La nuova via del femminile
Femminile, plurale

Una nuova via per il femminile

 

La settimana del dopo Sanremo porta con sé la solita scia di polemiche e opinioni.

Il Festival è un evento che deve vendere (musica, pubblicità, professionisti) e per “vendere” occorre far parlare di sé, nel bene e nel male.

La gara passa in secondo piano

Inteso anche come secondo, terzo, quarto palinsesto orario della serata 😀 .

La barca del Festival vira secca verso la componente estetica, la serata da villagio vacanze, la ricerca spasmodica della contraddizione, del gesto clamoroso, dell’abito shock, della polemica e perché no, del gossip.

Classe ed eleganza a mio avviso non pervenute. Ma ci sta. È il Festival!

La musica passa in secondo piano

Lo dimostrano i ricchi cachet degli ospiti e degli artisti famosi (che qualcuno ha pensato di donare in beneficienza, bene) e il confronto con le paghe (vergognose) di alcuni musicisti, che a fronte di un investimento di 15 milioni di euro e, pare, il triplo dell’incasso, sono pagati al minimo, poco più di 50 euro al giorno.

Loro che il Festival lo reggono e anche più a lungo del solito, come è accaduto quest’anno.

Anni e anni a studiare musica, suonare il proprio strumento favorito, da soli o ensemble, a imparare a tenere la postura in equilibrio, ad allenare gli arti, il fiato, gli occhi, la voce.

Quando parleremo delle disuguaglianze in questo paese?

Quando la smetteremo di occultare il senso delle orrende frasi di Amadeus a proposito del ruolo delle sue colleghe donne (capaci di stare al loro posto) accontentandoci di monologhi/toppe (alcuni molto ben riusciti) e di un femminile che sul palco è sempre lo stesso: di contorno?

Urla ciò che non vediamo: le fragilità, i difetti, la complessità delle scene e la grande professionalità di tutti coloro che intorno al Festival hanno lavorato, giornalisti compresi.

Donne, uomini e…

 

Una nuova via per il femminile

Un tempo ne ero convinta: esiste una via femminile al potere, inteso come capacità di influire sul mondo che  ci circonda.

Sostengo da tempo con convinzione che la forza non sia solo una caratteristica maschile, lo dimostrano persino i Tarocchi, mai sufficientementi indagati, ma qualcosa che ci appartiene, nel profondo.

Ho sempre declinato la ricerca di questa via femminile al potere attraverso il gioco dei ruoli nel mondo del lavoro, mischiandolo con le modalità che conosco e che ancora apprendo, ogni giorno.

Per me ha sempre significato non solo ribellione al modello maschile di leggere il mondo, ma precisa responsabilità: agire la propria femminilità, ovvero portare la propria diversità nel mondo del lavoro.

Significa essere non “come tu mi vuoi” ma come “io desidero essere”.

Una libertà più facile da affermare che da conquistare.

Giocavo in un unico campo, quello delle donne.

La rivoluzione in corso di cui non ci rendiamo conto

Non mi accorgevo che intanto, nelle generazioni che hanno seguito la mia, le cose stavano cambiando.

Le ragazze e i ragazzi stavano sperimentando nuove forme di scambi di affettività e identità, più liberi e fuori dagli schemi in cui io ero cresciuta.

Una trasversalità delle emozioni espressa in una disinibita affermazione delle esigenze in ambito relazionale, non affiancata ahimé da una altrettanata forza comunicativa di affermazione di propri bisogni sociali in ambito politico.

Una sfera privata che si riappropria del suo spazio e lo conserva, gelosamente.

Un contributo alla socializzazione/in-gender-azione in una società che ha polarizzato per secoli la rappresentanza della nostra sessualità in femminile e maschile.

La rivoluzione in corso di cui non ci rendiamo conto è proprio questa: l’apertura a una “diffrazione delle identificazioni possibili ” (Franca Balsamo) un intersecarsi di esperienze, un sincretismo tra generi che inevitabilmente produrrà il nuovo.

C’è dunque già una nuova via al femminile intorno a noi, è lì e dovremmo ri-conoscerla, avendola vista da sempre.

Achille Lauro ha avuto il merito di esplicitarla, di renderla visibile a tutta una generazione che con questi processi non ha alcuna o scarsa familiarità.

Chiedendo a chi oggi decide e governa di rivedere i suoi stereotipi e le sue scelte, di rivedere le priorità e gli orientamenti, di rivedere la propria cultura arcaica per accettare il fatto incontrovertibile che sulla via del femminile ci sono anche degli uomini.

Le fate sono tornate

Le abbiamo viste sul palco!

Non sono più soltanto le creature eteree delle favole, né esseri androgeni indifferenziati, capaci appena di sfiorarci.

Sono creature, donne e uomini che, agendo con la forza dell’immaginazione e del simbolismo, che trasmette più di mille parole, stravolgono l’esistente.

E ci permettono di sognare il nostro “Viaggio dell’eroe o dell’eroina” nella trasversalità dei generi, delle esperienze, dell’affettività e delle emozioni.

Infine, indicano la strada per il superamento delle griglie di genere.

Lungi dall’essere icone, ci accontenteremmo di essere umanità.

Umanità in cammino.

Il linguaggio simbolico di Achille Lauro che mescola i colori dell’arcobaleno

 

Ne hanno parlato in molti dopo la prima serata, poi gradualmente, mentre le pesanti e persino imbarazzanti gag tra Amadeus e Fiorello allungavano il brodo di sera in sera, è diventato l’argomento clou del Festival.

Scambiato inizialmente per un esibizionista, quando si sfila il prezioso mantello a mò di santo (o di dama) e mostra la sua tutina dorata nude look, così palesemente David Bowie tanto da apparire ovviamente una citazione e non una imitazione, fino al travestimento da musa ispiratrice di D’Annunzio (e di altri notevoli poeti e artisti) fischiato da un pubblico che di provocazioni colte non ne può più e si ribella.

Già, perché dietro a ogni gesto di Lauro c’è un significato simbolico, più o meno esplicito ma consapevole e in linea con il carattere di un artista che ama stupire più con i messaggi che con la sua musica, ammettiamolo. Ma fa riflettere.

Una nuova forma di ribellione, un preciso modo di vedere il mondo con i colori dell’arcobaleno mescolati, l’uno nell’altro.

Un mondo in cui un uomo può essere stato bambina.

 

Achille Lauro: Sono stato anche io bambina

“Sono stato anche io bambina.

“Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi.

Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri.

Sono cresciuto con ‘sto schifo.

L’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto.

Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto.

Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza.

Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina.

Tutto qui? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore.

Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo?

Io rispondo: “_Sono diventato una signorina_”

E torna in mente Hegel

 

E ritorna alla memoria il principio della dialettica dello Hegel che, semplificando molto, si articola in tre momenti:

  • momento astratto o intellettuale (tesi – un genere)
  • momento dialettico o negativo – razionale (antitesi -il genere opposto)
  • momento speculativo o positivo – razionale (sintesi – una nuova identità).

Lo so, è una forzatura e mi perdonerete.

Ma non trovate anche voi nel terzo momento uno spazio, gigantesco, per immaginare di costruire una nuova società, libera e consapevole?

Nella contrapposizione è insita la maturazione di un nuovo progetto identitario, che superi il conflitto, definendo un equilibrio, sì, ma dinamico.

Quanta paura l’estabilishment per l’equilibrio dinamico!

La dialettica è un divenire continuo, l’unica speranza di evitare la dissoluzione di tutto ciò che è differenziato o il precipizio nella vacuità.

 

Diventare la forma cava

 

Considerare i generi come categorie a sé ci conduce verso questo ostacolo.

Leggo nello sforzo di Achille Lauro il tentativo di scavalcare l’ostacolo del non-io, per prendere forma e diventare sostanza, non vacuità.

Diventare identità, non apparenza, diventare forma cava, capace di accogliere un nuovo e più ricco contenuto.

I colori sono questa forma.

I gesti sono quella forma. 

Le scelte sono questa forma.

Come quella, potentissima, di stare un passo indietro alla collega Annalisa.

L’avrà capito, il caro Ama?

 

6 Comments

  • Barbara

    Non ho seguito Sanremo. Avendo il tempo libero contato devo proprio selezionare e Sanremo già mi piace poco, musicalmente parlando. Di Achille Lauro sapevo che era una nave affondata, per dire.
    Ma confermo la deriva maschilista, non solo televisiva. Ho conosciuto da poco una stimata professionista che si dice orgogliosa di essere stata accettata dal “branco” dei suoi colleghi, perché la considerano un maschio. Io trovo aberrante tutto ciò. Dovremmo essere noi donne per prime a capire che la professionalità e le capacità non dipendono dal genere, semmai dal carattere. Io non sarò accettata dal branco, ma sai che c’è? Che in questi termini proprio non ci tengo.

    • Elena

      Essere accettata da un “branco” significa essere disponibile a fare la preda. Non per me, non per noi! Anche io rimango basita quando sento questi commenti, un po’ mi dispiace perché a volte sono proprio le donne a marciare in direzione contraria. E io che sono felice quando mi dicono che, nonostante il mio lavoro, conservo intatta la mia parte femminile… Baci

  • Brunilde

    Non mi sono mai interessata a Sanremo, ma quest’anno ho seguito ( per forza ) le varie polemiche.
    Per principio, uno spettacolo che
    1) ripropone le vallette benvestite intorno al presentatore
    2) assolda ragazze meritevoli in quanto giovani bellissime e/o con fidanzato famoso
    3) fa del trash il proprio biglietto da visita ( riesumati di Albano e Romina, i Ricchi e Poveri, la sovranista svizzera Rita Pavone…)
    4) sdogana rapper che hanno inneggiato a violenza e sopraffazione di genere nei propri lavori precedenti
    non merita il mio tempo .
    Sono molto irritata che tutto ciò sia pagato con i miei soldi di contribuente e venga passato per servizio pubblico.
    Anche se sembra sia esattamente questo che il pubblico voglia.
    Tutto quadra!

    • Elena

      Ciao Brunilde, ma sai che la tua scaletta di negatività è molto divertente?
      Hai proprio ragione: che bisogno c’è di riesumare vecchie glorie che non hanno niente di nuovo da dire, anzi. Rita Pavone, i Ricchi e Poveri, Albano e Romina… Mi chiedo se ce ne fosse proprio bisogno… Gli ascolti dicono di sì così il prossimo anno aridaJe con il polpettone melò. E se il nuovo sono i rapper, allora pposso dire che hanno già stufato, e con loro i loro contenuti violenti e sbagliati?
      Secondo me SanRemo rappresenta il vecchio che non vuole morire. Tranne il ragazzo che ho citato nel post e poco altro. Un passo indietro…Continuo a pensare che fosse fortissimo!
      Buona domenica cara

  • Sandra

    Sanremo, che ho seguito poco non per snobismo ma quest’anno l’ho trovato noioso, può essee un buon pretesto per affermare concetti importanti. Per decenni le donne per farsi avanti hanno preso a modello il peggio degli uomini, non per niente venivano definite “donne con le palle”, io credo in una diversità d genere e non nello scimmiottarsi. Mio marito stira e io vado a buttare la spazzatura, tanto per fare un esempio. Tuttavia credo nelle attitudini, laddove non sono ghetti. Mi piace credere che ci si possa completare sempre con rispetto, ma per la parità siamo ancora lontane. Del resto finchè a Sanremo presenta un uomo con diecimila vallette intercambiabili prevalentemente parenti di, allora partiamo davvero male.

    • Elena

      Voglio anche io un mairot che stiri!!!! Cara Sandra, non tutte le coppie sono come voi, e lo sai bene. Sono anche io stanca dello stereotipo “uomo al comando del Festival”, magari coadiuvatio da una serie di (belle) fanciulle (indietro di un passo). Insomma, il polpettone italiano è questa roba qui, non ce ne liberiamo. Ma tra tante polemiche (la più dolorosa per me quella tra Morgan e Bugo, adoro Morgan) di certo un messaggio è passato. O forse anche più di uno. Io ho colto quello, c’è sempre qualcosa da “leggere” tra le righe di una kermesse di questa importanza… Buona serata cara

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