Leggere il lavoro degli altri
Scrittura creativa

Leggere il lavoro degli altri

Leggere il lavoro degli altriTerminare la stesura del NewBo (il nuovo romanzo, ndr) sta richiedendo più energia di quanto pensassi.

Nonostante quest’estate passata in campagna rappresenti la condizione ideale per scrivere, arranco avanzando capitolo dopo capitolo verso la Fine.

Ogni volta che mi avvicino al termine di uno scritto, romanzo o saggio che sia, mi assale una sorta di ansia da distacco. Una definizione senza alcuna pretesa analitica.

Capita che rallenti, inspiegabilmente. Temo di non riuscire a dare la giusta enfasi a generare il necesario trasporto del lettore verso il gran finale. Così reagisco scrivendo per un numero superiore di ore al giorno, aspettando la giusta ispirazione. Non so se è un buon metodo, ma con me funziona.

Per quanto riguarda NewBo, so benissimo come deve andare a finire. La storia c’è. Devo solo scriverla.

Non avevo programmi diversi per la mia estate da lumaca se non scrivere, rilassarmi e fare sport. Perciò quando ho accettato di leggere il lavoro di un altro autore, la traccia semi compiuta di un buon romanzo, ne sono rimasta sorpresa.

Di solito non leggo o edito o faccio da beta al lavoro degli altri. Non ritengo di avere competenze specifiche in tal senso e non sono di quelle che abbozzano.

Il fatto che io curi un blog abbastanza seguito, o che recensisca i libri che amo nelle mitiche Pillole d’autore, non mi autorizza a dare opinioni, correggere, indirizzare o addirittura consigliare la pubblicazione di romanzi che puntualmente vengono inviati o proposti alla mia attenzione.

Men che meno di giudicare un testo

Non è per superbia o indisponibilità, ma per serietà che rifiuto sistematicamente queste proposte di lettura. Non è il mio mestiere.

Niente mi infastidisce di più della superficialità professionale di cui è pieno il mondo. Gli adepti di questa religione dell’improvvisazione possono tranquillamente fare a meno di me.

Il romanzo in questione però ho accettato di leggerlo, anche se non vi rivelerò nulla. È entrato prepotente nella mia routine quotidiana scrivi leggi cammina.

Sospetto di essere stata io stessa a indurre l’autore a chiedermi di leggerlo e di darne un parere e mi sono chiesta se c’era un motivo.

Arriva un momento in cui occorre cimentarsi con qualcosa di estraneo, sia esso un mestiere, un’esperienza, una storia.

Dunque alternando la stesura del NewBo (vi ho mai detto che il titolo provvisorio è Cáscara?) ho divorato quel testo e scritto all’autore un’opinione severa e senza mediazioni.

Pentendomene un attimo dopo aver cliccato sul tasto invio.

Le schede di valutazione sono piene di critiche e complimenti più o meno velati, a seconda della positività del lavoro svolto, in un equilibrio dinamico tra la tirata d’orecchio e la necessità di diventare un punto di riferimento per l’autore quando in futuro vorrà pubblicare.

Io non ho questa necessità se non di interloquire con un essere umano, lo scrittore, che ha speso molto del suo tempo e delle sue speranze in quel romanzo.

La prima cosa è il rispetto.

In questo cimento estivo mi sono accorta che le mie osservazioni erano dettate da una condizione emotiva da “amante tradita”. Conoscevo la trama e il focus del romanzo da prima di leggerlo e mi ero creata delle aspettative.

Per fortuna è scritto molto bene, non avrei potuto portarlo alla fine altrimenti, come mi capita con alcuni lavori già pubblicati che riposano beati nel Kindle quasi intonsi.

Dunque mi chiedo e chiedo a voi : si può fare il mestiere dell’editor senza mettere la propria emotività in campo?

Come se la cavano gli editor veri quando leggono qualcosa che non soddisfa le loro aspettative?

Si deve essere obiettivi anche in questo?

Sono ancora alla ricerca della ragione per cui una storia possa funzionare. Trama, personaggi, ambientazione non sono mai risposte sufficienti.

Sapete cosa mi ha agganciato subito della storia? L’identificazione con una situazione simile a quella vissuta dalla protagonista e che risale a molti anni fa, nascosta nei ricordi tabù della mia famiglia.

In fondo non serve molto di più per fare di una storia un capolavoro.

Buona scrittura a chi scrive, buona estate a tutti gli altri.

 

31 Comments

  • Marina

    Buon giorno Elena, innanzitutto complimenti per l’articolo. I tuoi dubbi sulla professione dell’editor sono più che legittimi. Aggiungo anche che, chi nei commenti ha fatto cenno ai “beta reader”, ha ragione. I pareri del lettore beta non sono mai professionali, sono semplici opinioni (utili) ma soggettive (mi piace/non mi piace), mentre quelle di un editor sono valutazioni professionali (approfondite), vale a dire che derivano da una esperienza e una preparazione necessarie per essere definite tali. Questo per dire che la differenza sta proprio nella parola (magica) “professionale”. La professionalità non lascia spazio all’emotività fine a se stessa, o meglio, attribuisce a questo stato d’animo il giusto peso in fase di lettura (sempre professionale). Un buon editor ha la mente allenata a una valutazione critica, tecnica e oggettiva. Spesso ci si domanda se questa figura si lasci prendere da un vissuto personale e quindi da un coinvolgimento emotivo. Nonostante l’editor non sia un robot, la risposta è no. Al massimo si può parlare di sensibilità letteraria, questo sì. Il curatore editoriale, in fondo e anche in superficie, è un artista che si prende cura di un testo e che è in grado di riconoscerne le potenzialità, con obiettività. Egli può valutare, attraverso criteri ben precisi, se un libro può piacere al lettore, se è fruibile, se tocca le corde del target cui è destinato. Io sono un editor freelance e per diventarlo ho dovuto fare un paio di corsi parecchio impegnativi e dispendiosi, ma non solo. Ho studiato, letto e scritto tanto imparando dai miei stessi errori prima di arrivare a sviluppare queste capacità. Tuttavia, occorre fare una precisazione: se non avessi avuto alle spalle studi umanistici e, una passione smisurata per i libri e la parola, sarebbe stata un’impresa, non impossibile, ma piuttosto ardua, farne una professione. Poi, tutto può succedere. Continuerò a seguirvi. Un caro saluto.

    • Elena

      Buon giorno MArina e benvenuta nel blog! Ti ringrazio per il tuo contributo, in effetti mancava il punto di vista di una professionista, anche se nella discussione i temi che poni sono emersi e ci è chiaro che l’equilibrio di un giudizio deriva dalla professionalità di chi lo esprime. Una professionalità che “costa” ma che unica può portarci sulla strada del “successo” inteso come capacità di andare avanti nel proprio lavoro. Il tuo percorso mi pare molto lineare, devi essere una persona decisa e con le idee molto chiare, brava!
      A proposito di Beta: tra le tante esperienze che hai fatto per diventare editor, ti è capitata anche questa? Come ti è saltato in testa di provarci, e anche come freelance? Scusa la curiosità, ma quando mi ricapita 🙂
      A presto e quando vuoi noi Volpi siamo qui. Elena

    • Marina

      Buon giorno Elena, rispondo molto volentieri alle tue curiosità. Mi chiedi se ho fatto anche “il Beta” prima di diventare un editor. Assolutamente sì. Ho letto un numero periodico misto di libri recensendone altrettanti sul mio blog. Poi ho fatto anche il giurato in alcuni concorsi letterari e, ancora prima di tutto questo ho scritto alcuni libri. Ecco, è stato proprio leggendo e scrivendo come se non ci fosse un domani, che mi sono accorta di voler andare oltre il mio personale progetto artistico e occuparmi dei testi degli altri come professione. A onor del vero, facendo ancora qualche passo indietro, fino all’era mesozoica (scherzo!), quando andavo a scuola, mi perdevo nelle parafrasi, nella comprensione del testo e nei temi. Mentre quasi tutti i miei compagni tremavano all’idea del compito in classe d’italiano, io non vedevo l’ora di scrivere le mie pergamene o di essere interrogata su Baudelaire e la consecutio temporum. In compenso avevo tre di matematica, ma questa è un’altra storia.
      Comunque sia, tornando a bomba sulla “questione beta”, leggere e dare un’opinione (con maggior distacco possibile) sui testi degli altri allena la mente e sviluppa il senso critico, quindi consiglierei entrambe queste esperienze come palestra. A presto, Marina.

      • Elena

        Grazie Marina per aver condiviso la tua esperienza. Chissà se qualcuna leggendoti non faccia un pensierino su un mestiere che immagino difficile ma che può dare grandi soddisfazioni. Io per il momento cerco di scrivere, ma chissà… E voi care Volpi? Vi piacerebbe fare il salto che ha fatto Marina?

  • Marina

    Ciao Elena, ben ritrovata.
    I dubbi che hai e le domande che ti poni sono legittime, laddove, oltreché scrivere, ti è capitato qualche volta anche di “leggere” come se fossi editor alle prese con il giudizio su un lavoro altrui. Ho detto “come se” non a caso: solo i professionisti sanno che il loro mestiere deve tenerli lontani dall’ombra di pregiudizi e opinioni soggettive; è difficile non farsi influenzare, ma necessario se hai la preparazione adeguata. Un tempo volevo fare l’editor anch’io e ho preso informazioni, cercato corsi accreditati, poi qualche esperienza da beta-reader mi ha fatto cambiare idea: non so essere obiettiva. Non mi sento a mio agio con letture che non mi trascinano (e io nei gusti sono abbastanza settoriale), non ho la giusta equidistanza, in pratica ho capito che non è un lavoro che fa per me.
    Nei giudizi, invece, sulle cose che leggo sono abbastanza sincera e onesta, sempre per il principio che ogni critica, se costruttiva, è un aiuto prezioso per uno scrittore. Mi sono imbattuta, però, in persone che si sono sentite offese dalle mie notazioni e questo mi è dispiaciuto, perché, ignorando tutto e tutti, sono convinta che non abbiano saputo cogliere l’opportunità di migliorarsi.

    • Elena

      Ciao Marina, felice di ritrovarti. Come stai lettrici abbiamo idee chiare e modi di di esprimerle che sono coerente con la nostra personalità. La delicatezza è d’obbligo, ma non significa che un eventuale intoppo non debba essere segnalato. Aiuta, come sostieni, sempre. Anche se subito non lo raccolgono poi quella osservazione, se ben circostanziata, diventa un tarlo. Prima o poi arriva al cervello . Sulla professionalità siamo d’accordo. Accidenti è un bel mestiere, forse averlo scoperto prima

  • Rosalia Pucci

    Ciao Elena, credo che il fattore Professionalità sia l’elemento fondante di ogni attività. Il lettori Alfa e Beta non sono editor, se no tutti lo saremmo, io ho frequentato un corso professionale per diventarlo, ma, ci tengo a precisarlo, non è il mio mestiere. Un editor professionista è colui che si è preparato e campa di questo, semplicemente. Fa un lavoro e come tutti, può esercitarlo bene e ambire al successo, o, al contrario, farlo mediocremente, e restare nell’ombra. Sono convinta altresì che chi scrive con passione, legge e studia quotidianamente come fai tu, cara Elena, abbia le carte in regola per offrire un aiuto competente all’autore nel cercare soluzioni azzeccate. Un abbraccio;)

    • Elena

      Sei troppo cara Rosalia, e ci sveli anche un segreto! Sei una editor! Ora schiere di lettori volpini si faranno avanti! Ebebne, mi hai tolto un dubbio che effettivamente avevo e di cui ho parlato in qualche commento precedente. Ci sono corsi per diventare editor, non avevo dubbi, aggiungo grazie a Dio! Dunque non ci si improvvisa. Lo studio e la passione sono dei buoni viatici per non rpendere troppe cantonate. La Volpe di casa, lo misi anche sul mio profilo tempo fa, tutto ciò che sa lo mette a disposizione. Ma cum grano salis e soprattutto senza oltrepassare la soglia. Poiché conosco la tua scrittura e le tue capacità, mi sorge spontanea una domanda, cui puoi anche non rispondere: perché non hai scelto di proseguire con quetsa attività? Abbraccio ricambiato

  • Grazia Gironella

    Credo che l’obiettività esista, ma copra solo una parte della valutazione; il resto è comunque soggettivo e relativo. Ti capisco bene, perché io stessa mi presto raramente a fare beta-reading per gli amici più stretti, mai a valutare testi di persone che non conosco o conosco poco. L’unica volta che ho accettato di farlo, anni fa, me ne sono ampiamente pentita, perché ho impiegato un tempo spropositato a cercare di esprimere le mie critiche (tante) in modo che l’autore non si sentisse ferito, ammesso che esistesse questa possibilità. Questo senza nemmeno dare alla mia opinione un grande valore… no, non fa per me. 🙂

    • Elena

      Si @Grazia, credo che valutare testi di gente sconosciuta sia quantomeno complicato, se non lo si fa per mestiere. Un professionista invece penso che sarebbe avvantaggiato da una sì fatta condizione. Ricordo quando diedi da leggere la mia prima stesura di Così passano le nuvole al mio miglior amico. MI fece molti complimenti e ne fui davvero felice, incoraggiata. Poi passai all’editor della casa editrice, che mi fece stravolgere la storia, mettendo in evidenza alcuni macroscopici errori. Non l’ho mai detto a lui, ma tuttavia gli sono grata. Probabilmente se non mi avesse incoraggiata, omettendo o dicendo sommessamente qualcosa che io non volli raccogliere (quanto è difficile accettare le critiche, lo sappiamo bene!) non sarei nememno andata all’appuntamenot con l’editore. Oggi sono più consapevole e meno irritata dalle ciritiche, anche se la mia permalosità, come tempo fa colse giustamente Maura, mi rende più lento l’apprendimento dei miei limiti 🙂
      Tuttavia li conosco. Per questo penso di essere pronta a confrontarmi con qualche patela vacche (in piemontese, qualcuno che va giù per le trippe). Se avete suggerimenti, fatevi avanti!

  • Elena

    Scrivo qui il commento di Patricia di Myrtilla’s House che ha problemi con il PC e non riesce a commentare! Inusuale ma ci teneva a farci sapere cosa pensa. Eccolo:

    Ha ragione chi mi ha preceduta nei commenti. Serve obbietività.
    Come lettrice resto troppo coinvolta da un libro per essere un editor decente. Non è il mio lavoro ma soprattutto non sarei mai obbiettiva. Senza contare che comunque non ho affatto le basi per farlo in quanto ho soltanto la terza superiore.Da segretaria d’azienda per di più.
    D’altronde anche quando parlo di libri sul mio blog continuo a ripetere che non faccio mai recensioni ma semplicemente dico quali mie corde un libro ha toccato.

    Fare l’editor è un lavoro e come tale va fatto con professionalità lasciando perdere i gusti personali, le antipatie/simpatie eccetera.
    Non sarei proprio capace.
    Blog:
    http://hermioneat.blogspot.it/ (myrtilla’shouse)

  • Marco Amato

    Io non sono in grado di fare né il lettore Alfa, che dovrebbe essere colui che legge in itinere, mentre l’autore scrive, né il lettore beta. Il mio giudizio personale peserebbe troppo. E comunque non sono in grado di valutare con obiettività un testo. Sono molto empatico e passionale anche quando leggo. Se il testo mi piace non riesco a scorgere i difetti di stile.

    Mentre invece per il romanzo in corso ho provato il lettore Alfa e devo dire che mi sono trovato bene. Ma credo che dipenda dal lettore Alfa che ho trovato, un angelo custode raro.

    • Elena

      Marco, mi hai aperto un poco mondo! E io credevo che alfa e beta facessero la stessa cosa! Insomma, sei una risorsa! A me invece capita il contrario quand’ero un testo mi prende : sono più severa e lascio meno correre. Siamo opposti, ma entrambi lettori sanguigni

  • Brunilde

    E così, nella tua estate da lumaca si è infilato un imprevisto!
    Non ho idea di cosa significhi fare l’editor, concordo che in un mondo di tuttologi il rispetto per la professionalità e il lavoro altrui sia da da riscoprire e difendere.
    Io non ho nè blog nè pillole d’autore, sono innamorata delle parole, scritte in particolare, sono una lettrice forte, scrivo – almeno ci provo – e quindi quando leggo credo di avere un’attenzione e una sensibilità particolari. Questo non fa di me un editor, e neppure un beta.
    Credo che nel tuo leggere il lavoro altrui e darne una sorta di valutazione tu abbia portato la tua attenzione e la tua particolare esperienza di lettrice e scrittrice, e ovviamente è entrata in gioco l’emotività: non poteva essere altrimenti.
    Forse proprio perchè conosci bene e stai vivendo le difficoltà e i ” tormenti” del percorso creativo – il tuo Newbo! – non puoi essere distaccata e chirurgica, come sicuramente dev’essere un editor professionale, ma le tue osservazioni saranno sicuramente state utili e costruttive per chi ha scritto, quindi va bene così!
    Buona continuazione di estate, cara Volpe – Lumaca!

    • Elena

      La mia malgascia preferita! Ti ringrazio non solo per continuare a seguirmi da laggiù ma anche per le tue parole, sempre gradevoli e sensate. Probabilmente è andata come dici. Mi consola che con questo post nessuno mi chiederà più di leggere nulla. Ho più dubbi che risposte, amica mia…

  • newwhitebear

    fare l’editor? E’ un mestiere difficile e non basta farlo con obiettività. Secondo me deve sommare diverse qualità. La visione del lettore, le capacità di valutare il testo nel suo insieme con dati oggettivi, la capacità di indirizzare l’autore nella stesura del suo testo.
    Il beta è un lettore evoluto che ci mette la passione di cui è capace.

    • Elena

      Sono molto d’accordo con te. Un beta è colui o colei che ti stringe la mano quando stai per cadere. Io la mia me la tengo ben stretta!

  • Sandra

    Allora, non ho mai fatto la beta né penso di esserne capace. Di editor professionisti ne ho incontrati diversi, e soprattutto come ormai sa chi mi segue, amo profondamente Chiara Beretta Mazzotta, gli altri che ho incontrato purtroppo stanno molte spanne sotto, alcuni proprio li avrei messi volentieri sotto terra.
    Comunque a parte la professionalità è anche un discorso di empatia con l’autore, di quel feeling che scatta oppure no.

    • Elena

      Ora ho capito da dove arriva la fissazione per CBM! Vale quanto affermato prima : quando trovi una professionista seria tienili stretta. Come riconoscere un professionista serio? Ti giro la domanda. Intanto la butto lì : quando ti fa arrabbiare favendoti notare cose che non avevi visto e che hanno cambiato il tuo modo di vedere la storia…

  • Banaudi Nadia

    Concordo in toto con Barbara. Chi lo fa di professione è obiettivo e riesce a valutare i punti di forza e quelli su cui lavorare. Chi lo fa in maniera amatoriale no. Manca la parte professionale che permette di escludere la propria soggettività e si mette a disposizione della narrativa, della letteratura, della saggistica rispettandone i canoni.
    Per quello che mi riguarda, essendo solo una beta, quando mi spingo a dare l’opinione è puramente di carattere stilistico. Cerco di capire come scrive l’autore e di notare se lo mantiene per tutta la durata del testo. Di consigliare alcune scelte grammaticali, ma nulla che modifichi la storia, o le scelte dei personaggi.
    Certi compiti restano dell’autore che al limite deve motivarli solo meglio nel caso non arrivino in fase di lettura.
    Se invece mi metto dalla parte opposta cerco di capire se i consigli dei beta sono in grado di metterli in pratica senza snaturare troppo il testo e la storia.
    Credo ognuno in un libro voglia trovarci qualcosa, e sia difficile mettere d’accordo tutti. Non è mai facile scrivere ciò che gli altri vorrebbero leggere, ma in effetti nemmeno giusto.

    • Elena

      Sulla concordanza con Barbara, vedi commento precedente . Sul resto: credo fondamentale il ruolo del beta non solo per questioni stilistiche ma per l’incoraggiamento, il sostegno la tirata d’orecchi di cui spesso abbiamo bisogno. Il punto è certo la professionalità, un percorso lungo e faticoso
      Non ho idea se esistano corsi professionali per editor, a mio avviso dovrebbero. Condivido poi il fatto che sia impossibile accontentare tutti. Ma se ne accontentiamo pochi, è abbastanza?

  • Barbara

    Si può fare il mestiere dell’editor senza mettere la propria emotività?
    Si, se è un vero editor professionale, con decine e decine di testi alle spalle, non sarà emotivo, ma obiettivo. E viene pagato proprio per questo. L’editor deve avere lo stesso distacco di un chirurgo: niente emotività in sala operatoria, perché i rischi sono altissimi e non ci si possono permettere incertezze. L’empatia (e non l’emotività) si lascia da parte per il post-operatorio, per ascoltare il paziente e consigliarlo al meglio.
    Come se la cavano gli editor veri quando leggono qualcosa che non soddisfa le loro aspettative?
    Dipende da dove arrivano le aspettative. Se sono pagati dall’autore per una scheda di valutazione o se sono pagati dalla casa editrice per scovare in mezzo ai miliardi di manoscritti il prodotto giusto su cui investire per la pubblicazione. Certo che un editor vorrebbe poter leggere un futuro best-seller e dire all’autore-editore che è un lavoro eccellente. Ma non possono mentire: non darebbero un aiuto all’autore che non sa dove migliorare e perderebbero in credibilità sulla propria professione. Forse se sono ingaggiati dagli autori sono meno brutali… ma non ci giurerei! 😀

    • Elena

      Ciao Barbara, non mi convince l’idea asettica che rappresenti, al punto da paragonare l’editor a un chirurgo. L’emotività conta sempre e mo pare illusorio pensare di censurarla. L’obiettivita viene dal distacco, dall’assenza di possibili conflitti di interesse. Ho sempre pensato che i peggior editor potessero essere autori in concorrenza vera o presunta con chi scrive. Non saprei dire qual è la chiave per la ricerca dell’equilibrio fra le molte variabili che l’editor, in quanto essere umano, manovra.
      Sono Sono daccordo sull’importanza dell’ingaggio. Infatti sono sempre perplessa quando devo decidere se inviare a un editor il testo per un giudizio preventivo oppure no. Capisco chi trova quello giusto e vi si aggrappa. Non dev’essere facile. Quanto mi piacerebbe leggere il parere di qualcuno che l’editor lo fa per davvero. Se c’è qualcuno in ascolto, batta un colpo!

      • Barbara

        Beh, hai condiviso proprio tu l’articolo di Giulio Mozzi su Facebook. La sua prima occhiata a quei due testi ti è sembrata una lettura emozionale? A me proprio no. Ho letto di altri editor che quando devono invece valutare un testo per l’autore (e non per la casa editrice), che effettuano due letture del testo: la prima emozionale come dici tu, la seconda alla Giulio Mozzi – chirurgo obiettivo. Ma anche lì sarà una questione di costi: due letture richiedono più tempo, il tempo è denaro e se un editor professionale vuol essere davvero professionale dovrà tagliare la prima lettura e concentrarsi sulla seconda.

        • Marco Amato

          La mia editor ad esempio non lascia trasparire la lettura emozionale. Però con mia sorpresa ho scoperto che c’è.
          Ogni tanto qualcosa le sfugge e io capto…
          Ad esempio, le è sfuggito che Don Pasquale, nella serie del commissario, la fa morire dal ridere. Così quando le ho detto che sarebbe morto nel romanzo tre, mi ha minacciato che avrebbe fatto morire me. Prima lei e poi i lettori.
          E poi mi ha confessato che nell’ultimo capitolo di Eleonor’s si è commossa. Insomma, di norma mi sferza, ma ogni tanto qualche cosa della lettura emotiva le sfugge.
          Io credo a quel che dite voi, un buon editor dovrebbe avere una prima lettura emozionale e una seconda tecnica. O comunque se sono bravi riescono ad abbinare entrambe le cose in un’unica lettura.
          Invece su Mozzi non sono d’accordo sul suo pezzo. Ma il mio giudizio negativo su quel tipo di valutazione, lo tengo per me. 😛

          • Elena

            Ciao Marco, la tua editor è una tosta! Perché non condividi il suo giudizio? Io in realtà ho condiviso il suo articolo solo perché mi ha fatto sentire una scrittrice minuscola…

        • Elena

          Non confinderei i piani della nostra discussione. Il post di Mozzi, che io stimo molto, lo ammetto, parla di come un editor (non qualunque editor ma Lui) si regoli per selezionare dei testi. Qui siamo in un ambito specifico, del lavoro di editor per una casa editrice. Per selezionare i testimoni dicevamo, fa l’esegesi dell’incipit. Pesa mucho ogni singola parola e cerca, nella capacità dell’autore una traccia di originalità. Probabilmente è ciò che gli chiede Marsilio (che è mancato proprio oggi, poverino).. Io qui cercavo solo di dire che a me personalmente è mancato il distacco e la professionalità. Non ho mai detto che le emozioni sono da censurare. Io credo nel potere dell’inconscio e l’inconscio È emozione. E poi, sul ruolo delle emozioni nella comunicazione, ci ho pure scritto un manuale

        • Marco Amato

          Fra i discorsi sugli editor bisogna anche tener in conto di un altro fattore. Se un editor compila una scheda di lettura, all’autore viene fornito un giudizio critico dello scritto. Quando invece si compie un editing, l’editor in qualche modo è chiamato anche a fare lo psicologo. Deve riuscire a cogliere le caratteristiche umane dello scrittore, pregi e difetti e deve riuscire anche a lavorare su questi aspetti. Con me la editor è severa anche perché sa che stimolare la rivincita del mio ego è un ottimo modo per ottenere il meglio. Certo, a volte mi sono sentito uno straccio e un fallito, però è proprio quel carico di pressione che mi ha spinto a migliorare notevolmente dal primo romanzo al secondo. Il sapere: con questo passo la editor mi trucida era già un bello stimolo per fare al meglio.

          Con Mozzi in passato ho avuto due querelle. Una volta sul suo blog, quando scrisse che un autore dovrebbe avere soltanto un profilo e mai una pagina Facebook e un’altra volta sul blog di un caro amico blogger. Sostenere un dibattito con Mozzi è difficilissimo, perché nonostante io sia uno che riesce ad argomentare, la sua capacità dialettica è ai massimi livelli. Per la serie, due scontri con lui mi sono bastati. 😛

          Ma se proprio occorre parlare del suo articolo, io non mi trovo d’accordo con l’interpretazione che molti ne hanno data.
          Perché a mio giudizio quello non è un pezzo che mostra perché lui scarta eventuali autori solo leggendo l’incipit, quello è un post di “sbruffoneggiamento” letterario. E per sbruffoneggiamento non intendo una connotazione negativa, ma un sostanziale: guardate cosa mi posso permettere io!

          Qual è il senso che mi spinge a dire ciò?
          Io mi sarei aspettato che quei due incipit, fossero due degli innumerevoli autori comuni che mandano un manoscritto a Mozzi. Il mio pensiero è stato: vediamo come e perché riesce a scartare dei testi solo dalla prima pagina. In realtà c’è il colpo di scena. Scopriamo che entrambi gli incipit appartengono a due autori pubblicati. Il primo un autore straniero pubblicato da Neo, un editore medio di qualità. Il secondo libro addirittura è stato scritto da Fruttero e Lucentini, che oggi sono poco conosciuti, ma che sono stati probabilmente una delle coppie scrittorie più famose e di successo.
          Pertanto, finita la lettura di quel post, la mia riflessione è stata: ma non doveva parlare del perché scarta i manoscritti che riceve? Cosa ci azzeccano nella sua disamina due libri, uno pubblicato da un editore di qualità e l’altro da una coppia di scrittori di successo?
          Tutti pensano: però Mozzi ha fatto una lettura professionale dei testi e ha dimostrato che quei testi sono evidentemente carenti.
          In realtà non è così. Quei testi vanno benissimo e la lettura professionale è alquanto opinabile. Perché se io prendessi Tolstoj, Franzen o Philippe Roth, e cominciassi una lettura professionale sui loro testi, potrei far risaltare le carenze di quei testi secondo i miei gusti.
          In pratica e per chiudere, con quel post, Mozzi non ha voluto spiegare perché scarta gli improbabili esordienti che lo inondano di manoscritti, ma ha voluto dire “sbruffonescamente” guardate che un romanzo di un autore internazionale pubblicato in Italia da Neo e una delle delle migliori coppie di scrittori di successo, con me non avrebbero pubblicato. Pertanto non ci rompete i maroni se vi scarto come se cercassi il pelo nell’uovo, il mio standard di qualità non lo raggiungono nemmeno coloro che sono arrivati alla pubblicazione, con editore di qualità o con successo di pubblico.
          Questa è la mia interpretazione. E il giudizio finale, me lo tengo per me. 😛

          • Elena

            Niente male come interpretazione, Marco. Immagino che sostenere una discussione con lui sia complicato. A me capitò solo una volta sul suo blog, dopo un pò mollò la presa. Lo apprezzo per la sua capità portata agli estremi di sdrammatizzare tuttociò che riguarda la scrittura, collocando ogni cosa, persino la sua professionalità, in una dimensione meno celebrativa e più concreta, terrena. Al contrario di quando molti pensino, a me non pare che Mozzi sia uno sbruffone arrogante, ma un uomo che patisce moltissimo il lavoro che svogle. Scartare un romanzo non è una passeggiata, sapendo cosa c’è dietro le parole in bianco e nero che arrivano, in termin di sudore, attesa, emozioni, paure. Magari sono disordinate o banali. Ma sempre frutto di un duro lavoro e di tanta passione. Molti trattano gli esordienti come cacchine, scusami il termine, ma non mi pare sia il suo caso.
            La banalità a mio avviso è una delle cose peggiori in letteratura. Consoco Fruttero e Luecentini, figurati son di Torino e immagino che siano ottimi autori, anche se non ho mai letto nulla e non me ne vanto, intendiamoci. Credo che l’idea che ha voluto trasmettere sia che ogni editor, ogni casa editrice, ha una propria linea editoriale che si basa sul gusto personale di chi seleziona, dell’editor o chi per esso. Questo è fondamentale per comprendere due cose: come valga sempre la pena scrivere, ammesso che lo si faccia bene, perché, come dice Nadia in un altro commento, non possiamo piacere a tutti ma ad alcuni piaceremo, eccome! Tanti o pochi dipende dal marketing o dalle consocenze, ormai lo sappiamo.
            Seconda cosa, che nessun editore ha il dono dell’infallibilità. A mio avviso, poichè attribuisco a Giulio una certa conspevoleza dei suoi limiti, nonstante le apparenze, con questo post ha voluto dimostrare che anche un professionista può sbagliare quando dice un no che poi si rivela maledettamente un sì altrove.
            Comunque la verità è che io ho postato quell’articolo perché quando ho letto i due incipit mi sono parsi buoni, a parte la concordanza della trama (il protagonista ci annuncia che morirà) e dunque mi sono depressa cronicamente a proposito della mia possibilità che lui legga fino in fondo un mio romanzo, cosa a cui aspiro (confesso, adorerei pubblicare con Marsilio). Per la cronaca, ho inviato a Mozzi un mio romanzo, secondo i suoi complicatissimi canoni di invio, e non mi ha nemmeno considerata. E’ che siamo un po’ tutti fatti alla nostra maniera 🙂

        • Marco Amato

          Se vuoi pubblicare con Marsilio, puoi sempre inviare il manoscritto a Marsilio. Probabilmente a livello letterario sono meno esigenti di Mozzi. Anche se l’invio dei manoscritti ormai è poco funzionale per essere notati. La selezione avviene tramite riviste letterarie e agenti. Oppure alcuni editori vanno a caccia nella rete di possibili autori commerciali. Ma non mi pare che Marsilio faccia questo tipo di scouting. In tal senso si adoperano di più Mondadori, Rizzoli, Newton e ultimamente si sta aggiungendo anche la Nave di Teseo.
          Per il resto, sono poco adatto per il contesto editoriale. Troppo ribelle ed eretico per lasciarmi inquadrare. Indipendente inside, anche se, in futuro, ci saranno nuove strade per me. 😉
          In bocca al lupo, anzi alla volpe, per il tuo manoscritto.

          • Elena

            Mi sto organizzando per farlo 😉 Grazie per l’incoraggiamento, ne ho davvero bisogno! E tu, ribelle ed eretico, quando sforni qualcosa di nuovo?

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