Dopo aver immaginato il cambiamento in questo post e aver fatto tesoro di alcune vostre indicazioni, ho deciso per i colori dell’energia e della solarità: giallo e arancio. Non mi avete ancora detto cosa ne pensate della nuova grafica del blog. Vi piace?
Per invecchiare bene ci vuole umanità
Ma veniamo alla riflessione di oggi, suggerita da un evento molto positivo, dopo un anno di difficoltà: l’inserimento e l’ottima integrazione di mia madre nella RSA in cui attualmente è curata, dopo il ricovero ospedaliero.
Nell’ultimo periodo ho saggiato il significato della parola invecchiare. Ciascuno lo fa, prima o poi, e se accade puo’ ritenersi fortunato 🙂
Di fronte al mio invecchiamento o a quello di chi è intorno a me, mi pongo la seguente domanda: quanto la nostra società è attrezzata per gestire questa umanità in cammino verso la fine del proprio tempo? Quanto lo siamo noi?
Nell’articolo dedicato al ricordo di mio padre, riportavo una citazione di Seneca, piuttosto significativa:
Tutta la vita dobbiamo imparare a vivere e, cosa della quale forse ti meraviglierai, tutta la vita dobbiamo imparare a morire
Seneca – De Brevitate Vitae
Poiché quel monito mi accompagna da sempre, di tanto in tanto ci torno su, perché il passare del tempo mi riguarda, non ne ho paura e vorrei che fosse in grado di insegnarmi sempre qualcosa.
Invecchiare bene non è solo una questione di disponibilità economica
L’invecchiamento della popolazione ci mette di fronte a un dilemma: come garantire lo Stato Sociale, conquista del nostro dopoguerra e della nostra democrazia, in un quadro di riduzione dell’occupazione, specie per i giovani, e di contestuale incremento dei bisogni, specie per le fasce più deboli (e numerose)?
Il nostro sistema si basa sulla ripartizione. Nel caso delle pensioni, questo criterio si realizza nell’utilizzo delle risorse accumulate dai lavoratori attualmente attivi per pagare le pensioni dei ritirati, dei pensionati, che hanno versato le tasse negli anni passati.
Se aumenta la popolazione anziana e si riduce la popolazione attiva, cosa può accadere è molto chiaro. Sta già accadendo.
C’è un’altra questione che mi preme: il diritto all’assistenza e alla qualità della vita, indipendentemente dalla nostra classe di età.
Purtroppo sono questioni totalmente ignorate dal dibattito pubblico. Un peccato. Una distorsione culturale segno di una società che ha da tempo svalutato il contributo degli adulti anziani relegandoli in spazi in cui sentirsi totalmente inutili, un peso, mentre le conoscenze sono così ampie da poter regalare ancora molto.
Ma ciò che conta è la sostenibilità del sistema, che si legge riduzione delle prestazioni sociali e assistenziali, insieme al resto.
Così la sfida di invecchiare bene si schianta, come è accaduto al famoso veliero abbandonato nella splendida spiaggi di Zante.
La sua storia non può più raccontarla. Resta un relitto con cui restare qualche minuto, portati da barconi turistici pieni zeppi di gente o, per i più fortunati, raggiunto la mattina presto a bordo di una barca a vela 🙂
Una questione di umanità
Che cosa manca?
Qualcosa di cui c’è biodisponibilità potenzialmente infinita: l’umanità.
La capacità di empatizzare, condividere, provare sentimenti reciproci. Attenzionare ciò che è altro da noi.
L’umanità è quello sguardo dolce sul dolore, ovunque sia, nel tentativo di scaldarlo, sciogliendolo con il respiro.
Solo potenzialmente biodisponibile, perché in realtà è merce rara, se non rarissima. Ne misuriamo la scarsità nelle nostre relazioni quotidiane e ce ne rammarichiamo, perché con un po’ di umanità si supererebbero molte controversie, persino, ci scommetto, le guerre.
E’ che non riusciamo a utilizzarla, non vogliamo mostrarla, non siamo in grado di apprezzarla.
Abbiamo dimenticato come usarla?
Invecchiare bene è una lotta contro la solitudine
Applicando il criterio dell’umanità sembra ovvio che serva un ripensamento della logica con cui stiamo immaginando l’ultima fase della vita; le badanti full time, i ricoveri di assistenza, sono un buco nero per gli anziani se pensati come il modo per dimenticarci di loro e delle loro sofferenze, abbandonando le responsabilità e lasciandoli ingoiare dalla solitudine, dalla fragilità e dall’isolamento travestito da compagnia.
Me lo ricorda mia madre quanto sia difficile per una persona anziana parte di un tutto ritrovarsi improvvisamente proiettata altrove. Durante i primi giorni di Convitto affermava di sentirsi chiusa in galera. Per fortuna, con un sorriso in bocca, ma quanta amarezza.
Erano solo i primi giorni, quelli in cui misurava ancora la difficoltà, per un anziano raddoppiata, di ambientarsi in un contesto nuovo con problemi di salute ancora in corso.
Faceva fatica a capire quale fosse il progetto che lo Stato Sociale disegnava su di lei. E anche noi figlie, sebbene con qualche strumento per decodificarlo, abbiamo fatto fatica a ricostruirlo, nei meandri dei vari esperti, responsabili, medici, eccetera che circolano intorno una persona anziana, malata, ricoverata.
Quanti sono gli anziani in balia di scelte di cui non governano nulla, pur mantenendo lucidità e orientamento? Quanti tra loro sono autosufficienti o quasi economicamente e hanno un familiare che può seguirli in questa fase complessa della vita?
Che cosa stiamo facendo per alleviare questa sofferenza?
Sono domande che in questo mese mi sono fatta molte volte. Sono ancora quasi del tutto senza risposta.
Penso che dobbiamo affrontare al più presto il tema di come invecchiare bene, con dignità.
La popolazione anziana già oggi ha numeri significativi che si sono aggravati e si aggraveranno negli effetti del Covid e poi del trauma di una guerra nel cuore dell’Europa. Per molti di loro questa guerra ne richiama un’altra. Sono le ultime generazioni che possono testimoniare l’orrore. Proteggerli è il minimo che possiamo fare. Anche da forme di pensiero debole che diventano brutalmente forti.
C’è stato senza ombra di dubbio almeno un momento in cui anche l’uomo più orribile del mondo ha sfiorato la sua umanità, quella che ciascuno di noi porta dentro. Il compito è riscoprirla e metterla a disposizione degli altri, contro la brutalità e l’egoisomo.
Quanto a noi, durante la mia ultima visita, l’animatore che segue mia madre mi ha raccontato della sua sorpresa per il suo rapido e positivo inserimento. Mi ha riferito anche un episodio che lì per lì mi ha fatto sorridere: mia madre è stata intervistata alla radio del Convitto e non ha avuto alcun timore di parlare, lei che fuori di lì, nel suo ambiente di elezione, la casa, aveva bisogno di confrontarsi su ogni cosa con noi o con la sua badante.
La cosa più bella però è stata la frase con cui ha concluso l’intervista: alla domanda “Come stai qui, Paola” lei ha risposto ” Sto bene, perché qui sono tutti i giorni in compagnia e non so più cosa sia la solitudine”.
Quando me l’ha raccontato le ho fatto notare che aveva legato il benessere al superamento della sua condizione di solitudine. Lei ha sorriso. Come se in fondo lo sapesse già.
La sua malattia autoimmune sembra migliorata, così le analisi, la vista e la lucidità. Non voglio farmi illusioni, ma registro il bello che c’è adesso, la sua freschezza e il suo benessere allietano profondamente le nostre giornate.
Se è vero che il nostro corpo sa tutto, allora non posso che darle totalmente ragione.
Non sappiamo ancora che ne sarà del resto, ma quanto alla sua peggior nemica, sappiamo che l’ha batttuta.
Quell’umanità di cui parlavo dalle parti del Convitto Principessa Felicita è più che biodisponibile. Occorre solo continuare ad alimentarla.
Le case di riposo non possono e non devono essere luoghi di abbandono e di affidamento del “problema” ad altri, ma spazi in cui noi che viviamo “fuori” ci assumiamo la responsabilità e il carico di chi vive “dentro”.
Che questa assunzione di responsabilità passi attraverso le visite, o la disponibilità a inventare qualche momento di aggregazione, o a leggere e registrare brani a puntate di opere letterarie da far ascoltare a chi non può più leggerle, non fa differenza. L’importante è che i nostri anziani possano contare su una comunità che li sostiene, li sollecita, li considera, li ama
Oggi ognuno di noi si trova a combattere la solitudine. Alcuni più di altri.
Tocca capovolgere la clessidra e prendere ancora un po’ di tempo per riscoprire quell’umanità di cui disponiamo e che esiste in abbondanza.
L’unica cosa capace di sconfiggere il nostro peggior nemico: la solitudine. In cui ciascuno di noi rischia, pian piano, di scivolare.
E voi, care Volpi, avete paura di invecchiare? Come immaginate il vostro ultimo miglio?
Coraggio, amiche mie. Il tema è profondo, ma in fondo, è quasi Pasqua! Auguro a tutti coloro che lo desiderano di risorgere dal dolore e dall’indifferenza e di abbracciare la gioia di esserci su questa terra.
Buone feste a tutte e tutti!
16 Comments
Grazia Gironella
Il mio ultimo miglio… beh, in effetti ho letto tempo fa che invecchia bene chi conserva una solida trama di rapporti umani, cosa che conferma le parole di tua madre. Da questo punto di vista dovrei prepararmi al peggio! Comunque è qualcosa a cui penso spesso: come far diventare gli anni della vecchiaia anni di qualità. E’ davvero un problema centrale per una società che invecchia. Dobbiamo trovare delle buone risposte.
Elena
Sono assolutamente d’accordo con questa tesi Grazia, invecchiare bene significa anche tenere relazioni di qualità, avere “compagnia” come dice mia madre. Ma come garantircela? Se guardo a me, oltre la mezza età, mi accorgo che negli ultimi anni ho ben ridotto le mie frequentazioni. Un pò per scelta, sopporto sempre meno superficialità e ipocrisia, un pò per lenta moria e forse anche un pò di pigrizia. Una situazione non molto funzionale a farlo diventare gli anni della vecchia di qualità. È che ora sto così bene in questo pseudo ritiro che tornare indietro mi costerebbe fatica. Dobbiamo trovare risposte che si adattino a ciascuno di noi. Qualcun ci sta studiando ma non c’è ancora ne consapevolezza ne interesse. Peccato
franco gabotti
Certo che ti accontento Elena, anche se devo fare la sintesi di un pensiero complesso.
La non vita è una figura retorica che si contrappone alla visione della vita umana, quella storicizzata principalmente dalle culture religiose ed in particolare da quelle monoteiste.
La vita genericamente concepita appare omocentrica e, al di là dei bonus promessi, ha un inizio con la nascita e una fine con la morte dell’umano: ha quindi una prospettiva forzatamente limitata dalle capacità sensoriali. Tutto ciò è giustificato dalle conoscenze di cui l’uomo era in possesso all’epoca della nascita dei dogmi religiosi. Oggi sappiamo che quella vita è sottesa ad un sistema che sfugge anche alla capacità di intuizione, basti pensare alla meccanica quantistica in grado di scardinare la matematica classica. Se pensiamo in grande giungiamo alle forze gravitazionale, elettromagnetica e a quelle nucleari, più terra terra, anzi sotto terra, pensiamo alle micorrize e ai processi che non sono meno complessi di quelli che governano un animale, ma senza dei quali la Terra sarebbe un pianeta deserto.
La non vita sostanzialmente è quella che ha continuità in contrapposizione all’intermittenza di quella che abbiamo tanta paura di perdere, e pure la continuità così intesa perde a sua volta significato se si prova ad immaginare il tempo come un plasma duttile e malleabile. La non vita verosimilmente non verrà scoperta come soltanto “nostra”, ecco la vera differenza immaginata.
Mi fermo perché sono già diventato noioso razionalista in un contesto così illuminato di umanistica visione com’è quello della scrittura. Mi fermo prima di aver detto che i sentimenti sono relazioni di elettrofisica tra neuroni.
Noo, l’ho detto? Un caldo abbraccio ed un saluto pasquale a tutti.
P.S. A proposito di Marxismo, sarebbe bella una sovrapposizione (come si fa con il lucido di carta trasparente) tra il pensiero del filosofo Karl Marx e quello dell’artista Joseph Beuys.
Elena
Caro Franco, come sempre mi fai riflettere su cose molto interessanti. La non vita, una figura retorica. Ma leggendo la tua spiegazione pensavo “Ma la non vita è la vita!”. Intendo che siamo davvero un microbo nell’universo, un granello di sabbia in un ingranaggio più grande di noi. L’omocentrismo è inevitabile, perché noi vediamo le cose attraverso la nostra ragione. Mi sembri Hegel, che pretendeva di codificare tutto attraverso una logica razionale invincibile e la sua fenomenologia dello spirito. Razionalista contro umanista. Una bella sfida 🙂 La sovrapposizione la puoi fare solo tu. Io non conosco così bene Beuys, di arte come sai ne capisco poco. Se vuoi avventurarti, ti offro questo spazio per un articolo. E anche per parlare meglio di non vita. Penso che come per me per molti miei lettori sia una novità assoluta. Buona Pasqua caro @Franco
Luz
Lo confesso, la paura c’è. A parte che dai 45 mi sono resa conto che realmente il corpo sa prendere un’altra direzione. Compaiono piccoli disturbi che prima erano inesistenti. Lo scorso gennaio ho fatto il mio debutto fra coloro che soffrono di mal di schiena, mentre fino a poco prima mi facevo un vanto della mia elasticità. Confesso che ho paura, a maggior ragione perché non vivo nel luogo dove sono nata, quindi la famiglia d’origine è altrove, e non ho figli. Io e mio marito pensiamo costantemente al fatto che non dovremo lasciarci sorprendere impreparati e stiamo mettendo da parte un fondo per il futuro, quando per avere assistenza non ci sarà una figlia (come sta facendo mia sorella con nostra madre) ma dei professionisti. Cerco di non vederla nera ma ho sinceramente molta paura, proprio per la mancanza di solidarietà di cui scrivi. Non so su chi potremo realmente contare, intanto noi ci pensiamo, non facciamo come le cicale. Bellissima questa cosa che tua madre ha parlato in radio e ha espresso questa sua serenità.
Elena
Cara Luz, la tua paura è la mia, grazie per averla condivisa. Penso spesso come te/voi alla vecchiaia che mi auguro arriverà con la stessa apprensione e con la stessa parsimonia metto da parte soldini per proteggermi quando non sarò più in grado di farlo da sola. Sperando di riuscirci. Con qualche amica in condizioni simili alle mie ci siamo dette negli anni che avremmo condiviso una specie di casa comune di anzianotte 😀 Ma poi la vita ti porta a illuderti di potercela fare da sola e i buoni propositi rischiano di tornare in auge troppo tardi.
Devo dire che questa esperienza con mia madre, che non ho potuto avere con mio padre, che è mancato nel giro di sei mesi senza che quasi ce ne rendessimo conto, mi è in qualche modo utile per vedere alcune cose di me, di lei, di noi. Pensa che oggi l’ho chiamata per gli auguri e non mi ha risposto. Lo fa spesso. IN Convitto è molto impegnata 🙂
Quanto ai dolori, non me ne parlare. Solo noi donne possiamo comprenderli, nemmeno il mio medico mi da retta. La medicina di genere, questa sconosciuta!
Ho scoperto l’artiglio del diavolo e so che devo perder un po’ di peso per stare meglio. Tutto quello che possiamo fare è continuare a muoverci. Sono assolutamente convinta che il movimento sia vita. Ti mando un grande abbraccio, a te e tuo marito, con i miei migliori auguri di buona Pasqua cara @Luz
newwhitebear
sono d’accordo con te sulla frase finale. Le persone non sono numeri e oggetti da sfruttare in termini di produttività ma sono esseri umani con tutte le loro debolezze e paure. So che molti hanno paura di invecchiare o morire ma se il destino dice che vivrai a lungo sono due situazioni che bisogna accettare.
Elena
parole di buon senso che dovremmo portare con noi ogni giorno. Buona Pasqua Gian
franco gabotti
Bene per la nuova veste del blog, ho già avuto occasione per esprimermi sulla doppia anima colorata.
La realtà in cui ti cali con il nuovo post apre argomenti davvero pesanti.
Sull’invecchiamento posso dire la mia direttamente da esperto sul campo: ho conservato una certa curiosità per la vita e sto coltivando quella per la non vita. Immagino che la parola morte non significhi nulla se non atavico rancore per il destino che aspetta tutti, mentre non vita, nell’accezione che sottintende la vita da umani, apre a molte prospettive che la scienza sta indagando. Le superstizioni e le religioni non riesco a prenderle sul serio.
L’umanità intesa come atteggiamento non mi pare un automatismo universale e quindi esigibile, il senso della giustizia potrebbe invece emergere dalla pratica culturale. In altre parole non necessariamente buoni ma giusti. L’umanitarismo rende il mondo accogliente e solidale e non dovremmo mai rinunciarci, ma l’applicazione della giustizia è meno stiracchiabile e porrebbe fine, per esempio, alle guerre o alle diseguaglianze sociali.
Così ho parlato del marxismo: è stato fatto notare che si tratta di un’ottima interpretazione della società umana ma che è stata pensata per la specie sbagliata.
Elena
Il marxismo è una teoria assolutamente valida perché universale, storicizzabile e dunque adeguata a ogni fase della nostra esistenza. Parte da una profonda conoscenza delle dinamiche sociali in cui ciascuno è calato e offre spunti di miglioramento, per la specie sbagliata, appunto. Ma non tutta. La giustizia e l’egualitarismo sono valori cui tendere. L’umanità dipende da atteggiamenti di ciascuno di noi. In questo sta a mio avviso la differenza. Che potrebbe essere resa disponibile da subito!
Non mi è chiaro cosa vuoi esprimere con il concetto di non vita. Se ti va, puoi approfondire. ti leggo sempre con piacere
Sandra
Credo che l’umanità ci voglia per vivere bene, non solo per invecchiare, per quanto chi umanità non dimostra di averne mai, in realtà vive benissimo, il problema è per chi si trova ad avere a che fare con lui/lei.
Del resto nessuno ammetterà mai di non essere umano.
La vecchiaia si prepara da giovani: coi risparmi, con un po’ di prevenzione a livello medico e con la cerchia di relazioni che potranno aiutarci a gestire meglio quell’inevitabile fase conclusiva della vita.
Elena
Cara Sandra, hai perfettamente ragione. Eppure io penso che ci sia umanità in ciascuno di noi, nessuno nasce del tutto privo. Le condizioni determinano le distanze e i comportamenti e penso davvero, sperando che non sia un’illusione, che facendo ognuno di noi un passo in avanti in questa direzione le cose potrebbero cambiare. Da qualche anno sto pensando alla mia di vecchiaia, specie con la situazione di mamma sotto gli occhi. Senza figli/e sarà più dura. L’indipendenza economica è un punto ma anche una buona rete di relazioni. Mi piacerebbe poter condividere la vecchiaia con qualcuno, oltre a mio marito, in una specie di comune. Ognuno aiuta tutti. Altrimenti, credo che per me l’alternativa di un buon istituto sia la soluzione. Se ne parla troppo spesso male in modo indifferenziato. Questo aiuta chi fa male il suo lavoro a tenersi fuori dai giudizi che generalizzati fanno di tutta l’erba un fascio e dunque nessuno viene poi verificato davvero. L’insegnamento che ne ho tratto è che soli ci si ammala di più e più gravemente. Questa la mia impressione
Giulia Lu Mancini
In realtà non ho paura di invecchiare, ho paura di sprecare il mio tempo migliore in attività che non mi interessano e che mi rendono infelice e poco serena, come il lavoro. Purtroppo non posso farci niente perché la cosa sta già avvenendo, il mio tempo é fagocitato dal lavoro e, in prospettiva, sarà sempre peggio. Se mai arriverò alla pensione sarò più vecchia e meno agile di adesso, quando avrò finalmente il tempo per me stessa forse non avrò più le energie (e la salute) per godermelo. É questo il grande paradosso della nostra società dei consumi (consumiamo tutto anche il tempo) ma, quello che fa più rabbia è che non ci si preoccupa davvero di migliorare questo stato di cose, non si creano reali opportunità per i più giovani (che dovrebbero sostenere la pensione dei più vecchi), servirebbe un discorso troppo lungo, perciò mi fermo qua, tu che sei attiva nel sindacato capisci benissimo il concetto che voglio esprimere.
Per la tua mamma capisco quanto sia stato difficile metterla in una RSA e quanto sia dura per lei accettare una nuova ambientazione in una struttura simile che, per quanto confortevole sia, non é la propria casa. non mi piace l’idea di mettere un anziano in una casa di riposo, però capisco che spesso non si ha scelta, ciò avviene proprio perché non esiste più una società accogliente e strutturata per curare gli anziani mantenendoli all’interno della famiglia (e torniamo al discorso di sopra).
E siamo già a Pasqua cara Elena, ti auguro di passarla nel modo più lieto e sereno possibile, un abbraccio.
Elena
Cara Giulia, percepisco l’incremento di responsabilità e dunque di fatica legato al tuo lavoro, non è la prima volta che ne parli. Hai perfettamente ragione, siamo dentro una macchina che corre sempre più veloce e fermarci è difficile. Quanto è necessario però, dovremmo rivendicarlo! Di recente in casa CGIL è ripresa la discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro come strumento per migliorare la qualità della vita, distribuire il lavoro che c’è che si sta riducendo, anche per effetto della digitalizzazione, e fare una grande operazione di inclusione. Il lavoro è dignità, restarne fuori o ottenerne uno senza diritti penalizza la crescita della società, è sotto gli occhi di tutti. Oltre che gravare chi c’è di nuovi carichi. Redistribuire! Parola che proprio non passa nella testa di chi ci governa!
Mia madre è passata attraverso varie esperienze, in un percorso tutto sommato positivo. Quando ha cominciato a stare male, la pensavamo come te. Tenerla a casa, questo l’imperativo e anche la sua volontà. Con il senno di poi, avendo la fortuna di trovare un Istituto degno di questo nome, posso dire che il recupero che ha fatto lì non è minimamente paragonabile. In casa, nonostante la badante e le nostre visite, più agevoli, specie ora che c’è il Covid, stava regredendo. Noi lavoriamo entrambe e non esistendo più le famiglie allargate di un tempo, prendersi cura in modo continuativo di un anziano non è possibile, sempre che si abbiano gli spazi per farlo. Penso che debbano essere disponibili più soluzioni, e , soprattutto, che debbano essere sostenibili per tutte le famiglie. Serve attenzione al dentro da parte del fuori. Questo è il punto. Se accade, nessuno si sentirà abbandonato.
Sì, cara Giulia, è già Pasqua! Ricambio gli affettuosi auguri e ti mando un grande abbraccio. Elena
newwhitebear
Se ho paura d’invecchiare? No. So che è una situazione che non possiamo eludere come la morte. Sto già invecchiando e cerco di farlo nel modo migliore, ammesso che ci riesca.
Elena
Ciao Gian, la frase di Seneca che ho riportato e che mi accompagna da anni mi guida proprio in questo percorso. Accettare la fine, cosa di cui in passato ho avuto molta paura. Ammetto che l’esperienza dell’anno scorso, quella della testa fracassata, mi ha davvero cambiato la prospettiva… Forse il salto che dobbiamo fare tutti insieme è non pensare alle persone in termini di produttività. Nemmeno noi stessi. Tutto cambierebbe. Anche questa è umanità