Sarà capitato anche a voi un week end inatteso, avere in programma qualcosa cui tenete da molto tempo e poi, all’ultimo, doverlo disdire.
Eventi improgrammabili che sgombrano la giornata dagli impegni già definiti e li rimandano, li cancellano, li offuscano.
Ebbene, è quanto accaduto a me lo scorso week end, quello del grande ritorno del Salone del Libro di Torino. Quando avrei dovuto esserci, da protagonista. E invece. Invece la vita ha preso un’altra piega.
Un week end inatteso
Avevo due possibilità per essere al Salone. La prima era la partecipazione allo stand propostomi dalla mia editrice, PubMe – Collana Policromia, per organizzare qualche firmacopie e incontrare i lettori di Càscara.
Aveva suscitato subito il mio interesse, ma una volta verificato in quale fine settimana il Salone si sarebbe tenuto, avevo dovuto lasciar perdere. Venerdì e lunedì si lavora, sabato e domenica… c’è mia madre.
Io e mia sorella ci alterniamo nella cura domiciliare un week end a testa, in modo tassativo, per evitare scontri. Mi è dispiaciuto, certo, ma la mia vita in questo momento è così altrove che tutto sommato mi ci sono attestata subito a questa memorabile sfiga.
L’altra occasione, quella cui avrei potuto partecipare, lasciando soltanto qualche ora mia madre con il mio compagno, era la partecipazione a un dibattito, promosso da ADEI, l’Associazione degli Editori indipendenti nata nel 2018, per parlare di un tema che mi sta molto a cuore: l’Etica del lavoro nel mondo della cultura. Info sugli eventi di ADEI al Salone qui.
Ma anche questo evento è andato a rotoli. Ho inviato un video con il mio intervento e rimediato un ulteriore invito, in altra occasione, perché il tema è davvero importante: si può contrastare lo schiavismo e la negazione dei diritti del lavoro che abbiamo scoperto nella filiera editoriale, a partire dal caso, speriamo non paradigmatico, di Grafica Veneta? La risposta è naturalmente sì. E chissà che non cominci a parlarne anche qui.
Le ragioni di questa riprogrammazione sono familiari (le conoscete, le ho raccontate qui) ma anche, diciamolo pure, politiche.
I fatti occorsi alla mia organizzazione sabato 9 ottobre 2021 mi hanno chiamata altrove. Sabato 16 ottobre ho partecipato alla grande manifestazione #Maipiùfascismi indetta da CGIL CISL UIL per rifiutare la logica sottesa a quello che è accaduto alla nostra sede di Roma e ribadire la scelta democratica del mondo del lavoro.
Una piazza straordinaria che ha riempito i cuori sopiti dalla pandemia.
L’assalto agli spazi della CGIL è stato un assalto all’intero mondo del lavoro e ai valori che storicamente ha sempre portato nel nostro paese: partecipazione, democrazia, lotta alla violenza, specie se ad arte organizzata.
Una triste scoperta
Il 9 ottobre avevo passato il sabato in festa con amici, come non accadeva da tempo. Una grigliata, risate e buona compagnia in un ambiente montano magnifico, ai piedi dello Jaffereau.
Al rientro, le notizie hanno cominciato a diffondersi e abbiamo capito subito che la nostra casa era stata violata da un gruppo di facinorosi che poi, è stato chiarito, avevano in mente da tempo di attaccare il luogo simbolo della democrazia, la Camera del Lavoro per eccellenza, la nostra CGIL, la casa di tutti i lavoratori.
Inutile dirvi lo shock, la rabbia, la preoccupazione.
Soprattutto perché l’attacco alla CGIL era stato preceduto da alcune avvisaglie, anche a Torino.
Due settimane prime una svastica disegnata da uno sconosciuto entrato di soppiatto nella nostra sede di Settimo Torinese; la settimana dopo, un corteo con comizio della così detta “Variante torinese” preceduto da roboanti minacce di “invasione”, si è approcciato alla nostra sede di Torino. Una ventina di persone, con argomenti incomprensibili, confusi, frutto più del disagio economico e sociale dei singoli che di una vera e propria tesi contro il sindacato. Ma eravamo stati avvisati. Eravamo pronti e lo era la polizia. Non è accaduto nulla per fortuna, abbiamo ascoltato, con pazienza. E’ il nostro compito. Anche se è difficile spiegare ciò che non abbiamo contribuito a definire. Il green pass infatti è uno strumento chiesto al governo da Confindustria. Noi avevamo lottato per il vaccino obbligatorio, perché lo riteniamo l’unico presidio alla salute affidabile che conosciamo. Avevamo ragione. I fatti inglesi e russi sono lì a testimoniarlo.
Eppure non abbiamo chiuso le porte. Abbiamo ascoltato.
Non ci siamo sottratti perché siamo consapevoli di vivere in uno scorcio di secolo difficile, in cui la distanza tra chi decide e chi ne saggia le conseguenze è abissale. Il ruolo della politica e dei partiti in termini di rappresentanza, specie di quelli che devono essere senza se e senza ma dalla parte dei lavoratori, abdicato all’esecutivo, in particolare negli ultimi due anni, con il risultato che la mediazione politico-sociale è abortita in favore dell’uomo o del governo forte. Che se anche forte è, di certo non è e non può essere infallibile. Eppure, sembra che sia questo ciò che cercavano le persone. Sentirsi protette. Chi conosce la storia dell’ultimo secolo sa a quali pericoli questo atteggiamento diffuso porta, in termini di delega al potere purché sia.
Stupisce l’indirizzo della protesta. Sembra quasi voler sopire la voce di uno dei pochi soggetti che in questi anni, così gravati dagli effetti sulla salute e sull’economia della pandemia, ha provato a rappresentare davvero i bisogni di un mondo sommerso del lavoro che non c’è, del lavoro povero, denunciando una crisi del capitalismo che nemmeno la sinistra ha saputo leggere con tanta, pragmatica, efficienza, imponendo i protocolli di protezione dal Covid nei luoghi di lavoro e il blocco dei licenziamenti.
Provate a immaginare dove saremmo adesso se non avessimo portato a casa queste tutele.
Solidarietà e partecipazione, sabato 16 ottobre
Quello che è successo è una ferita, per ciascuno di noi.
Noi l’abbiamo curata, a nostro modo, riempiendo di rosso le vie di Roma sabato 16 ottobre.
Insieme, in modo pacifico, ci siamo riappropriati di piazze negli ultimi tempi occupate da chi, senza offrire alternative valide, pensa che i morti della pandemia siano stati un’invenzione, rendendo questi sacrifici vani.
Sì, perché quello che abbiamo visto fino a qualche tempo fa, non vogliamo più rivederlo. Noi ne siamo certi.
Io me lo ricordo, anche su questo blog, quanto abbiamo cercato di tenerci compagnia quando la paura ci attanagliava, con tante parole care e persino iniziative, come la Pasquetta condivisa sul balcone. Ricordate?
Non voglio più tornare indietro, non voglio più provare quella paura, voglio lavorare, vedere i miei nipoti girare in bicicletta con i loro amici senza rischiare di ammalarsi e di far ammalare mia madre e tutte le madri e i padri fragili che vivono nelle nostre case, o noi stessi, che tanto forti non siamo.
La libertà è un concetto alto. Molti sono morti perché potesse affermarsi, anche nel nostro paese.
E se pensiamo che la libertà sia avere un opinione su tutto, anche su ciò di cui non sappiamo niente, allora dovremmo fermarci a riflettere. Se vale davvero la pena essere preda della grande illusione basata sul controllo e manipolazione delle informazioni che social media come Facebook e molti altri avallano e che già denunciavo anni fa, proprio qui sul blog.
La libertà non significa decidere solo per noi stessi. Questa non è libertà, è illusione di autosufficienza.
Per me libertà non è un concetto individuale ma collettivo. Non esiste la mia libertà se non esiste la nostra.
In questo week end inatteso, anche 5 Parole per un romanzo, ospite del blog di Grazia Gironella!
Ho avuto anche una bella sorpresa, eh, in questo week end inatteso. L’articolo di Grazia Gironella sul suo blog, Scrivere Vivere, in cui parlare del mio nuovo romanzo.
Mi aveva offerto questa possibilità appena Càscara è uscito, proponendomi la sua rubrica “5 parole per un romanzo“
Adoro quella rubrica, proprio per questo temevo di non riuscire a pensare a niente che fosse minimamente interessante per i suoi lettori. Ci ho messo un po’ a capire quale taglio dovevo dare a quella riflessione, poi, in modo inatteso, mi hanno raggiunto in superficie le 5 parole.
A quel punto è stato facile descriverne il senso.
Ringrazio Grazia per avermi consentito di guardare a Càscara in modo differente.
Andate subito a curiosare l’articolo sul suo blog, che vi linko qui sotto, e poi fatemi sapere che cosa ne pensate di questa lunga digressione che proprio non voleva più stare nella penna 🙂
12 Comments
franco gabotti
Forse l’avvento del covid ha dissodato una realtà carsica che agli ingenui come me non appariva prima ma, ora che a quella realtà ci sbatto contro, mi arrabbio con me stesso perché non riesco a comprenderne le istanze, non dico per condividerle ma per cogliere anche una parvenza di empatia. Ascolto i discorsi dei no-qua e dei no-là (gente normale anche non politicizzata), cerco di seguirli e mi trovo in mezzo alla nebbia, non vedo più i miei fondamentali, provo a chiamare in causa l’analfabetismo funzionale ma mi sento arrogante su un pulpito. Nel tempo ho accettato (senza avere un’altra scelta) l’idea di dovermi mescolare con una società nella quale il cinquanta per cento degli elettori vota partiti di destra, mentre un cinquanta per cento degli aventi diritto al voto delega gli altri; ma oggi per tacitare la mia intolleranza piuttosto rinuncio ad esprimermi. Faccio soltanto un’analisi apparentandomi con quanto ho sentito pronunciare stasera nella trasmissione di Formigli dal filosofo e saggista Bernard-Henri Lévy: le destre, ormai corpose in tutta l’Europa e non solo, diventano forti perché le sinistre si sono atrofizzate in gruppuscoli minimali, i maggiori contenitori di idee democratiche e solidali hanno traslocato in un centro che inneggia al banchiere. Quindi la colpa è soprattutto mia che mi sono ritirato a vivere in un bosco.
Elena
Caro Franco, apprezzo molto Henry Lévy e ne condivido interamente il pensiero. Il tema riguarda noi, l’Europa , il mondo occidentale, e questo, se possibile, rende il quadro ancora più fosco. E’ probabile come dici tu che le tracce di questo dissenso irrazionale ci fossero anche prima. Nella mia Torino sono nati le Sentinelle in Piedi, la Variante Torinese, e altri movimenti carsici che hanno al centro quasi sempre la stessa radice: la paura, la difficoltà di comprendere e accettare le diversità, un radicamento nei valori fittizio, formale e non sostanziale, la difesa della patria, della famiglia, da ipotetici attacchi esterni. Insomma, la mia città, come altre, è preda di un fenomeno irrazionale diffuso oppure è significativo che sia da tempo una delle più povere d’Italia? Il fatto che l’istruzione sia stato qualcosa che nel ventennio berlusconiano è stata svalutata, significa qualcosa? Che il lavoro oggi sia poco e povero, che la salute non sia più una garanzia per tutti, non costituisce un terreno di fragilità che diventa humus per questi fenomeni?
E ancora una volta, c’è l’intera sinistra, ma allargherei, l’intero paese che deve interrogarsi sugli errori del passato e su come questa povertà diffusa si è generata, delle idee e materiale. Invece vengono ripetuti a oltranza. Questa pandemia rischia di non insegnare nulla a dei sordi. Eppure, la lezione ce l’abbiamo davanti agli occhi. Buon fine settimana
Giulia Lu Mancini
Ho sempre pensato che la propria libertà finisse dove cominciava quella degli altri, insomma il concetto è semplice: non posso io, invocare la mia libertà per non rispettare anche quella degli altri. La linea tra le libertà individuali è sempre però molto sottile oltre che fragile. Per questo la violenza (fisica ma anche verbale) non è mai giustificata.
Purtroppo viviamo dei tempi molto difficili, c’è una esasperazione generale che facilmente porta qualcuno a fomentare l’odio e a manovrare ad arte certe situazioni.
Il fatto che il green pass sia uno strumento chiesto da Confindustria, tuttavia, mi fa pensare.
Abbiamo assistito a una degenerazione del lavoro in nome del profitto sempre più spinta, ricordo ancora quando, nel 1992 (avevo cominciato a lavorare da poco) abolirono la scala mobile, grande errore secondo me, poi la riforma delle pensioni sempre più deleteria, l’abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, solo per citare i provvedimenti che ricordo. A questo si aggiunge una organizzazione del lavoro sempre più compulsiva che negli anni ha reso le persone schiave, tra precariato istituzionalizzato e gli stabilimenti chiusi e delocalizzati all’estero, anche quando erano produttivi con ampi margini di utile, per la gestione senza scrupoli da parte di multinazionali a cui erano state svendute. Cosa ha fatto la politica per tutelare il lavoro? Nulla, basterebbero delle leggi ad hoc per creare adeguate garanzie quando si verificano queste acquisizioni con addirittura degli incentivi da parte dello stato, invece non avviene. Se prendessero dei provvedimenti a tutela del lavoro con la stessa forza con cui impongono il green pass saremmo a cavallo.
Elena
Cara Giulia, quanta lucidità e quanta competenza nella tua memoria di lavoratrice. Proprio così. Negli ultimi decenni il mondo del lavoro non è più al centro del dibattito perché ha perso il gioco dei rapporti di forza. Al momento. E più c’è precarietà, più questo rapporto di forza deflette a favore dei datori di lavoro, che, fatte le dovute eccezioni, competono non sulle competenze, sullo sviluppo e valorizzazione delle risorse, ma sul costo del lavoro. La pandemia ha generato una profonda frattura tra chi è stato sommerso, economicamente, e chi si è salvato. Il grande errore che deve essere recuperato è proprio qui: occorrono risposte. Non intendo giustificare le proteste, legittime, specie se sfociano in violenza. Ma osservo, seguendo il tuo ragionamento, condivisibile, che queste hanno radici nelle difficoltà e nell’esasperazione. E’ su questo terreno che si generano le manipolazioni. Come si fa a proteggersi? Serve il confronto? Può essere utile una organizzazione che interpreti e medi da questo punto di vista? Penso di sì. Capisco che qualcuno abbia intenzione di tapparci la bocca. Mi sarebbe tanto piaciuto fare quella discussione dal vivo, quella sull’etica del lavoro nell’industria culturale, perché penso che parli anche a molti di noi che scrivono. Su questo mi impegno ad andare avanti. In fondo era una proposta che avevo avanzato anche qui, sul blog. Mi sembra incredibile che possa davvero trovare una strada per farsi voce. Ogni vostro contributo da questo punto di vista mi sarà molto utile. Grazie a voi tutti per questa discussione, che ero molto indecisa se offrire oppure no e sono contenta di aver fatto questa scelta di parlarne. Adoro questo blog e i suoi lettori 🙂
Grazia Gironella
Quanti temi, quante priorità, quante aspettative e delusioni, cara Elena! Per fortuna hai le spalle larghe. In una simile sovrapposizione, accettare di rinunciare a qualcosa è sicuramente la scelta migliore. Forse non è il momento giusto per programmi che troveranno tempo e luogo più avanti. Grazie di avere partecipato alla mia rubrica! Ci tenevo a sentirti parlare di Càscara. 🙂
Elena
Partecipare alla tua rubrica è stato un onore, oltre che un piacere! Sai, il leitmotiv di questo ultimo periodo è proprio la … rinuncia! So già che avevo troppa carne al fuoco da troppo tempo, lasciare qualcosa indietro è assolutamente normale e sano. Per fortuna, tutto si può recuperare; il Salone c’è ogni ano (ed è molto comodo, a Torino) le discussioni si riprogrammano. L’unica cosa che spero di non vedere più è la violenza brutale di quei giorni. Grazie per sostenere il mio piccolo lavoro di scrittura con tanta sincera partecipazione… Abbraccio
Marco Lazzara
Se non fosse tragico sarebbe comico sentire i fascisti inneggiare lo slogan “libertà”.
Anch’io qualche volta commetto la leggerezza di considerare determinate opinioni che leggo sulla rete del semplice folklore, e le persone in questione come pittoresche, e di farmici due risate e basta. Ma in realtà, essendo da un po’ di anni che per diverse ragioni seguo il fenomeno del complottismo e correlati, avendone anche dibattuto nei miei spazi, so bene che è una galassia variegata, suddivisa su vari livelli e con svariate derive.
Ma su quanto visto a Roma si può solo vedere la riprova di quando quelle persone lasciano che siano altri a pensare per loro e a cavalcarne le paure per i loro scopi. Il greenpass lì era più che altro una scusa, c’entrava poco o nulla.
Elena
Caro Marco, bentornato. Il meccanismo della delega è ben radicato nella nostra società. Lasciamo che altri si occupino dei problemi comuni fino a quando qualcosa che ci tocca da molto vicino non chieda una adesione più incisiva. Allora protestiamo. Ma con quale riflessione, approfondimento, verifica di come e con chi lo facciamo? C’è molto disagio in queste proteste, ma anche molta superficialità e disinformazione. Anche informarsi è un dovere e agire di conseguenza un diritto. Così si tutela il concetto di libertà. I fascisti fanno ciò che gli riesce meglio : infiltrarsi nelle contraddizioni. La risposta non può essere che riprendersi gli spazi, fisici e culturali. Grazie per la tua riflessione, a presto.
Luz
L’attacco alla CGIL è stato osceno, abominevole, inaccettabile. Un comportamento inqualificabile, che ci ha lasciato attoniti e molto arrabbiati. Non posso usare altra parola. Arrabbiati. La rabbia di vedere gente facinorosa, violenta, prendere di mira la sede di un’organizzazione che si batte per i diritti di chi lavora, un’operazione pianificata nei dettagli. E poi la politica che si azzanna. Il neofascismo è una piaga, ormai lo abbiamo ampiamente capito. E questa cosa si deve combattere a oltranza.
Mi dispiace che tu non abbia potuto partecipare al Salone! Io mi sono ripromessa di venirci il prossimo anno, speriamo davvero di riuscirci.
Elena
Cara Luz, grazie per la tua solidarietà. Abbiamo ricevuto tanti messaggi di questo tenore e, credimi, quando accadono cose tanto gravi, qualcuno che viola i tuoi valori, la tua casa, fanno molto bene. Hai ragione, il neonazismo è una piaga dilagante. Fa male sentire qualche illustre opinionista che minimizza, fa finta di non vedere. Esiste un problema e le indagini della magistratura lo stanno evidenziando. Occorre però una risposta politica, che ancora non vedo. Quanto al Salone, ogni anno si ripete, ci saranno altre occasioni. Era solo uno stand in cui proporre il romanzo. Il dibattito lo recupero, così come la promozione. Sono stata contenta di essere a Roma. L’appuntamento era unico e bisognava esserci, almeno per quanto mi riguarda. Un caro saluto
newwhitebear
Concordo sul concetto di Libertà, la scrivo in maiuscolo, non è quella che molti identificano col libero arbitrio, ma è quella che si ferma quando incontra quella di un altro o viceversa.
Io posso protestare in modo civile ma la violenza non è mai protesta.
Il green pass è vero che appare un’imposizione a doversi vaccinare ma ma dire che è una limitazione alla propria libertà mi sembra troppo. Non voglio vaccinarmi? Nessuno te lo impedisce ma devi aspettarti le conseguenze. Però questo non deve compromettere i diritti altrui.
Elena
1 con te. Si tende sempre più a confondere libertà con individualismo, che sembra, quest’ultimo, il carattere sempre più distintivo della nostra società. Per me il vero è problema. Qui il punto non è solo la non violenza, ma il senso di civile. Ma penso anche il disagio di molta parte del paese colpito duramente dalla crisi, non solo in termini sanitari, ma economici. Bisognerà dare qualche risposta. Grazie per il tuo pensiero condiviso Gian