Sto abbozzando un’altra storia. E’ la terza idea che progetto e se avessi tempo di scrivere per almeno qualche ora al giorno giuro che le porterei a termine tutte.
Non posso anticiparvi nulla com’è ovvio, ma desidero condividere con voi qualcosa che mi è accaduto e che ha dato origine a questo post.
Dopo aver cominciato a mettere su carta le prime idee, ho pensato a ciò che mi aveva dato il tormento durante la più recente esperienza di scrittura, quella che mi ha portato a pubblicare il mio ultimo romanzo: la scelta della prospettiva da cui raccontare la storia.
Così ho ripercorso le fasi di abbozzo, correzione e rilancio di quel testo per scrivere un post che racconti i modi che conosco per cambiare la prospettiva in un romanzo.
Un compito non facile, ne sono consapevole, ma necessario. Avere le idee chiare su questo punto prima di cominciare a scrivere aiuta a progettare una storia solida e credibile.
Indice degli argomenti
- Il punto di vista
- La scelta del narratore
- Usare la dimensione spazio tempo: flash Back, dialoghi e…
- La pillola di Giulio Mozzi
Cambiare la prospettiva in un romanzo
Propongo di cominciare con l’approfondire il concetto di prospettiva e come questa si differenzi dal punto di vista, per poi passare ad esaminare quali strumenti abbiamo a disposizione per cambiare il modo in cui osserviamo e raccontiamo la nostra storia.
Il punto di vista è il punto di osservazione del narratore dal quale viene raccontata una storia. Può rivelarsi molto utile per cambiare la prospettiva in un romanzo.
Per punto di vista intendiamo la posizione da cui si svolgono l’azione e gli eventi della storia e di solito si parla di narratore in prima, seconda, terza persona, con la distinzione tra narratore focalizzato (o limitato) e onnisciente.
La prospettiva è l’atteggiamento, ovvero il sistema di credenze composto da convinzioni, abitudini, frequentazioni, valori proprio del narratore circa l’evento, la persona o il luogo che sono oggetto della narrazione. Di solito è generata in base alle esperienze personali.
Il punto di vista è una scelta oggettiva verificabile (e criticabile). Se usata male, ovvero se nello stesso racconto vengono utilizzati diversi punti di vista al di fuori di una legittima scelta stilistica, allora il rischio è la confusione e il disorientamento del lettore.
La prospettiva invece appartiene alla sfera soggettiva dello scrittore, il quale attribuisce al narratore ciò che vede o che crede di vedere in base alla sua personale e indiscutibile esperienza.
Ho sottolineato più volte come ogni cosa che scriviamo, ogni personaggio che disegniamo, parla di noi e del nostro vissuto.
Vale anche per il punto di vista e la prospettiva.
Naturalmente non c’è niente di male in questa partenogenesi. Il pericolo, per la nostra scrittura ma anche per noi, è quando non ne siamo consapevoli.
Perché mi occupo di prospettiva?
Perché, proprio per questa sua caratteristica soggettiva, la prospettiva rappresenta una delle ancore emotive più efficaci che possiamo introdurre nella narrazione.
Suscitare emozioni è l’obiettivo dello scrittore, alla prese non con il chi, ma con il come la storia evolve. Un come che stabilisce in modo completamente originale lui stesso, il narratore, lo story teller. Noi scrittori.
Cambiare la prospettiva attraverso il punto di vista
Il modo più semplice per cambiare la prospettiva in un romanzo è la scelta del narratore. Sono certa che conosciate già il tema, perciò mi limito a portare la mia esperienza di scrittrice, voi potrete aggiungere la vostra, se vi va.
La scelta del punto di vista nella narrazione è importantissima. Se ci accorgiamo di questa verità solo dopo aver scritto molto, come è capitato a me, ritrovare una coerenza interna al testo rappresenta una sfida complessa, anche se non impossibile.
Dal punto di vista multifocale alla terza persona è stato un lavoro complesso ma davvero interessante.
Ho descritto quanto accaduto a me in proposito in questo post, un’esperienza che mi ha messa alla prova quando ho deciso di trasformare il testo di quella che credevo la semi-ultima stesura del mio romanzo dalla prima alla terza persona narrante.
Ero spaventata da quell’impresa, suggerita da una editor, ma mi ci sono buttata con entusiasmo. Solo al termine di un lavoro lungo e faticoso mi sono resa conto che il romanzo aveva cambiato completamente marcia.
Càscara era diventato credibile, diretto, coinvolgente e io avevo imparato una grande lezione: non sempre l’uso della prima persona è utile a coinvolgere il lettore come se fosse in presa diretta.
Imparare a cambiare la prospettiva di un romanzo attraverso il punto di vista, ci aiuta a trasformare un testo che non scorre, che non sentiamo tra le mani, in un testo fluido, convincente. Autentico.
Se notiamo questa mancanza di fluidità del testo e autenticità della storia, anche se abbiamo già scritto un’intera storia, conviene fermarsi e provare a considerare l’ipotesi di cambiare il punto di vista, come ho fatto io.
Il ruolo del narratore
Cominciamo da un classico molto usato nei romanzi del sei/settecento, il narratore in terza persona: è un tipo di narrazione in cui chi scrive racconta una storia dal punto di vista di chi ne conosce profondamente e dettagliatamente i minimi particolari.
Il narratore onnisciente sa cosa è avvenuto prima, durante e dopo un avvenimento. Conosce l’inizio e la fine della storia e cosa accade alla serie di personaggi che vivono a financo del protagonista, senza che ne sia consapevole. Il narratore onnisciente sa anche cosa è accaduto prima che la storia stessa cominciasse.
Può mostrarne i difetti e darci qualche indizio su come sono nati, sa perché il protagonista si comporta in un determinato modo, che tra poco si romperà un piede mentre noi siamo rapiti dalle sue acrobazie. Gioca con noi lasciando nell’intreccio tracce impercettibili di ciò che accadrà di lì a poco. Si diverte a guidarci, impercettibilmente, o a farci “ballare”, come il gatto con il topo.
Questo tipo di narratore prende il nome di onnisciente proprio perché della storia, dei personaggi e forse persino del lettore pretende di sapere tutto.
Fate questa scelta soltanto se siete consapevoli delle conseguenze.
Vi è un altro modo di narrare le vicende dei protagonisti in terza persona senza sapere tutto di tutto. Si chiama narratore limitato, ovvero focalizzato su uno dei personaggi, di cui si conoscono sì tutte le vicende, ma il punto di vista così ristretto ci permette di essere sorpresi insieme al personaggio circa ciò che pensano e fanno gli altri.
Il personaggio da cui si racconta la storia non conosce le intenzioni, le motivazioni e nemmeno le storie; le scopre attraverso la sua evoluzione. Nel bene e nel male, siamo in un mondo generato da altri che qualcuno conosce bene, ma non il protagonista.
Il narratore limitato stabilisce un legame più intimo con il lettore. E’ in grado di calarci nei panni del personaggio rendendolo prossimo, contattabile.
Tuttavia, non conoscendo il resto della storia il lettore è lasciato in sospeso, permettendogli di scoprire a poco a poco la realtà narrativa.
Manzoni ha scritto I promessi sposi con la tecnica del narratore onnisciente, Omero l’ha usata per una parte importante della sua Odissea, per poi affidare direttamente a Odisseo, con un lungo flash back, il racconto della sua avventura poco prima del suo epilogo.
George Orwell con 1984 ha usato un narratore interno che ha assunto il punto di vista del protagonista, Winston Smith, usando il discorso indiretto libero. Non è onnisciente, ma esterno alla vicenda poiché non partecipa attivamente al romanzo, pur vestendo i panni di Winston.
La focalizzazione è interna, i fatti vengono osservati e giudicati dall’interno dell’ambiente rappresentato. E noi siamo lì, con il protagonista e le sue sfide, la sua trasformazione da ribelle a cittadino completamente normalizzato.
Cosa sarebbe accaduto se fosse stato scelto un punto di vista differente? Cosa sarebbe accaduto al lettore?
Ora introduciamo una terza opzione: la narrazione in prima persona. In verità, ce ne sarebbe una quarta, la seconda persona. Ma sarei in grado di parlarne solo come ipotesi di scuola, non avendola mai utilizzata, perciò scelgo di citarla soltanto senza trattarla.
Un tipico esempio di focalizzazione interna in prima persona è l’opera magistrale di Umberto Eco, Il nome della rosa, libro che adoro e che ho letto almeno cinque volte.
Adso, sul letto di morte, narra gli eventi accaduti a lui e al suo mentore, Guglielmo da Baskerville, in una abbazia benedettina di cui non si conosce il nome.
Non è il solo a timonare il racconto. Adso infatti è supportato in questo compito dal punto di vista del suo mentore, che aggiorna e amplia la conoscenza delle cose. Una grandiosa trovata narrativa per affrontare una storia filologicamente, filosoficamente, storicamente molto complessa. Grande, Eco!
Che bella la scena dell’emancipazione di Adso come uomo. Siamo lì, a terra, con la giovane che ha lo irretito. Sentiamo i suoi sentimenti quasi primitivi mentre si abbandona ignaro al piacere, guastando appieno quell’esperienza, quasi animale, che lo riguarda.
Avrebbe potuto raccontarcela Guglielmo, anche lui narratore abilitato. Deduciamo infatti che probabilmente lo ha visto. La scena non avrebbe tuttavia comunicato il valore della nascita alla vita di un uomo cresciuto nella dottrina, distante dalla carne e dal peccato con la stessa intensità e commozione umana.
Scegliere il punto di vista giusto non è abbastanza: ci vuole arte, sentimento, abilità. Umberto Eco ne è l’esempio.
La narrazione in prima persona è il rifugio degli ingenui e il supremo inganno dei veri artisti.
Oracolo Manuale per scrittrici e scrittori di Giulio Mozzi
Il ruolo del narratore: i rischi
Questo argomento appena portato mi spinge a fare un’ulteriore riflessione in proposito: il rischio di trasmettere al lettore un giudizio etico o morale non richiesto.
Quando il narratore interviene a piè pari nella storia, poiché gli è difficile trattenere la sua onniscienza, la sua invadenza, allora questo rischio diventa palpabile. Ve ne siete mai resi conto?
Per dirla con Giulio Mozzi, il narratore onnisciente è sempre tra i piedi dei personaggi.
Il rischio del narratore onnisciente è la difficoltà di tirare il freno a mano, limite che potrebbe indurlo a dire al lettore anche quando deve emozionarsi e perché.
Se temete di essere soggetti a questo rischio, allora considerate la narrazione in prima persona o al limite in terza persona limitata.
La narrazione in prima persona è relativamente giovane e parecchio di moda al momento. Tipica della letteratura del novecento, prevede che il narratore non si veda, sia assente o si limiti a fare da regista a una scena che è il personaggio a vivere, raccontare, interpretare.
La presa diretta consente al lettore di formarsi una propria visione delle cose attraverso gli occhi del personaggio, un autonomo giudizio sulla questione.
Attenti quindi: narrare in prima persona permette di mostrare meglio l’interiorità del protagonista indugiando all’autobiografia. Ma i veri artisti trasformano il proprio vissuto in una storia, facendo ben attenzione a non identificarsi con essa.
Lasciare la libertà a chi ci legge di “tradurre” la storia è fondamentale. La narrazione in prima persona da questo punto di vista rende il lavoro più semplice. Ma ha delle controindicazioni, prima tra tutte, la noia.
Per evitare il rischio di generare stanchezza nel lettore, potete usare i flash back per esempio, o i flash forward, giusto per movimentare un po’ il rischio piattume del narratore in prima persona.
Anche il gioco dei punti di vista e la sua alternanza, se ben condotto, puo’ rendere la narrazione più efficace.
Cambiando la prospettiva, la storia si muove diversamente e anche l’emozione collegata ad essa evolve.
Usare la dimensione spazio-temporale: flash back, dialoghi e…
Se non volete modificare il punto di vista, c’è un altro modo per movimentare la storia e cambiare la prospettiva in un romanzo.
Possiamo giocare su due dimensioni: il tempo e lo spazio.
Lo spazio
Giocare con lo spazio per cambiare la prospettiva in un romanzo è possibile sia lavorando sul personaggio che sulla storia.
Avete mai provato a immaginare una storia raccontata da un personaggio alto la metà di voi?
Se avete un bambino in giro per casa sarà più facile immaginare la prospettiva da questo punto di vista. Le cose, le persone, gli avvenimenti, tutto cambia di intensità. Pensate a voi stesse in mezzo alla folla, alla ricerca di vostro marito durante un terribile avvenimento che ha generato il panico. Userete la vostra “altezza” per riconoscerlo tra i volti delle altre persone, correrete avanti o indietro quando vi sembrerà di averlo riconosciuto.
Ma se foste alte la metà? Cosa vedreste? Cosa rischiereste? Quali paure susciterebbe in voi quella tremenda cortina di gambe frenetiche che non lascia passare nemmeno un filo di luce?
Certo potremmo fare anche esempi all’incontrario. Non sto parlando di un personaggio che improvvisamente diventerà alto il doppio (a meno che non stiate scrivendo una storia fantastica, ve ne sono molte di questo tipo) . Ma di un personaggio che a un certo punto osserverà la stessa scena dall’alto.
Potrebbe volare su un drone, o semplicemente guardare da un balcone, magari attraverso un binocolo (vi ricorda qualcosa?).
Due anni fa vidi un film molto struggente che giocava proprio sulle dimensioni e sui punti di vista: GGG, il Grande Gigante Gentile, un capolavoro di scrittura del grande Spielberg, affidata a Melissa Mathison, la sceneggiatrice di E.T. l’extra-terrestre.
Ma era anche un grande film sulla tenerezza e sulle emozioni. Se non lo avete visto, provate a cercarlo.
Lo spazio peraltro può riguardare anche la sceneggiatura della vostra storia. Se Eco non avesse scelto una abbazia per raccontare la sua meravigliosa storia, la storia non sarebbe stata la stessa, ne sono convinta.
Avete provato a pensare alle ambientazioni come strumenti per cambiare il punto di vista della storia?
Torniamo all’Odissea per un istante. Omero è maestro nell’offrire più ambientazioni, il suo è un poema vasto e basato sul significato del viaggio.
Se sentite che la storia langue, provate a far muovere il vostro protagonista in uno spazio diverso da quello in cui è calato e osservate le sue reazioni. Oppure potreste mettere in primo piano ciò che avete collocato sullo sfondo e viceversa.
Riguardate la scena. Cosa è cambiato? Particolari, odori, colori. Quando osserviamo più da vicino o da lontano, un personaggio o un protagonista, egli rivela parti di sé inesplorate.
Non trovate che da vicino le cose che prima avevamo messo lontano appaiono diverse e in qualche caso persino ridicole o orribili, nel senso etimologico del termine?
Provate a spostare gli oggetti o le persone dal secondo piano della scena in cui li avete collocati al piano principale e osservate se cambia qualcosa.
Il tempo
Possiamo anche cambiare la prospettiva in un romanzo usando la variabile tempo da cui la si racconta. Spesso c’è molto materiale disponibile e non è sempre il caso di manifestarlo tutto in un dato momento. La maggior parte delle cose non hanno bisogno di essere raccontate. Si possono dedurre da piccoli particolari che il narratore mette nella trama come briciole di pane per condurci alla meta del suo/nostro racconto.
Quando avete la necessità di arricchire la prospettiva su un avvenimento, provate a utilizzare il tempo. Con un flash back potete tornare indietro e osservare quell’avvenimento attraverso ciò che lo produrrà.
Potreste usare questo strumento per allargare la veduta sul campo dell’esistenza del personaggio, facendogli rivivere o rivedere fatti o persone della sua esistenza legate allo stato d’animo presente.
Oppure potreste ravvivare la narrazione attraverso le conversazioni e i dialoghi tra i personaggi, che possono essere collocati nel presente o, se siete molto bravi, anche nel futuro.
Ma anche lettere, memoriali, confessioni, magari strappate per caso. Sono ottimi escamotage per guardare le cose da un altro punto di vista e saranno utili a offrire maggiore profondità al personaggio. Attraverso questi strumenti, di certo rivelerà altre parti di sé utili alla storia.
Quando un capitolo o una scena si trascina verso la fine senza saper catturare l’attenzione del lettore, usate lo spazio o il tempo! O almeno, considerate questa possibilità.
Cambiare le voci o la modalità con cui raccontate, cambierà il ritmo della storia.
Il senso di questo gioco con lo spazio e il tempo è questo: rendere la storia ancora più ricca e credibile.
Non immaginate quante cose non vediamo quando guardiamo sempre nello stesso modo e dalla stessa parte!
Siamo giunti alla fine di questa riflessione sulla prospettiva e il punto di vista.
Avete trovato suggerimenti utili alle vostre riflessioni e alla vostra scrittura?
Mi auguro proprio di sì. In ogni caso, aspetto le vostre considerazioni nei commenti qui sotto circa i vostri metodi preferiti per cambiare la prospettiva in un romanzo.
8 Comments
Franco Gabotti
Ciao Elena, la scena del lungometraggio di cui ho scritto appartiene ad un lavoro non presente sul web, addirittura visto in pubblico in non più di cinque occasioni. Nella versione letteraria il personaggio narrato in terza persona si estroflette, mi sentirei di dire che tecnicamente si tratta sempre di una scrittura in terza persona nella quale egli si toglie la maschera e dialoga con l’autore o con il lettore. Nel film la scelta è stata rischiosa perché introdotta nella parentesi di una scena, esattamente come un fuori scena non previsto; nel romanzo invece la mia protagonista scambia poche battute con me autore, ma poi scompare definitivamente per lasciare posto alle ultime pagine nelle quali la narrazione prende una tangente quasi estranea alla narrazione.
Ti ringrazio anche per il link del tuo blog che tratta la questione degli editor. Come affermano anche i tuoi interlocutori se ne esce inevitabilmente con gli interrogativi con i quali si era entrati, forse anche per la correttezza praticata nel non fare nomi. Se posso introdurre qui il mio commento, anch’io non faccio il nome, ma mi pare di aver individuato un editor attendibile; i costi sembrano elevati di primo acchito, ma se si considerano le tariffe orarie di un idraulico, men che mai di un professionista, e se si prova a calcolare i tempi di lettura, di elaborazione e di tutto il resto, scheda di valutazione o addirittura collaborazione editoriale, mi sembra addirittura di trovare un mercato al ribasso.
Un caro saluto.
Elena
Il problema non è i prezzo praticato ma la professionalità e il risultato. Impossibile da definire ex ante, bisogna affidarsi e tentare. Quel che mi sento di dirti è di non lasciarti ingannare, soprattutto da chi si spertica di lodi per qualcuno in particolare. È un mercato al ribasso perché a parole è facile tutto. Buon lavoro con il tuo testo
francogabottiliberoito Gabotti
Che bella lezione, grazie. Hai riportato note molto interessanti anche se attraverso gli automatismi di cui ci serviamo inconsapevolmente già abbiamo fatto nostri gli stilemi descritti. Per un catapultato nel mondo della scrittura, senza averne residenza come me, tanto vantaggio deriva dalla consapevolezza di sapersi “girare” con efficacia nella narrazione.
Recentemente una posizione da narratore che esce allo scoperto, smascherando sé stesso ed il personaggio in scena, l’ho sperimentata interrogando direttamente la protagonista del mio romanzo, e l’ho fatto calandomi con discrezione da autore nella storia, ma volevo fortemente avere quelle risposte dal personaggio e nessun altro avrebbe potuto porgerle. Non sono nuovo ad un genere simile di forzatura poiché già una trentina di anni fa, nel girare un lungometraggio, un altro mio personaggio espresse una riflessione rivolta allo spettatore, aprendo una parentesi nella quale la sua finzione si interruppe. La frattura narrativa l’avevo voluta anche a rischio di rompere con essa il phatos del coinvolgimento commettendo un errore ancora più grave, ma simile a quello dell’attore che guarda nell’obbiettivo.
Chissà come sarebbe definita una simile prospettiva di narrazione.
P.S. hai citato il ruolo di un editor e mi piacerebbe leggere un tuo post sulla tua esperienza poiché sento l’importanza di trovare un supporto qualificato ma non so proprio da che parte cominciare.
Elena
Ciao Franco mi hai molto incuriosita con l’esempio del lungometraggio, la scena in questione si trova da qualche parte. Perché non saprei come definirla questa tecnica ma di certo è una tecnica interessante… Pensiamoci! Sugli editor ho scritto https://www.elenaferro.it/a-proposito-di-editor-o-presunti-tali/. Prova a vedere se trovi qualcosa che possa offrirti qualche spunto… Un caro saluto e grazie davvero per la fiducia
Giulia Lu Mancini
Sai che non avevo mai pensato troppo alla prospettiva dei miei romanzi, probabilmente perché è qualcosa che c’è a prescindere, proprio perché dipende molto dalle esperienze personali. Riguardo al punto di vista mi sono accorta di preferire la terza persona perché mi da più possibilità, in tal modo posso inserire l’introspezione psicologica di ogni personaggio sia buono che cattivo, certo con qualche espediente anche con la prima persona è possibile, ma è molto più limitante. Pensa che all’inizio preferivo la prima persona (il mio primo romanzo era in prima persona, però la storia era narrata solo dal punto di vista della protagonista e, in quel caso, trovo che la prima persona sia molto adatta), poi dovendo riprendere in mano un vecchio romanzo ho usato la terza persona, all’inizio è stato faticoso, ma ho scoperto di poter spaziare di più nella trama e mi sono trovata meglio, insomma è andata così.
Il tuo romanzo Càscara ben si presta alla terza persona perché contiene molti personaggi tutti molto potenti e un solo punto di vista avrebbe limitato la storia.
La seconda persona è difficile da usare, ma ho letto un romanzo di Carofiglio in seconda persona “Il bordo vertiginoso delle cose”, molto bello, non credo sia semplice scrivere un romanzo in seconda persona, per questo credo sia meno diffuso come punto di vista.
Elena
Grazie Giulia per l’indicazione di romanzo in seconda persona, sarà interessante leggerlo per capire se potrebbe essere un nuovo terreno di sida e di crescita come scrittrice. Io e te a quanto pare abbiamo fatto percorsi inversi, tu iniziando con la prima e io con la terza, poi la prima, poi il multifocale e infine in Càscara ho usato il flash back come innesco della storia. Mi sono trovata a pensare alla prospettiva perché talvolta cambiarla può essere un utile esercizio per consocere più a fondo la nostra storia e magari raccontarla in modo differente. D’altra parte è proprio la condizione soggettiva che cambia, immagina in un percorso di scrittura di uqlache anno quanto possa cambiare, non dico ogni mese ma almeno ogni anno! Per i gialli trovo la prima persona intrigante. Vedendo solo con gli occhi del protagonista, vivo di più la suspense, cammino in un terreno ignoto di cui guardo solo avanti. Mentre dietro o di fianco può accadere veramente di tutto… Ho già i brividi 🙂
newwhitebear
Qualsiasi idea o spiegazione chiara è sempre utile. Lo è anche se il discorso è confuso.
Io preferisco la terza persona perché mi permette di variare il punto di vista della storia. Può essere quello del personaggio, del narratore ma anche da qualcuno presente sulla scena racconta quello che prova osservando i protagonisti.
Elena
Ho cominciato con la terza persona. Poi mi sono invaghita della prima, salvo poi cercare variazioni che mi hanno riportato alla terza. Credo che quest’ultima sia quella a me più congeniale. Mi piacerebbe sperimentare la seconda, ma non avrei idea da dove cominciare… Forse rivolgendosi direttamente al lettore. Rischioso…