Sono in attesa di partire per una breve vacanza e in queste ore mi godo il piacere di ciò che verrà. Un tempo per noi due in un posto meraviglioso in mezzo alla natura. Ve ne parlerò al mio ritorno.
Intanto sto terminando con grande soddisfazione il “mio” Stalingrado, (trovi la mia recensione a questo link), e già medito di portare con me Vita e Destino, dello stesso autore (che ho poi trovato meraviglioso e ho recensito qui).
Naturalmente in valigia non mancherà il mio Kindle, per ogni eventuale ulteriore esigenza.
Non so se capita anche a voi, ma ogni volta che lascio una situazione, anche se solo temporaneamente come in questo caso, subito mi sovvengono molteplici riflessioni a riguardo. Così in questi giorni in cui arruffo le giornate lavorative per fare tutto ciò che mi sono ripromessa di fare prima di partire, mi soffermo sul tema del cambiamento, argomento a me sempre molto caro.
E mentre cercavo una foto per questo post sono incappata in questa che amo sempre molto. Ha “attivato” qualcosa in me:
Il cambiamento è un ponte verso l’infinito.
Il cambiamento è un ponte verso l’infinito
Pensavo al mio lavoro e a come è cambiato negli ultimi due anni. A come sono cambiata io.
Inevitabile modificare i contorni della mia professionalità, anche se da tempo consolidata.
Tutti noi, ci scommetto, abbiamo vissuto questa trasformazione, durante e dopo la pandemia.
Il nostro modo di essere, le nostre relazioni, il modo di fare il nostro lavoro. Alcuni hanno trasformato le loro abitudini, il modo di pensare, di alimentarsi, di divertirsi. Altri hanno cambiato il lavoro che hanno fatto per molto tempo o ne stanno ancora rincorrendo uno.
Un’intera generazione è stata messa a dura prova e con essa noi figlie e figli divenuti caregiver all’improvviso; in alcuni casi è semplicemente volata via, lasciando una scia di inevitabile tristezza.
La generazione che si affaccia oggi al mondo del lavoro invece si porta appresso uno zaino molto pesante e forse non del tutto funzionale al proprio procedere.
Di tutto questo e di molto altro occorre tenere conto, nelle professioni che con queste generzioni hanno a che fare.
Cambiare il modo di svolgere il nostro lavoro
Ogni professionista fa i conti con questo profondo cambiamento, sociale, economico, culturale, geo politico. Un cambiamento che in primo luogo riguarda noi stesse e le persone che incontriamo, ogni giorno.
E’ dunque lecito domandarsi:
Quanto tempo abbiamo dedicato a capire come si è modificata la nostra professione?
Quanto ne abbiamo dedicato a noi stesse?
Nella mia esperienza di sindacalista, un lavoro basato sul rapporto con le persone, posso testimoniare come sia cambiato tutto, a partire dalle condizioni materiali delle persone e al modo in cui si relazionano, le une con le altre.
Per me in particolare è cambiato il modo di contattarle, incontrarle, progettare insieme il cambiamento della condizioni di lavoro, la contrattazione. E’ cambiata la natura e la definizione dei bisogni, delle urgenze, di ciò che oggi è importante e che prima non lo era e viceversa.
Un prima e un dopo frutto del rimestìo interiore che ha caratterizzato questi due lunghi anni in cui siamo stati a lungo sole con noi stesse.
E’ tempo di allargare il campo della nostra visuale per ricomprendere le storie dolorose e resilienti di coloro con cui lavoriamo, ogni giorno.
Come farlo è la domanda cui mi impegno a rispondere. Formazione? Mindset? Altri strumenti? Il dibattito è aperto.
Di certo occorre agire ogni cambiamento necessario e apprendere che il cambiamento è un ponte verso l’infinito. Il bello è attraversarlo, anche se non si arriva mai.
Ma almeno possiamo goderci fino in fondo il viaggio.
Ti stai occupando di te e della tua professionalità che cambia?
Come hai modificato il tuo modo di rapportarti con le persone con cui lavori?
Avviso alle Volpi naviganti: la prossima settimana il blog non sarà aggiornato. Chi desidera comunque passare a leggere e commentare troverà la Volpe di casa disponibile a rispondere, tra un’esplorazione e l’altra.
Per le novità, ci vediamo il 14. A presto…
10 Comments
franco gabotti
Faccio la parte del diavolo proprio perché indotto dalla pacatezza di quei pochi ormoni rimasti a stimolarmi. Anche loro non sono entusiasti dei cambiamenti in atto. Essendo nato all’inizio degli anni cinquanta in un’ottima famiglia, appartengo ad una generazione tra le più fortunate di questa parte del mondo; ho quindi sperato, insieme a tanti altri, in alcuni fondamentali cambiamenti che non si sono avverati. Ecco, questo è il preambolo che ho conservato cancellando tutto il ragionamento successivo per risparmiarti cose cupe. Ma sì, belle le opportunità, purché non vengano sempre da travagli flagellanti o da prove fortificanti, a forza di prove fortificanti mi ritrovo infiacchito. Si cambia per migliorare le cose che non vanno bene e ci chiediamo perché ad un certo punto le cose continuano ad essere perfettibili (aggettivo contenente un’ironia grande come una casa). Dipenderà da noi? Ecco, sì.
Elena
Caro Franco, quanto mi ritrovo in questa tua riflessione! La tensione verso il cambiamento è, appunto, una tensione, con alti e bassi, con fatiche e successi. Li ho provati anche io, anche se non appartengo a una buona famiglia ma a una famiglia modesta, con tutto ciò che questo ha significato, specie negli anni duri a Torino dei settanta ottanta, puoi immaginare. Ora però questa tensione, che per me è la giustizia, e percepisco che con te questa parola non è scritta a vuoto, mi porta comunque, fammi dire, strutturalmente, a stare a questo gioco del su e del giù, dell’avanti e dell’indietro, della fatica e della gioia. Perché di quel che dici sono assolutamente convinta: dipende da noi. E voglio fare la mia parte. Peraltro dalla mia ho anche l’inguaribile ottimismo che mi sostiene da sempre e che per me è fonte di grande energia e mi orienta, mi impedisce di perdere la bussola, anche quando le cose vanno decisamente storte. Di ormoni, invece, non ne parlo!!!!!!!
Luz
Ecco, anche tu parli di cambiamento. Sono riflessioni importanti. Anche la mia professione da insegnante è molto cambiata negli ultimi due anni e non si tratta solo di dad. Sta cambiando in modo irreversibile l’approccio con la didattica, che diventa sempre più ricorrente alla multimedialità. Noi docenti ci sottoponiamo a diversi corsi di aggiornamento ogni anno. È un mestiere che va in effetti svecchiato, il problema è che non ne abbiamo le “strutture”. Dall’alto piovono obblighi e raccomandazioni ma poi è tutto un “arrangiatevi con quello che avete”. È avvilente. Non so quanto durerà questa fase e se si assesterà mai. La nostra non è una generazione che vive il meglio di questa epoca.
Elena
È terribile che una delle funzioni più importanti per il paese, l’istruzione, versi nelle condizioni che descrivi. Fammi dire però che in questi 2 anni ho visto troppe rigidità che hanno creato disagio nei ragazzi. La scuola deve cambiare e devono cambiare anche gli insegnanti. Gli alunni sono già cambiati. Mancano solo le famiglie, per me il vero (tragico) nodo
franco gabotti
Ciao Elena e ciao volpi che cercano di rimanere in piedi sul ghiaccio. Stamane ho seguito una lezione di Sociologia su Rai Scuola e, attraverso molteplici citazioni da studi e testi di filosofi, antropologi ed economisti, ho appreso l’analisi, piuttosto condivisa, che legge i nostri tempi dal punto di vista sociologico.
A dire la verità viviamo già da qualche secolo la perdita progressiva delle sicurezze che furono tipiche dei tempi in cui piccolissimi cambiamenti avvenivano nel corso di alcune generazioni.
Pare che noi siamo costretti ai nostri cambiamenti di prospettiva sulla spinta di ormai grandi cambiamenti imposti. Cambiamo forzatamente per trovare nuovi equilibri man mano che perdiamo le certezze del giorno precedente, se non lo facciamo sono guai e non riusciamo a galleggiare sulla fluidità che muove ogni cosa. Sarà bello oppure no? Forse dipende anche dall’età, dagli ormoni, dallo spirito di adattamento e non ultimo dalla disponibilità a turarci il naso…
Elena
Dagli ormoni sicuramente! Caro Franco mi hai emozionata citando a proposito il sottotitolo di questo blog. Grazie. Quanto ai cambiamenti, che siano scelti o imposti implicano tutti processi simili di adattamento. Non credo si possa pilotare un cambiamento ma solo accompagnarlo. Certo nella scelta fatta da noi siamo più forti. Ma c’è anche da considerare che se fosse solo per noi, forse accetteremmo cambiamenti che ci risuonano, che ci sono più “comodi”. Pensa a quante opportunità abbiamo quando il cambiamento lo scelgono altri. Naturalmente penso a quelli che pur nelle difficoltà finiscono bene
.. Che ne pensi?
Giulia Lu Mancini
In trent’anni ho affrontato molti cambiamenti sul lavoro, ogni volta è stata una sfida che ho superato, qualche volta il cambiamento ha portato positività, nonostante la fatica, altre volte fatica e tanta stanchezza. Penso che ogni cambiamento necessiti di assestamento e consolidamento per essere realmente produttivo. La pandemia ha portato un’accelerazione di alcune modalità organizzative (come il telelavoro) che vedo come positive, ci ha messo alla prova e l’abbiamo superata sotto questo aspetto, per il resto però vorrei un momento di tregua…
Goditi questi giorni di vacanza e a presto
Elena
Cara Giulia, superare la pandemia intere non è stata cosa per tutte, come sai anche tu. Nelle tempeste ci sono molti modi per sopravvivere: chi si dibatte per fare qualcosa senza considerare gli elementi contro (il vento, il mare grosso) la fatica, e chi ha il coraggio di fermarsi e attendere, mettendo alla cappa la barca. Non per mollare, ma per raccogliere le informazioni, stare nel ciclone assecondandolo e imparare qualcosa. Per me la pandemia è stata questo, nel nuovo utilizzo del digitale, che alcuni considerano ancora il male assoluto mentre è solo un altro strumento a disposizione, e nel non accettare la nuova condizione, opponendosi. Personalmente, lo abbiamo fatto insieme anche confrontandoci sulle pagine di questo blog, ho assecondato. Ho accettato l’isolamento come un fatto utile alla protezione della mia salute e di quella della mia famiglia. Ho utilizzato le informazioni che avevo senza innamorarmene e sempre agendo il beneficio del dubbio. Ho colto la palla al balzo per investire su di me e per capire parti di me che ancora non avevo compreso. Oggi sono soddisfatta del mio percorso. Sento nel tuo commento analoga soddisfazione e questo è certamente positivo. Resto una ottimista cronica: il cambiamento non è sempre nella direzione giusta o positiva per noi, hai ragione. Ma le sfide che ci mette di fronte sì. Sono sempre momenti per evolvere. Secondo me il trucco è riconoscerle come tali . Grazie per gli auguri, spero che anche tu possa regalarti qualche spazio di sollievo da quella fatica che negli ultimi tempi sento ti accompagna.
newwhitebear
Non so se il cambiamento sia un ponte verso l’infinito. Per me è un viaggio nell’ignoto. Si sa cosa si lascia, si ignora cosa ci riserverà il futuro.
Quando ho fatto il primo cambiamento, insegnavo a scuola a tempo indeterminato e passaggio a ruolo l’anno successivo. Scuola a 100 metri da casa, tanto tempo libero, stima da parte dei colleghi, ottimo rapporto con gli studenti,ecc. Però ho preferito trasferirmi a Milano e fare quello che avevo sempre desiderato: campo informatico. Un mondo nuovo e un ambiente di lavoro pieno di incognite. Scommessa vinta ma l’azzardo è stato forte.
Elena
Intanto mi complimento con te per il coraggio che hai dimostrato nel seguire il tuo istinto a dispetto della tranquillità che la scuola ti dava. Passare dall’insegnamento all’informatica è un salto notevole, è evidente che te lo sentivi e questo di solito è l’ingrediente per il successo. Ognuno di noi sa chi è e cosa desidera, solo che a volte lasciamo che scompaia nei mille impegni quotidiani, in ciò che ci si aspetta da noi, nelle consuetudini, nelle comodità. Sono stata tante volte in stallo proprio per queste ragioni. Crescere, o cambiare, è in fondo un salto verso un ignoto che possiamo conoscere. E’ scritto nel fondo del nostro cuore che sa tutto di noi. Bravo per averlo ascoltato.