaching all’interno della vecchia azienda, quando erano finanziati dalla comunità europea. Proprio quando si entrava sul più bello, venivano sospesi perché i fondi erano terminati (o perché il coach che si occupava della dirigenza aveva esagerato con qualche domanda troppo potente… 😉 ). Sceglierei il coaching come mia crescita personale? Sì, l’ho già fatto, ho avuto (e ho ancora, seppure ci sentiamo meno di prima) un “life coach” a tutto tondo. Persona di grande esperienza, maturata sul campo, quando non esistevano corsi e attestati, ma la qualità del suo lavoro era nei risultati delle persone assistite. Di base lui utilizza i principi della PNL, dove sia le parole che l’ascolto hanno un ruolo fondamentale. Proprio perché conosco questa persona e i suoi metodi, vedo che ci sono coach meno incisivi, formati più sulla carta: l’ultimo era in un’azienda dove lavora un amico, mi ha mostrato i materiali e mi ha spiegato cosa gli aveva detto/chiesto, ne è uscito con la sensazione di essere stato preso per i fondelli da un’ora di colloquio. Ergo, qualcosa non funziona. A me bastano cinque minuti e una sola domanda del “life coach” per cambiarmi tutti i progetti, gran parte delle decisioni e rivoltare la prospettiva. La nebbia diventa una strada luminosa. Ma non è uno psicologo o uno psicoterapeuta, quelle sono professioni che richiedono una laurea, un’abilitazione e l’iscrizione all’ordine. C’è anche stata una condanna in tribunale per una counselor, fece scalpore all’epoca, perché aveva esercitato attività di psicologo senza autorizzazione. Mi pare che tra una cosa e l’altra, le costò 10.000 euro di risarcimento danni e spese istruttorie.
Sull’ascolto, credo di avere una capacità media in proposito, certamente dipende da quando le persone si aspettano il mio ascolto. Se sto leggendo e qualcuno pretende che lo ascolti, è difficile che lo ottenga. Ma se sono all’interno di una conversazione, l’ascolto c’è eccome. Mi è capitato giusto la settimana scorsa che in una riunione le persone non mi ascoltassero: ho fatto un’affermazione, l’hanno negata con altre informazioni, e tempo dieci minuti sono giunti alla mia stessa analisi, senza manco accorgersene. Non ascoltavano me ma non ascoltavano manco sé stessi, si sarebbero accorti dell’errore lampante, e hanno dimostrato pure malafede nell’argomento (tempo tre giorni e si è dimostrata la mia analisi). Chi scrive dà importanza alle parole, chi non scrive invece non si accorge che le parole usate di getto rivelano molto del pensiero in atto. Ho chiuso quella comunicazione ridendo… 😀
Spero che il coaching ti porti grandi risultati, ma il bravo coach è come il bravo sarto: va in giro con i calzini bucati e spaiati. 😉
Elena
Mi hai fatto molto sorridere Barbara con l’immagine dei calzini spaiati. Ne ho a bizzeffe, ne deduco che sono sulla buona strada per diventare una brava coach! Sorrisi a parte, grazie per la tua testimonianza, mi fa capire quanto sia importante questa professione e quanto possa essere utile agli altri se fatta la meglio. E’ proprio come dici della tua life coach: poche domande e ti trovi a esplorare territori sconosciuti. Una meraviglia che scopro tardi ma di cui mi sto appassionando molto. Come ho detto anche a Luz, invidio chi ha già un ottimo ascolto. Io credevo di averlo e mi sono resa conto che avevo ancora molta strada da fare. Essere presenti nella relazione in quel momento è la chiave. Resto concentrata e cerco di imparare il più possibile da ciò che percepisco, perciò grazie davvero per il tuo sprone e il tuo incoraggiamento
Giulia Lu Dip Mancini
Mentre leggevo il tuo post mi sono fatta delle domande: sono davvero capace di ascoltare gli altri? Diciamo che sono sempre stata interpellata (e anche assillata) da amiche, sorelle e nipoti sui loro problemi e sulla loro risoluzione. Probabilmente non è la stessa cosa, però credo di aver sempre avuto una buona capacità di ascolto (non ricevendo altrettanto in cambio). Negli ultimi tempi tuttavia sono diventata piuttosto insofferente, Sarei curiosa quindi di fare il test per capire la mia capacità di ascolto, ma solo per curiosità.
Conosco abbastanza il coaching perchè spesso la mia azienda ce ne ha fatti fare, soprattutto quando c’erano dei cambiamenti organizzativi. Ogni volta ho partecipato per dovere e li ho percepiti come un voler “indorare la pillola” del cambiamento che eravamo costretti a subire.
Non nego che siano stati anche interessanti. La coaching dell’ultimo al quale ho partecipato (4 anni fa) mi ha detto che io sono una roccia, una persona estremamente resiliente e che tuttavia riesce a trovare l’aspetto positivo e l’entusiasmo in ogni cosa (cose di me che sapevo già, ma averne conferma mi ha fatto piacere).
Sono contenta nel leggerti così entusiasta, del resto se sei arrivata a questa consapevolezza di voler fare il corso in dieci anni vuol dire che eri pronta. Mi sembra una bellissima cosa per te.
Elena
Cara Giulia, ho letto con interesse la tua esperienza di sessioni di coach, io non ne avevo mai frequentate. Sembrerà addirittura dissonante questa affermazione, visto che di solito ci si approccia a qualcosa che si conosce per diretta esperienza. Non avevo mai pensato a questo aspetto prima di leggerti, dunque ti ringrazio. Quanto al coach aziendale, confesso che ho le tue stesse remore circa l’indorare la pillola, come affermi tu. Ci ho pensato così tanto tempo perché negli anni ho visto nascere e morire numerosi approcci alla mente e al comportamento degli individui: la PNL per esempio, che non ho mai pienamente compreso e apprezzato, l’ipnosi, la psicoterapia, la psicologia, la mente ferma, e chi più ne ha più ne metta. Tutti utilizzano più o meno tecniche simili che sviluppate in contesti diversi producono effetti diversi. Mi approccio in modo laico alla complessità degli strumenti, avendo come unica ambizione di individuare quello che dal mio punto di vista produce i migliori effetti nel pieno rispetto dell’altro, cosa per me molto importante. E , non ultimo, lo strumento che più si avvicina alle mie corde e che posso utilizzare al meglio, e che sia eticamente compatibile con il mio universo. Indorare le pillole non rientra tra queste ambizioni. Ma rafforzare le proprie individualità, abilità, i propri talenti sì. E’ quello che voglio fare: cambiare il mondo per il bene nei piccoli passi quotidiani miei e degli altri. Cercare sempre il bello e saperlo valorizzare. Un ambizione alta, me ne rendo conto, ma solida dentro di me. Grazie per l’incoraggiamento. E’ una cosa bellissima. Spero lo sia per me e per gli altri che incontrerò sulla mia via
Cristina
Non avevo idea che coach potesse significare questo, di solito l’ho sempre letto in relazione a uno sport. L’ascolto attivo è molto raro e penso che debba essere una vera e propria arte leggendo il tuo post. Hai ragione, nessuno ammetterebbe di avere un livello di ascolto molto basso…penso che la velocità con cui viviamo riduca ai minimi termini la capacità di empatia e attenzione.
Elena
La velocità, cara Cristina, è inversamente proporzionale alla qualità, lo impariamo ogni giorno, nella nostra quotidianità anche se cercano di imporci l’idea contraria. Ascoltare attivamente è un esercizio, se così vogliamo chiamarlo, molto complesso. A volte pensiamo di essere buoni ascoltatori solo perché abbiamo pazienza e recepiamo le osservazioni degli altri. Ma credo che ascoltare sia altro: è soprattutto permettere all’altro di essere ciò che è e di raccontarlo. Che in fondo è proprio in quel sé che si scovano le soluzioni giuste. Se ci pensi, ascoltare è quanto di più difficile esista. Ma è anche una qualità di cui in molti pensano di essere ben provvisti. E intanto il mondo vira verso la solitudine… Altro che empatia .)
newwhitebear
per l’ascolto attivo un tempo ero molto paziente. Ascoltavo il mio prossimo. Adesso sono diventato più insofferente, sarà colpa dell’età.
Per le domamde potenti. Non saprei. Forse no. Non le ho mai avute.
Il coaching ne ho sentito parlare e l’ho sempre associata all’arte di manipolare il prossimo. Forse è sbagliato come pensiero ma dentro di me c’è sempre un filo di resistenza verso chi mi tenta di guidare. Ascolto ma devo essere convinto di quello che sento.
Elena
Caro Gian poni temi molto importanti. Parto dalla manipolazione perché è questione cara anche a me. Non credo che ascoltare ci porti a pilotare l’altro, ma al contrario ad accettare il suo punto di vista e accompagnarlo nel SUO viaggio, non nel nostro. L’idea di tenere fuori l’ego aiuta. Senza una imposizione del nostro vissuto possiamo lasciare accadere il pensiero e il punto di vista dell’altro. Diverso sarebbe per esempio il ruolo del consulente, che fornisce e somministra ricette e soluzioni. Il coach, da quel che sperimento, non offre questo, ma domande, interrogativi, insights. In una parola, offre al coachee il tempo e lo spazio per trovare dentro di sé tutte le risposte che già conosce ma che non ha la forza di esprimere. Un viaggio interessante, non trovi?
newwhitebear
Certo un viaggio interessante. Però come tutte le cose se usate bene sono utili ma se usate male no.
Pro9vo a spiegarmi. Dici che ascoltando il punto di vista dell’altro noi lo accompagniamo nel SUO viaggio. Fin qui nulla di male anzi è un utile esercizio di ascoltare anche i pareri degli altri e rifletterci. Non poca cosa. Però se il coach, che in questo caso non è tale, può spingerci ad abbracciare il suo pensiero e farlo proprio. In effetti è più un influecer che un coach mq questo può avvenire.
Elena
Il principio del coaching è esattamente questo. Non è un influencer né tanto meno un consulente. A dirti la verità mi sento molto poco adeguata a dire, al livello attuale della mia preparazione, molto di pi di quanto non abbia già scritto in proposito, ma il tuo timore, quello di essere “pilotati” dentro una soluzione è una delle prime cose che ci insegnano a evitare e che non deve accadere. La relazione tra coach e coachee è paritetica, significa che non viè nessuno al di sopra dell’altro ma insieme collaborano a risolvere un quesito stabilito da chi al coach si rivolge. Qualcuno maneggiando correttamente il processo, che come tale non influisce sui contenuti, l’altro utilizzando i propri contenuti dentro un processo in cui, questo sì, è accompagnato da qualcuno che lo conosce. Ne riparleremo. Concordo con te che bisogna usare queste skill molto bene. Ragion per cui c’è ancora un po’ di studio e di strada che devo fare… Andiamo avanti. Un caro saluto Gian
newwhitebear
Bella delucidazione sulla figura del coach. Senza dubbio il crinale su cui camminare è assai stretto.
Buona serata E un caro saluto
Elena
Si stretto e impervio. Ma ci provo
newwhitebear
se non si prova rimane sempre il dubbio di aver perso un’occasione
Elena
Sei sempre molto caro
newwhitebear
grazie per le tue parole.
franco
L’esercizio di allontanamento dal proprio ego vale, a mio avviso, la pratica dell’ascolto.
Detto così però appare soprattutto la funzione egoista: pare difficile uscirne ma bisogna farlo; (ci provo) d’altra parte la crescita spirituale avviene man mano che riusciamo a guardarci dall’esterno e forse soltanto con la nostra parte spirituale possiamo entrare in contatto con la parte spirituale dell’altro, semplice o complesso che sia il processo.
Elena
Ciao Franco, ben arrivato sul blog e grazie per questa tua condivisione. Da quel che dici sembra che tu conosca o abbia praticato il coaching altre volte, non so perché ho questa sensazione. Dici che cresciamo quando riusciamo a guardarci dal di fuori. Concordo. Il tema è come riuscirci. Forse l’ascolto significa proprio mettere da parte il noi stessi e aprirsi al “tu”. E a tutto quello che l’altro può comunicare. In fondo, noi sappiamo esattamente di cosa abbiamo bisogno, ma pensiamo di trovare fuori le risposte. Forse il coaching è proprio un meraviglioso viaggio dentro noi stesse…
Sandra
Credo che da qualche tempo sia entrato anche nel linguaggio comune “è il mio coach” magari usato anche un po’ a sproposito, ma il senso, almeno generico senza troppo approfondire, rimane.
Abbiamo bisogno di gente che sappia ascoltare davvero ed entrare poi in sintonia, temo che questo sia il momento più sbagliato e, proprio per questo importante che ci sia, siamo più che mai presi da un obiettivo che spesso esclude l’altro: uscire sani da questa pandemia, sani anche mentalmente, poi certo tu avrai delle carte in più per ricostruire le nostre anime fracassate.
Elena
Sandra tu mi fai scassare, scusa la semplificazione, ma è proprio così. Chissà che non sia proprio per l’effetto terribile di questa pandemia che alla fine mi sia decisa. Di certo c’è il fatto che sono molto motivata e che sento di poter dare il mio contributo. E’ come se fossi di fronte a una nuova alba di cui ancora non conosco i colori. E sono emozionata . Tanto. Grazie amica mia per la fiducia. Un abbraccio
Brunilde
Anche per me è una cosa nuova, non ne conosco le tecniche e neppure le finalità specifiche, quindi attendo ulteriori post!
L’ascolto è fondamentale, nella quotidianità e nei rapporti umani.
Ho provato a fare un esperimento: chiedere per prima, alle persone che incontro e mi fermo a salutare, “Come stai?” . Amici, conoscenti, colleghi, vicini di casa, negozianti: la maggior parte risponde alla domanda dando dettaglaite spegazioni dei propri malanni, problemi e difficoltà. Il campionario è vastissimo: dal dente cariato alla caldaia che va in blocco, passando per i capricci dei figli e la sciatalgia della suocera, tutti sembrano entusiasti di parlare di se stessi. Quando poi li saluto, pochissimi chiedono a loro volta ” E tu come stai? “.
Trovo che tutto ciò sia rivelatore della generale propensione alla parola e non all’ascolto!
Elena
Brunilde hai colto pienamente uno dei temi che più mi ha sollecitata in questa prima fase di corso: l’ascolto attivo e ‘attenzione, vera, per l’altro. Dopo una delle rime sessioni, proprio quella in cui ho fatto il test di cui parlo nell’articolo, mi sono resa conto che il mio livello di ascolto era apparentemente alto, per poi misurarsi drammaticamente basso. Per ristabilire un equilibrio, mi è stato chiesto cosa intendessi fare per riallinearmi. Ho risposto “Chiedere come stai e ascoltare, davvero, la risposta”. Come puoi ben immaginare, quando ho letto questo commento ho avuto un sussulto, avevi colto nel segno! Questo percorso mi sta facendo capire quanto di me c’è nella mia idea di rapporto con l’altro. Meno ego e più ascolto. Dovrebbe diventare un mantra. Tu l’hai ben percepito. Insomma, sei una potenziale coach amica mia. Ti autorizzo a fregarmi l’idea 😀
Marina
È una cosa nuova per me, però posso dirti che nell’ascolto sono allenata: ci riesco nove volte su dieci, anche se poi non so dare risposte a domande complesse. Sono portata a capire, l’empatIa mi aiuta, poi resto un passo indietro quando è il momento di elaborare soluzioni.
Hai scelto di seguire un corso di coaching per te stessa e per aiutarti nella realizzazione dei tuoi progetti oppure per essere di supporto ad altri?
Elena
Cara Marina, che bella domanda. Ti rispondo con sincerità: credo sia per me una opportunità di sviluppo personale e professionale. Dunque è per me e anche per gli altri. Eppure mentre ti rispondo sento che si tratti anche di qualche cosa di diverso: sento che è la mia strada, indipendentemente dal resto. Mi fa sentire on un nuovo obiettivo di realizzazione del mio obiettivo nel mondo. MI fa stare bene. Per questo non vedo l’ora di sperimentarmi, davvero, con i coachee. Certo ho bisogno di migliorare le mie capacità naturali. L’empatia, come tu stessa intuisci, è fondamentale. Ma non è abbastanza. Insomma, è una professione e come tutte le professioni che hanno a che fare con le persone anche piuttosto delicata. Mi avvicino ad essa con fiducia e cautela. Rispetto. Per ora va alla grande. Grazie per le domande e per essere passata, cara Marina