Scrittura creativa

Il compito dell’eroe

Tra gli appassionati di scrittura creativa circola una lettura che gode di una certa notorietà: si tratta de Il viaggio dell’eroe, di Christopher Vogler, un testo che guida il lettore nella scoperta della struttura fondante della sceneggiatura di un film.

Come lo stesso autore ammette, il suo è un adattamento di un testo che vale la pena di essere scoperto e studiato con molta attenzione.

Si tratta de L’eroe dai mille volti, di Joseph Campbell, un testo che non basta leggere una volta sola. Richiede una costante e attenta lettura e rilettura, a diversi livelli e schemi di apprendimento.

Ne sono rimasta affascinata, perché si tratta di un testo che tiene insieme, facendole dialogare, la mia passione per l’antropologia e la scrittura.

Questo saggio contiene una tale quantità di spunti di riflessione, di approfondimenti storici, filosofici, antropologici, etnografici e psicologici intorno ai miti fondamentali e universali dell’esistenza umana, da renderlo un compendio inesauribile di informazioni, studio, apprendimento.

Come si può parlare di un testo tanto complesso in un solo post?

Di certo non facendone un riassunto né relegandolo a una recensione per la rubrica Pillole d’Autore .

Questo saggio merita il primo articolo dopo il cambio di passo annunciato in Cambio io, cambia anche il blog, ovvero adottare un nuovo stile narrativo e forse anche contenutistico per questo blog.

Sono felice di cominciare con L’eroe dai mille volti, perché parla all’eroe che vive in ciascuno di noi. Uno spazio rivendicato che intendo concedere, a partire da oggi, per provare a scovarlo, questo eroe, e a renderlo manifesto, anche nelle storie.

Ho deciso di cominciare questo viaggio dal compito dell’eroe, quello che assegniamo ai nostri personaggi mentre scriviamo, quello che dobbiamo riscoprire innanzitutto in noi stesse.

Il compito dell’eroe

Chiunque abbia percorso i saperi più antichi del mondo sa che in essi si trovano tante tracce differenti di un unico mito.

Un racconto della realtà che popoli molto lontani tra di loro descrivono differente nei costumi, nelle ambientazioni, nelle immagini simboliche e negli addentellati della religione, ma identico nella sostanza. Una sostanza comune a tutti gli esseri viventi che ne sono in contatto, possiamo dire una sostanza universale.

Questo sapere arriva fino a noi “tradotto” attraverso immagini e storie differenti ma coerenti con la cultura che le ha prodotte e la sua storia. La sorpresa è che contengono gli stessi archetipi fondamentali.

Sono i miti che hanno popolato la storia dell’uomo da quando esiste e da quando ha cominciato a camminare sulla terra che ha trasformato, per soddisfare i propri bisogni.

Sono sempre gli stessi: decodificare la vita intorno a sé, rispondere alle domande esistenziali più profonde, approvvigionarsi di cibo, acqua, resistere al cambiare delle stagioni. Domande universali cui sono state date risposte simili in situazioni differenti.

Il compito di questi miti è legato al compito dell’eroe. Dice Campbell:

Essi (i miti, ndr) avevano lo scopo e il preciso effetto di assistere gli uomini durante quei processi di trasformazione che impongono mutamenti non soltanto nel conscio ma anche nell’inconscio. I cosiddetti riti di passaggio, che occupano un posto così importante nella vita delle società primitive (riti per la nascita, l’imposizone del nome, la pubertà, il matrimonio, la sepoltura ecc.), comportavano invariabilmente delle pratiche, in genere assai difficili, attraverso le quali venivano radicalmente eliminati dalla mente le tendenze, gli affetti, le abitudini dello stadio precedente […]


Quanti “riti” vi vengono in mente cui partecipiamo ancora oggi?

Quanti ne avete raccontati nelle vostre storie?


Il sogno, il mito

I simboli e le immagini di questi miti archetipici sono riscontrabili in un luogo a noi molto prossimo, ovvero nei nostri sogni.

Essi fanno parte dell’esperienza universale dell’uomo che ciascuno porta con sé. Scoprirla ci fa accedere a una tale quantità di risorse da trasformarci, profondamente. E’ questo il compito dell’eroe che abita dentro di noi!

Come sosteneva Nietzsche, nei sogni noi esseri umani ripercorriamo lo stesso cammino del pensiero umano.

Contattarli significa potervi accedere. Ed ecco che scopriamo quanto importante sia un sonno profondo e continuativo!

Un cammino che può anche essere profondamente diverso ma che alla fine conduce a medesime soluzioni.

Sir James Frazer affermava proprio questo concetto nel suo Il ramo d’oro.

Senza nemmeno rendercene conto o spendere energie e risorse in blasonati corsi di scrittura creativa, tutto ciò di cui abbiamo bisogno per creare una storia che attinga a quella sapienza universale e che riposti ogni lettore ad essa risiede proprio dentro di noi.

Che meravigliosa scoperta!

Il punto piuttosto è tirarla fuori. Ma per questo ci sono molti strumenti, qualcuno l’ho acquisito di recente e non è un caso che questa consapevolezza ora possa sorgere.

Ancora Campbell:

Noi compiamo un circolo completo, dalla tomba del grembo al grembo della tomba: la nostra non è che un’ambigua ed enigmatica escursione entro un mondo concreto che ben presto so disdolve intorno a noi, come le immagini di un ogno. E, se ci volgiamo a considerare quella che avrebbe dovuto essere la nostra unica, nmisteriosa e pericolosa avventura, scopriamo che essa è stata soltanto un susseguirsi di puntuali metamorfosi, le stesse subite per millenni da tutti gli esseri umani in tutti gli angoli della terra.

La prova di questa unicità della narrazione del mondo sono i miti.

Gli insegnamenti di Lao Tse, gli aforismi e il pensiero di Tommaso d’Acquino, la mitologia greca, i Veda, le storie degli indiani d’America. Tutto ciò che vorrete aggiungere a questo elenco è ricompreso, anche il mito del Minotauro, qui ritratto da Étienne-Jules Ramey (Teseo che uccide il Minotauro).

Il compito dell'eroe
Teseo uccide il Minotauro – Étienne-Jules Ramey – Giardini delle Tuileries – Parigi


Un popolo che abbia abitato con consapevolezza questa terra ha prodotto miti, racconti che contengono un’unica trama fondamentale tradotta in mille lingue e mille colori.

Questa narrazione universale si compie attraverso il compito che l’eroe si assegna per liberare, salvare, elevare l’umanità di cui fa parte e sé stesso.

La fonte del mito è magica, poiché arriva dagli strati più profondi e creativi del nostro sé. . Accede al sapere universale che ciascuno di noi si porta appresso, spesso senza esserne consapevole, nella parte più nascosta di noi, l’inconscio.

Laggiù, in quel luogo che spesso appare oscuro e pericoloso, risiedono tutte le risposte che ci parlano attraverso immagini che affiorano alla coscienza come incubi, ma più spesso come sogni.

Il racconto universale è una ricerca che va oltre la storia e che ciascuno di noi compie quando decide di scrivere.

Contattando il mondo dell’immaginazione e del sogno attingiamo a tutta la conoscenza che l’uomo, nella sua lunga e travagliata esistenza, ha accumulato, in termini di esperienza, consapevolezze, storie, esperienze, vittorie e sconfitte, gioie e sofferenze.

Tutto è dentro di noi. Disponibile a noi per scrivere e vivere meglio.

Il mito dimenticato

La nostra cultura, occupata a fare, evolvere senza sapere in che direzione, autosufficiente e affrancata da ogni laccio, dimentica troppo spesso il significato del mito.

Tutto ciò che è stato appartiene al passato e non ha più nulla da insegnarci.

Lo affermiamo quando il nostro sguardo a ritroso provoca pena e rimpianto, mentre proviamo ad allungare lo sguardo verso il mondo del futuro in cui tutto andrà meglio.

Perdendo di vista noi in un dato momento.

Contattare il mito significa accorgersi che ciò che accade ora, in questo momento, è già accaduto altre migliaia di volte.

Nei miti fondamentali che troviamo citati nel testo da cui deriva questa riflessione e in altri ben argomentati, come quelli che troviamo nei testi psicologici e psicanalitici, possiamo riscontrare l’esatto andamento di ciò che è stato, è e sarà.

Il compito dell’eroe: evocare il cambiamento

Il primo compito dell’eroe è quello di abbandonare il mondo degli effetti secondari e ritirarsi nelle zone causali della psiche dove risiedono le difficoltà e qui risolvere queste difficoltà. sradicarle (cioè dar battaglia ai demoni infantili della sua civiltà) e passare trionfante alla diretta esperienza e all’assimilazione di quelle che Jung ha definito le “immagini archetipe”.


Qual è dunque il compito dell’eroe?

Quale obiettivo persegue, armato di spada, favella, o immaginazione?


Il primo compito dell’eroe è dunque portarci fuori da una situazione di stallo, dentro e fuori di noi.

Nel mito e nei racconti l’eroe è colei o colui che con il suo intervento risolve una questione aperta.

In Càscara ad esempio questo compito è assegnato a Mirna, che svela la truffa del sindaco Perotti, o a Justicio, eroe in fuga che salverà il piccolo Michele dalla condanna all’emarginazione che lui stesso ha subito.

L’eroe ci libera dai tiranni.

Può superare condizioni limitanti fuori e dentro di sé per raggiungere forme archetipe valide per tutti noi.

Quando una storia funziona, ci aggancia emotivamente e non ci lascia più, contatta questo substrato profondo, universale, in cui inevitabilmente ci riconosciamo.

Se riusciamo a identificarci con l’eroe, a scoprire ciò che il racconto ha da dirci per aiutarci a illuminare la parte più nascosta di noi, allora ce ne innamoriamo. Come ci innamoriamo di qualcuno o qualcosa che ci porta più in là di dove siamo noi adesso.

Queste sono le emozioni che regalano le storie universali che richiamano quel mito. Sono quelle che restano per sempre nell’immaginario dei lettori


Le tue storie sono popolate di eroi?

Quali sono i compiti che gli hai affidato?


Storie che parlano di eroi o di tiranni. Anch’essi albergano dentro di noi e ci costringono a fare, essere, diventare qualcosa che non vogliamo essere, diventare o fare. Che sottomettono ogni nostra creatività e bellezza, che ci impediscono di riconnetterci al nostro vero sé.

Il compito dell’eroe ha bisogno di una volontaria sottomissione al compito stesso.

E’ l’eroe a scegliere, quando si trova al bivio o, per stare nel linguaggio di Vogler, sulla soglia. Lo attende la dura battaglia, gli stenti, o addirittura la morte, in cambio della salvezza dell’umanità.

L’eroe a un certo punto della sua normale esistenza si domanda se sottomettersi volontariamente al fato che lo attende. La sua risposta alla chiamata è sì.

Forse una sottomissione al compito che ha qualcosa a che fare con quella narrata da Houellebecq e che ho descritto nella mia recensione di Sottomissione.

Una sottomissione che conduce alla morte e che solo una continua palingenesi che annulli l’incessante opera della morte può condurre l’eroe verso la salvezza.

Senza questa costante rigenerazione, senza il continuo e incessante cambiamento di cui l’eroe è portatore, anche nel viaggio interiore, le sue parziali vittorie recheranno in sé i semi della prossima sconfitta. E anche le nostre.

Rigenerare è dunque l’altro compito dell’eroe. Lasciarsi distruggere per rinascere ancora più forte, completamente rinnovato.

Il compito dell’eroe è in fondo il compito di ciascuno di noi: addentrarci dentro noi stesse, nelle zone più recondite e sconosciute. Talvolta spaventose. Lì contattare le difficoltà, le questioni da risolvere e agire. Portare battaglia a quei demoni che popolano le storie noir o dell’orrore e che ci atterriscono tanto proprio perché ci appartengono.

Tutti sappiamo che da qualche parte dentro di noi quell’orrore risiede. Se decidiamo di affrontarlo, può presto farci meno paura.

A volte, come nella leggenda del Minotauro, è proprio il mostro che diventa, suo malgrado, veicolo, causa ed effetto dell’amore.

18 Comments

  • newwhitebear

    ho capito cosa volevi dire. Certo che sì giorno dopo giorno combattiamo e qualcosa di noi muore o si rigenera. In un certo senso ognuno di noi porta un eroe, un eroina dentro di sé che a volte si nasconde, altre si palesa. Questo c’è anche in quello che scriviamo..

    • Elena

      Sì, proprio questo intendevo. Il nostro compito come scrittori è definire bene il nostro eroe o eroina. Come persone compiere lo stesso lavoro, ma su noi stesse. In fondo i due lavori si completano e si rafforzano uno con l’altro, non credi?

  • Luz

    Chi lo sa, Elena? Io non sono mai soddisfatta, perché un libro che ho scritto più di 20 anni fa non lo scriverei adesso in questo modo. E me dispiace, perché la storia c’è, di questo sono certa.

  • Luz

    Questo bellissimo articolo mi fa tornare in mente le tante pagine studiate nei miei anni universitari. Mi ha sempre affascinato il patrimonio archetipico, perché ha questo valore di svelamento. Noi siamo quel patrimonio, e abbiamo bisogno di storie antiche e quelle moderne, che altro non sono se non rielaborazioni, di alcuni principi fondamentali della vita. La simbologia appartiene al nostro mondo. Se penso all’eroina del mio romanzo, è una donna che si sente insignita del compito di riequilibrare, che poi ci riesca o meno spesso non è frutto delle sue scelte, ma del peso della Storia, che tutto travolge.

    • Elena

      Anche per me il ricordo degli anni di studio è importante, bello, ricco di immagini ed emozioni. Gli anni più belli. Entrare nel merito delle cose, approfondire, conoscere è da sempre un esercizio di ricerca che porta ricchezza. Questo piccolo viaggio nel mito universale e il suo continuo riflesso in alcune storie è stato per me fonte di grande ispirazione. Sono contenta che ti sia arrivata e che tu lo abbia apprezzato. Ripensare ai simboli come strumento per comunicare idee, valori, sensazioni mi è sembrato importante, per la nostra scrittura ma non solo. Se pensi a come certi simboli vengano usati per il male poi, ti viene proprio voglia di riscoprirli e di far venire alla luce tutto il loro significato. Mi piace il compito della tua eroina. Siamo in dirittura d’arrivo? ☺️

  • Marco Lazzara

    Una delle parti più interessanti del testo di Vogler per me è la classificazione dell’eroe in sette tipologie. Se il mito è unico, quello del viaggio dell’eroe, le sette tipologie lo ramificano in un fiume di differenti possibilità che hanno dato origine a tutte le sfumature della narrativa umana.

    • Elena

      Ciao Marco, di Vogler ho solo letto molte recensioni e riassunti, so della sua classificazione e per certi versi quando l’appresi la trovai interessante. Campbell non la tratta in modo così schematico, il suo obiettivo è la comparazione con i miti fondamentali della storia dell’umanità e devo dire che, come antropologa dei tempi che furono, sono assolutamente attratta da questo approccio. Certo l’ambizione di voler ricomprendere in topos specifici ogni sfumatura è gagliarda. Sarà davvero possibile?

  • francogabottiliberoitfranco gabotti

    Ciao Elena, un buco nero non è brutto in quanto stigmato con l’aggettivo nero, ma un affascinante fenomeno naturale. Hai evocato l’eroe e i gesti di esistenza degli eroi di Càscara azzeccando altri gesti di eroi nostrani (miei). Provando a confrontarli ne ho citato uno di matrice concettuale: un artista che si accampa sui teatri di conflitti bellici in atto, sotto la furia dei bombardamenti, proprio come fanno i reporter di guerra. L’artista dorme e sogna nello schifo delle armi e sulle tracce dei massacri, si consegna al brutale per restituire essenza di pensiero filtrata dal suo corpo. Rende coglibile qualche cosa che possa trovare una consapevolezza. Il mio artista è un misto tra la Gina Pane degli anni ’70/’80 e il contemporaneo Richard Long.

    • Elena

      Caro Franco, mi tiri dentro un territorio che non è il mio, l’espressione artistica. Non conoscendo né Gina Pane né Richard Long (non me ne vorrai, vero?) sono andata a spulciare in rete di che si trattasse. La prima, pur rivolgendosi a un pubblico di donne, ha richiamato più nitidamente alla mente l’installazione immaginifica che hai descritto nel commento. L’uso del corpo come denuncia, come strumento d’arte esso stesso. Nel suo caso per denunciare il patriarcato e la sottomissione della donna a schemi preconcetti, nel tuo per denunciare la guerra. Il buco nero è forse legato al dramma della violenza della guerra? Perché finirci dentro non fa paura?

  • Giulia Lu Mancini

    Il viaggio dell’eroe è fondamentale in ogni storia, prendo nota del titolo, magari prossimamente accolgo il tuo suggerimento di lettura. Riguardo alla mia personale idea dell’eroe credo che l’eroe alberghi in ciascuni di noi, perlomeno in coloro che tentano di andare avanti ogni giorno affrontando la vita quotidiana o i propri demoni. Per esempio nelle mie storie i personaggi anelano alla felicità oppure alla semplice serenità di una vita normale e invece spesso si ritrovano ad affrontare ostacoli di vario genere, talvolta insormontabili. Superare questi ostacoli è un pezzetto di viaggio…

    • Elena

      Una delle cose più interessanti di questo testo, poi enfatizzata da Vogler, è proprio il viaggio del personaggio, un viaggio che più spesso è metaforico, come quello accennato per i tuoi personaggi. Superare gli ostacoli è il compito del personaggio, che decide di mettere in gioco se stesso per risolvere un enigma, spesso interiore. Nei romanzi psicologici questo enigma è fondamentale per l’intreccio e la trama, e anche nei noir o thriller (che conosci bene). Ogni assassino ha un compito all’incontrario, ovvero costruire ostacoli all’eroe. Ma questo è un altro ruolo, quello dell’antagonista. Anche il ruolo dell’atìntagonista può essere svolto da una persona o da un lato del nostro carattere. Quello che mi ha interessato di più del lavoro di Campbell è la parte che risuona verso la nostra crescita personale. Anche noi siamo eroine di noi stesse. Vale la pena ricordarcelo, quando siamo troppo stanche per riconoscercelo oppure quando sottovalutiamo i nostri talenti e il modo in cui li mettiamo in campo. A me leggere questa prima parte è servito soprattutto per capire che tenere il proprio obiettivo bene in mente ti permette di realizzarlo. Ma c’è tanto altro. Di sicuro ci tornerò inq ualche altro articolo, eprché il lavoro di Campbell è davvero denso, faresti una cosa ben fatta nel prenderti del tempo per leggerlo. Saluti

  • franco gabotti

    Bon, hai scritto, citato ed evocato un buco nero che inghiotte tutti i miei eroi, proprio quelli che mi fanno compagnia da quando ho incominciato a narrare di loro. Don Chisciotte al contrario, sabotatori di ogni arma o ordigno possibile, di ogni pensiero bellico. Uno in particolare, artista di land e body art che, proprio come un inviato di guerra, si offre alle bombe e agli sgozzatori per occupare con il suo dormire, il suo sognare, gli spazi che testimoniano ancora caldi degli squassi della guerra.

  • newwhitebear

    Ottimo articolo e ottimo suggerimento per l’acquisto.Ci sarebbe anche un terzo libro per completare il cerchio Story di Robert McKee. Ma torniamo all’articolo
    Si parla di eroi ovvero di chi risolve un problema. La storia dell’umanità come hai sottolineato ne è piena di miti di chi compie azioni che per salvare il mondo. In realtà gli eroi, come scrisse Brecht, muoino sacrificando se stessi pur di salvare gli altri.
    Ovviamente nei nostri romanzi racconti i nostri personaggi non muoiono ma vivono. Si battono come quei personaggi della mitologia greca che compiono azioni uccidendo i nemici e salvando persone e paesi. Sono veri eroi oppure persone come noi che si battano per la giustizia e l’equità sociale?

    • Elena

      Caro Gian, in realtà la tesi di Campbell è proprio quella che hai riportato citando Brecht (grandissimo drammaturgo). Poi si può discutere se la morte debba essere fisica o piuttosto legate alla morte di quella parte di noi che non serve più e che può e deve essere abbandonata per poter crescere. In questo senso sono morta tante volte, anche quando, come dici alla fine, mi batto per la giustizia. Nulla resta tale e oggi sono portata a dire per fortuna! Da questo punto di vista ognuno di noi porta dentro di sé un’eroina. Occorre solo scoprirla. Non credi?

  • Grazia Gironella

    Bellissimo articolo, Elena, che mi ha subito tentata all’acquisto del libro (ho letto soltanto Il viaggio dell’eroe di Vogler). Mi viene in mente che nella cultura celtica esiste il ruolo del capovillaggio che alla fine dell’anno si sacrifica/viene sacrificato perché il nuovo anno sia prospero. Noi cerchiamo di fare la nostra parte.

    • Elena

      Buon giorno Grazia, ben ritrovata. Interessante quanto agghiacciante il riferimento al sacrificio del capo villaggio per la prosperità dell’anno, mi viene subito da chiedere quante generazioni possa durare un rito del genere, che in tutta evidenza consuma la comunità piuttosto che renderla prospera! . Il libro è molto prezioso, soprattutto nella parte iniziale. La seconda entra molto nello specifico dei miti. Più pesante ma altrettanto interessante. Anche per la crescita personale. Fammi sapere…

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