Quando parlo di scrittura su questo blog non ho mai la pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno. Mi piace confrontarmi su ciò che via via imparo sulla mia pelle visto che, fortunatamente e nonostante tutto, continuo a scrivere, divertendomi!
Oggi voglio parlarvi di tre ovvietà sulla scrittura su cui ho sbattuto il naso provando a dribblarle.
Pensavo che le avrei spazzate via tutte, quando ho cominciato a scrivere, ma non è così. E oggi sono giunta alla conclusione che le cose ovvie, spesso, sono maledettamente vere.
Tre ovvietà sulla scrittura che si rivelano sempre maledettamente vere
Come esordiente pensavo che certi consigli e riflessioni sulla scrittura non mi riguardassero.
Grazie al mio talento e alla mia originalità (beata ingenuità) non mi avrebbero riguardata se non un pochino, giusto in fase di partenza, perché ero certa che io, con la mia straordinaria capacità scrittoria, le avrei, come dire, superate, sconfitte.
Un vero e proprio peccato di superbia il mio, caduto com’è ovvio al primo giro di boa, come si suol dire nel gergo di noi naviganti.
Un peccato che ha lasciato tracce indelebili e persino qualche segno sulla pelle che somiglia a una cicatrice fatta di qualche nuova consapevolezza.
Di cosa penso, superati i cinquant’anni, a proposito della mia scrittura vi racconterò forse un giorno. Per ora mi limito ad auto denunciare una mia convinzione che si è rivelata molto distante dalla realtà.
Le ovvietà nella scrittura, ammesso che ve ne siano molte, sono quasi sempre maledettamente vere e non mi resta che prenderne atto.
Ve ne racconto tre, che sono poi consigli in cui vi imbatterete in ogni blog serio dedicato alla scrittura. Solo che qui ci prendiamo un po’ in giro e ci diamo qualche suggerimento per non cadere nella trappola del super io scrittorio.
Forse le troverete ovvie o forse no. Comunque sia, buona riflessione e buona lettura, care Volpi!
Alert: ristrutturate le errate convinzioni quando scrivete, prima possibile
Abbiamo convinzioni errate che ci accompagnano per lungo tempo quando scriviamo. Di solito ce ne accorgiamo con l’esperienza, perché sebbene molti siano passati in queste forche caudine prima di noi, fino a quando non ci bruciamo noi stesse le ali, come accade in molti altri ambiti, non impariamo.
Quando scriviamo occorre tenere sempre con noi l’altra scrittrice, quella che fate tacere quando vi fa comodo o che chiamate in causa quando siete in vena di critiche.
L’altra noi che ci guarda scrivere da dentro e che subodora le cose ma non vuole o non può dircele.
E’ lei che può aiutarvi a tenere d’occhio gli entusiasmi o a ristrutturare certe errate convinzioni su voi stesse che limitano la vostra scrittura.
L’ho interrogata e aveva veramente un sacco di cose da dire.
Per ora vi lascio le tre ovvie verità sulla scrittura su cui, pur resistendo, alla fine ho dovuto cedere. Lei ha vinto, non avevo alcun dubbio.
Primo ovvietà sulla scrittura: scrivete la prima bozza in un arco di tempo di massimo tre mesi.
Per chi non scrive di professione, questa ovvietà sembra più che altro una gabbia. Per quale ragione dovremmo concentrare ogni sforzo nei primi tre mesi, quando per far nascere un’idea e metterle addosso l’abito più adeguato ci mettiamo più tempo?
Quando per farci venire un’idea dobbiamo viaggiare, visitare, conoscere, sperimentare e che queste attività forse non finiscono mai?
Perché scrivere tutto in un tempo limitato è l’unico modo per mantenere intatta la coerenza del testo e dello stile.
Quando passa troppo tempo tra una fase di scrittura e l’altra, potreste perdere di vista la trama, l’intreccio. Persino la voce dei vostri personaggi potrebbe cambiare.
Nel caso di un manuale di divulgazione come quello che sto scrivendo, si aggiunge il rischio di sovrapporre concetti o ometterne degli altri che si immagina,a torto, che siano già stati espressi.
La memoria gioca brutti scherzi e non si può trattenere per lunghi periodi. Così se pensate di avere tutto il tempo per scrivere la vostra prima stesura, ebbene correte il rischio di ritrovarvi con tanti pezzi di storia che fanno fatica a stare insieme in coerenza.
Avete presente quelle vecchie coperte di lana fatte con gli avanzi della nonna?
Sono tutte collegate da una trama che ne abbina forma e colori. Ma cucirle insieme tutte senza aver programmato la disposizione dei colori e la forma rischia di generare un disastro e se passa troppo tempo vi sarete dimenticate di come quel particolare colore doveva essere abbinato e così via.
Perché tre mesi?
Non perché è il numero perfetto ma perché noi abbiamo una curva dell’oblio che ci fa dimenticare il 50% delle informazioni percepite nell’ambito delle prime ore dall’apprendimento.
Nel caso di una stesura, significa che sin dai primi momenti del concepimento dell’idea tendiamo a dimenticare.
Dunque occorre scrivere e scrivere di getto, piuttosto in modo impreciso ma istantaneo per non perdere o dimenticare nessuna folgorante idea per la vostra trama o il vostro personaggio.
E se non ci riesco?
Se chiudersi in casa per scrivere di getto tutto ciò che dovrà essere, sebbene in bozza, non è possibile, allora possono aiutarvi alcuni stratagemmi:
- costruite una scaletta con gli avvenimenti/contenuti che avete immaginato di declinare lungo tutto l’arco del libro, con date e riferimenti geografici il più possibile precisi
- fate una piccola scheda dei personaggi, cui potreste aggiungere foto indicativa del loro aspetto fisico, nome (quante volte ho cambiato il nome in corso di stesura dei personaggi!) e rapporti di parentela o relazioni con gli altri personaggi. Trovo molto utile segnarmi anche le caratteristiche, non tanto fisiche, quanto personologiche. Il nostro personaggio è ansioso? Come si comporta una persona ansiosa nei dialoghi e nelle azioni quotidiane?
- indicare gli obiettivi del vostro romanzo/manuale. Quale funzione deve svolgere? Quali emozioni suscitare?
Seconda ovvietà: tra la prima e la seconda stesura non fate passare troppo tempo (ma nemmeno troppo poco)
Questo consiglio attiene alla revisione del testo e alla necessità di amplificare la nostra capacità di osservazione.
Osservare non solo ciò che funziona ma, soprattutto, ciò che non funziona. Per farlo bisogna prendere le distanze dal testo.
Se fate passare troppo tempo tra una stesura (più o meno completata) e la seconda, il rischio è non riconoscere più il mood obiettivo della scrittura, col rischio di non riuscire più a tuffarsi dentro la storia, sentendosi estranei.
Se ne fate passare troppo poco, potreste essere ancora immersi in quella dimensione mistica che è la prima stesura, in cui tutto appare giusto, meraviglioso, e in cui siamo ancora convinti che andrà tutto bene.
Senza distacco non c’è possibilità di giudizio obiettivo. E la prima stesura ha sempre bisogno di un giudizio molto, molto obiettivo.
E se non ci riesco?
Se temete di non essere pronti per guardare con un certo distacco il vostro lavoro, allora potete sempre affidarvi a un beta reader (volete saperne di più su ruolo e funzioni di un beta reader? Leggete qui)
Terza ovvietà: esercitate il potere del dubbio sul vostro lavoro
Ah che gioia gli scrittori pieni di certezze! Quelli che non pensano mai a cambiare qualcosa del loro romanzo e che tirano dritto per la loro strada, senza tentennamenti!
Lord Byron diceva : “Non nego nulla, ma dubito di tutto.”
Ebbene, non negatevi alcuna strada, nemmeno la più impervia o sconosciuta. La sperimentazione nei settori creativi è linfa vitale, la scrittura non fa differenza.
Tuttavia dovreste dubitare di tutto ciò che scrivete, in special modo di ciò che vi pare perfetto o quasi, che vi suona bene o che vi sembra funzioni.
Nella perfezione si annida il diavolo (così come nei dettagli, ovvio).
In buona sostanza, non innamoratevi delle vostre intuizioni prima di averle girate e rigirate in tutti i modi possibili e immaginabili e aver acclarato che sì, è davvero la soluzione che fa per voi.
Come fare per capire se siete sulla buona strada?
Quando rileggendo non siamo più sicure dell’utilità del testo. Solo allora possiamo cominciare a lavorarci.
E se non ci riesco?
Imparate a dialogare con l’incertezza!
Le mie ovvietà sono finite qui, spero siano state utili a farvi riflettere sulla difficile arte della scrittura.
Quale di queste ovvietà avete impiegato più tempo a digerire?
Volete segnalarne altre?
7 Comments
newwhitebear
Tendenzialmente scrivo in poco tempo, diciamo meno di tre mesi. Se qualcosa si blocca, quando la riprendo riparto dall’inizio come se avessi cominciato in quel momento.
La rilettura? C’è sempre, anzi più di una volta a distanza i tempo tra loro.
Il dubbio? C’è sempre
O.T. credo che subbio sia un refuso perché la D è accanto alla S.
Elena
Grazie per la segnalazione del refuso, Gian! Corretto! Allora sono tre ovvietà in cui credi fermamente…. anzi, le pratichi e con soddisfazione. Quando racconti di quando, nei tre mesi massimo in cui scrivi la prima bozza, ti fermi e poi devi riprendere tutto da capo mi hai fatto ricordare di una volta in cui riprendendo un manoscritto iniziato e fermo da sei mesi abbia cambiato proprio la mappa della storia, finanche la storia stessa. Forse non andava bene e ho avuto ragione a cambiarla, ma mi resta il dubbio che, se avessi proseguito, l’avrei raccontata e ne sarebbe valsa la pena. E’ che quando scrivo lo faccio sull’onda di un’emozione. Come si fa a conservarla così a lungo? Ovvio, non si può, risponderebbe la blogger che ha scritto questo articolo 😉
Tu che risponderesti?
Giulia Lu Mancini
Cara Elena, concordo in linea teorica sui tre mesi, é utile per essere immersi davvero nella storia che si sta scrivendo. Mi è capitato di farlo per il mio primo romanzo, avevo un idea e ho cercato di svilupparla nel più breve tempo possibile. Allora però avevo più tempo. Ora invece non avrei più né il tempo, né la determinazione per farlo. Pensa che ho quasi terminato il mio ultimo romanzo e ci ho messo oltre un anno, periodi di scrittura inframezzati da periodi di inattività, ma non avrei potuto fare diversamente. Però fornisci degli ottimi suggerimenti da seguire che in parte ho già messo in atto, la rilettura distanziata ed esercitare il dubbio (arte in cui sono maestra).
Grazia Gironella
Sono d’accordo su tutti e tre i punti. E’ difficile riprendere in mano un lavoro che si è raffreddato troppo. Ci si riesce, rileggendo testo e appunti, ma diventa quasi un doppio lavoro, con il dubbio che il risultato non sia buono come si sperava. Quindi sì, cavalcare con impeto, se si può. 😉
Elena
E allora, a cavallo!
Marina
Senza dubbio la prima è l’ovvietà che più lamento nel mio percorso scrittorio: ho tante trame lasciate morire nel tempo perché non approfondite in quei mesi in cui l’idea e la sua realizzazione meritavano costanza. Hai detto una cosa giusta: tutto perde consistenza, le cose si dimenticano, riallacciare il filo del discorso è più difficile, se non impossibile. e poi finisce che non si ha voglia di riprendere in mano il lavoro per ricostruire tutto l’iter daccapo. E poi, non parliamo di dubbi, qui sono a posto: tutto ciò che scrivo è continua fonte di incertezza.
Elena
Anch’io ho tre storie abbozzate, mi rendo conto che datano ormai un anno esatto. Le riprenderò mai? Dubito (così unisco la prima e ultima ovvietà). Un peccato, perché le cose stanno come dici: le storie hanno senso in un dato momento. Se ascolto le emozioni di oggi, molto diverse da quelle di un anno fa, non potrei nemmeno metterci le mani Ma so di autori che hanno ripreso il proprio lavoro dopo anni e l’hanno portato a termine. Per me che non devo pubblicare a tutti i costi e che campo di altro, una sorta di speranza di non aver buttato via il tempo. E poi la scrittura serve nel momento in cui la esprimi. E su questo, per fortuna, non ho alcun dubbio. Un abbraccio Marina