Qualche settimana fa ho ripreso a scrivere il mio diario personale.
Ho tirato fuori dal cassetto del comodino la vecchia moleskine nera che mi dorme accanto da ben dieci anni e, constatato che aveva ancora molti fogli liberi, mi sono messa a scrivere.
Pensieri complessi, con una scrittura al limite del comprensibile, ma resi semplici da quelle parole dalle linee morbide che macchiavano di nero la pagina color crema tipica di quel mitico taccuino.
Preoccupazioni, perlopiù, che dopo essere state trascritte hanno smesso di frullarmi in testa.
Negli ultimi tempi, sono proprio questi pensieri a disturbarmi, la notte. Ho bisogno di tempo quando ci sono cambiamenti importanti nella mia vita, ma soprattutto, devo tentare di fermarli e guardarli in faccia, con calma.
Così mi sono ricordata che quella era sempre stata una delle funzioni fondamentali dei mie tanti diari: fermare il momento presente, specie quando è pieno di eventi, fatti, emozioni nuove.
Di diari ne ho collezionati nel corso degli ultimi trentacinque anni almeno sei. Li tengo in libreria, da qualche parte. Quando sarà il momento, li ritroverò.
I miei pensieri perché possano prendere corpo o semplicemente andarsene dalla mia testa e lasciarmi tranquilla, devono essere messi nero su bianco.
Due pagine, niente di che. Poi non ho resistito alla tentazione di andare a ritroso. Così ho scoperto che la prima pagina scritta su quel taccuino risaleva al 2007, nei mesi in cui si ammalò mio padre.
Il mio diario
Ero spaventata, disorientata, stanca. La prima volta che davvero mi trovavo di fronte al rischio di una morte prematura (mio padre se ne è andato a 70 anni).
In quelle righe che oggi rileggo con compassione per me stessa c’erano ancora molte speranze e problemi stupidi che puntualmente riuscivo a superare. Talvolta la narrazione di conflitti con mia sorella o mia madre, che hanno sempre avuto un problema: la negazione.
C’è un lungo vuoto dall’aprile del 2007 al 2008, il tempo che mi ci è voluto per tornare in sella.
Ma anche una volta superato, almeno apparentemente, quel lutto dolorosissimo che di tanto in tanto riaffiora ( Ti dico ciao, papà ne è la testimonianza), la sofferenza fa parte di quelle pagine piuttosto spesso. Rileggendo mi accorgo che il più delle volte è velata dallo sforzo continuo che compio per tramutarla in energia positiva, in ottimismo e ragionevolezza. Altre volte è la gioia ad esplodere.
I segni grafici aiutano in questi casi a rendere quelle pagine più evidenti: distanzio di una riga la frase che sugella una conquista, che ferma un attimo di felicità, e scrivo con un carattere leggermente più grande.
E’ forse così che si vive la gioia? Tenendola separata dal resto, evidenziandola, perché ce la si possa ricordare a lungo?
Una vecchia abitudine
L’abitudine di tenere un diario delle mie giornate è piuttosto antica. Sin da ragazzina prendevo appunti negli spazi lasciati liberi sul diario di scuola dalle annotazioni dei compiti da fare o dalle comunicazioni per i genitori.
Per una mia esigenza di schematizzare, sceglievo spesso un diario cartonato e quadrettato, per evidenziare meglio gli elenchi puntati, una vera fissazione per me.
In allora ero solita annotare le cose belle che mi accadevano, le illusioni, specie se amorose, i rimpianti e le speranze che una ragazzina del liceo coltivava senza tregua, in una sorta di sogno a occhi aperti che nutriva la mia esistenza.
Tenevo anche un rapporto epistolare con una ragazza toscana conosciuta, pensate, attraverso la posta di Topolino. E’ durato più di dieci anni, poi si è interrotto, tornando per qualche tempo, molti anni dopo. Ma la mia amica soffriva di una malattia mentale gravissima, cosa che le ha impedito di proseguire quella strana relazione con me. Non me ne ero mai accorta.
Quelle lettere le conservavo in una scatola che avevo foderato io stessa, con una bellissima carta a pois colorati su sfondo bianco. La nascondevo agli occhi di tutti, per proteggerla. Lì c’era davvero quello che mi passava per la testa. Anche a me faceva paura.
Ho scoperto che in realtà mia madre sapeva benissimo dove tenevo quelle righe e chissà che non le abbia persino lette. In ogni caso, non me l’ha mai confessato.
Ma il mio diario personale, per ragioni che non saprei giustificare, pur essendo un fatto persino più privato di quella corrispondenza, lo custodivo privo di lucchetti in un cassetto. Il mio cassetto, quello accanto al letto.
Mi sono sempre data un’educazione severa da questo punto di vista. Mai interferire con le cose altrui, mai leggere lettere o cartoline di altri (ve le ricordate le cartoline? Che nostalgia!), insomma il massimo riserbo, con la splendida illusione, ancora oggi ben radicata in me, che per stare bene occorre non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Tradotto, non sbirciare e non sarai sbirciata.
Questo, insieme a una sorta di rispetto per l’intimità dell’altro, anche in famiglia, mi ha fatto crescere senza mai avere alcun dubbio che potesse essere letto da qualcuno di loro, compreso mio padre, soggetto imprescindibile di quelle pagine, quelle del dolore perlomeno.
Dividevo la stanza con mia sorella e scrivevo la sera, a letto, per fare un bilancio della giornata, salutare le cose belle e, cosa che accadeva quasi mai a quei tempi, segnalare quelle brutte.
Navigando nei ricordi mi accorgo che quell’abitudine l’ho conservata intatta. Il mio diario serve a me soprattutto per decongestionare i pensieri, per liberarmi dalle ansie e dalle preoccupazioni. Per fare il punto sulle mie tappe di crescita.
Così sono tornata a scrivere il mio diario personale. E c’è un perché.
La ragione è che non sto scrivendo altro se non il blog. Scrivere le mie storie mi aiuta a tirare fuori ciò che dentro non più restare.
Un tempo di mezzo
Vivo il mio tempo di mezzo con la scrittura.
Scrivo il diario perché non sto scrivendo altro. Né un romanzo, né un manuale né qualunque altra cosa che richieda un esercizio della scrittura in modo sincopato, costante, dedicato.
Eccetto il blog, naturalmente. Che prosegue, anche se la tecnologia ci si mette di mezzo! A proposito, non tutto è tornato funzionante ma ci siamo quasi 😉
Qualcuno sostiene che il blog sia esso stesso una sorta di diario, dipende da come si imposta, da quali scelte editoriali si compiono. Per me in qualche modo lo è, anche se non è e non può essere quello spazio intimo di cui di tanto in tanto ho bisogno.
Dopo Càscara mi prendo una pausa scrittoria. Ho almeno tre progetti diversi su cui lavorare, che di tanto in tanto cominciano a riaffiorare, desiderosi di attenzione. Ma non è tempo. Ogni volta si chiarisce qualche aspetto: la storia, un personaggio, un punto di vista.
Aspetterò. Quando è tempo di tornare a scrivere lo sappiamo, lo sentiamo dentro. Non ho fretta.
Voglio dedicarmi alla lettura. Come si fa a scrivere se non si legge qualcosa di buono che ci porti fuori dalla nostra zona di comfort della scrittura?
Mi è persino venuto in mente di lanciare l’idea di un gruppo di lettura, con le regole classiche che si danno in questi casi: condividere un titolo, darsi un tempo per leggerlo, e poi trovarsi, possibilmente in presenza, per discuterne.
E ci sono riuscita, ovvero abbiamo costituito un piccolissimo gruppo di lettura che lunedì prossimo si incontra in videoconferenza per stabilire regole e titoli. Vi racconterò, non c’è dubbio, e se qualcuno vuole aderire, mi contatti in privato.
Il difficile è trovare le persone che condividano gli stessi gusti letterari o che ne abbiano di simili. Vedremo.
intanto mi dedico a me. Leggo e rileggo le mie paure, le mie preoccupazioni e le mie ansie anticipate che, come il diario dimostra bene, mai si avverano. Devo proprio ricordarmelo, accidenti!
Il mio primo romanzo a forma di diario: Storia di un corpo
Un diario può diventare anche una forma narrativa in cui il racconto – reale o di fantasia – si sviluppa cronologicamente, di solito giorno dopo giorno. L’ho sempre ritenuta una forma narrativa distante dalla mia attitudine scrittoria e, credo di conseguenza, non l’ho mai ricercata, come lettrice intendo.
Ciò che ho letto e che si avvicina di più a un diario è Lettera al mio giudice, di Simenon, che ho recensito qui, ma in effetti non è esattamente un romanzo a forma di diario, piuttosto una narrazione in prima persona, una sorta di flusso di coscienza.
Se fosse stato per me, non avrei mai scelto deliberatamente di acquistarne uno e leggerlo.
Ma è capitato, anche se inconsapevolmente e non può essere un caso.
Se avessi saputo che il mio caro Daniel Pennac aveva scritto Storia di un corpo proprio con questa intenzione, forse avrei acquistato un altro titolo.
Pennac è un autore che amo molto e che ho ospitato sul blog quando ho scritto una pillola sui trucchi che ha utilizzato per La Fata carabina, uno dei suoi romanzi più divertenti, in effetti.
Come autore l’ho conosciuto in un periodo molto bello della mia vita e la sua scrittura è legata a splendidi ricordi. Mi mancava. Per questo ho acquistato questo romanzone che mi ha sorpresa.
Pennac è un narratore potente, molto presente a sé stesso e di una originalità strabiliante. Ho trovato subito molto interessante l’idea che sin dall’inizio l’autore presenta a noi lettori proprio come una scelta: quella di raccontare la vita del narratore dal punto di vista del suo corpo.
L’uomo che narra sé stesso è un padre che ha annotato durante tutta la sua esistenza le emozioni, le sensazioni fisiche, i percorsi di crescita, le idee, le battaglie, le conquiste e le sconfitte, la vecchiaia e l’approcciarsi della morte attraverso un diario personale che offre alla figlia dopo la sua morte.
Una scelta originale.
Cosa c’è di più intenso e totalizzante di una vita raccontata in prima persona da qualcosa che trascuriamo sempre di più, il nostro corpo?
E così al corpo ritorno
Alle sue emozioni, alle sue sensazioni. Per una persona cerebrale come me, tornare ad usare le mani, il corpo e vivere la stanchezza, dargli attenzioni, non solo estetiche, curarlo e nutrirlo come si deve, sarà il compito che mi consegno.
Continuerò a scrivere quelle pagine e a tornare indietro, di tanto in tanto, per osservare meglio la strada fatta. E per capire che siamo in un percorso di evoluzione straordinario di cui nemmeno ci rendiamo conto.
Celebriamolo e gioiamo di tutto questo. Io ci sto provando.
E intanto ho comprato una moleskine nuova. Non si sa mai 😀
E voi care Volpi, tenete o avete mai tenuto un diario? Vi ispira questo genere letterario?
16 Comments
Barbara
Ho un vecchio Diario, con tanto di nastro di seta, ancora delle medie/superiori, dove scrivevo di quando in quando, mentre i miei diari scolastici sono (li conservo ancora, quelli delle superiori) pieni di scritte e disegni e foto di cantanti e attori. Poi sono passata per il periodo universitario alla Smemoranda, sempre per segnare impegni e scritte e citazioni e incontri e libri da leggere. Col lavoro, sono passata alla Moleskine, come solo agenda di impegni e lavoro. Ho smesso di scrivere. Tranne per un’agenda vecchia usata come “cestino dei pensieri negativi” + “scrivi il sogno per interpretarlo”. E’ un po’ che non ci scrivo, in effetti, sia perché adesso i sogni me li segno come bozze di probabili racconti (!) sia perché gli ultimi pensieri negativi, seriamente negativi, li ho dovuti affrontare tempo fa con uno specialista (certe volte un diario non basta, il cestino è pieno e hai bisogno del tritacarta). Sulla riservatezza… io ne ho sempre accordata tanta, mi faccio gli affaracci miei, purtroppo però mia madre si è sentita in dovere di aprire le mie lettere (anch’io avevo una decina di “pen-pals” tra l’ultimo anno delle superiori e l’università, dunque maggiorenne) e una anche di cestinarmela. Deve aver letto qualcosa che non le comodava (sai cosa si dice di chi origlia, è uguale anche per la lettura). Ho dirottato la mia posta su cassetta postale, ma la delusione di quel gesto è forte ancora oggi.
Elena
Adoro il vecchio diario col nastro di seta. Romantico e anche un pò retro, come il diario. Pensandoci, non conosco nessuna giovincella che abbia questa abitudine, oggi gli smartphone offrono altre opportunità. Persino i blog sono soggetti a up and down, insomma, non tutto è per sempre. L’idea di segnarsi i sogni la trovo molto utile, mi fu suggerita molti anni fa dalla mia terapeuta al fine di rivederli più avanti quando insieme alle immagini avrebbe potuto affiorare anche una certa consapevolezza. L’idea di trasformarli in racconti è ottima. Dopo l’incidente ho avuto molti incubi in cui sognavo di morire nei modi più assurdi. Che sia la volta buona che mi riesce di scrivere un racconto horror? . Intanto ho letto il tuo su Craigh na Dun….
Marina
Con me, cara Elena, sull’argomento, sfondi una porta aperta. Io ho vissuto anni e anni a contatto con la me stessa dei diari personali: ne ho accumulati quindici dal quarto ginnasio fino a metà università (escludendo quelli meno significativi delle scuole elementari e medie). Usavo le agende che regalavano a mio padre a lavoro, ma il mio primo diario personale mi fu regalato per un compleanno, credo, verso i nove anni: era un quadernetto di Holly Hobby (te la ricordi?) con tanto di lucchetto e le pagine quadrate senza righi. Ce l’ho ancora: mi rivolgevo a una certa Lilly, amica (finta) cui raccontavo le mie giornate a scuola. Poi, vabbè, i diari, quelli d.o.c risalgono al periodo liceale: mamma, quanto scrivevo! E da me non traspariva nessuna gioia, ero peggio di Leopardi, anzi mi ispiravo a lui, al suo pessimismo cosmico. 😀 Io sempre sfigata e pessimista: amicizie, amori, tutto era fonte di grandi patimenti. A me il diario serviva come sfogo e riuscivo davvero a stare meglio dopo avere scritto. Ho anche due mini agende del periodo della gravidanza: avevo staccato e poi ho sentito il bisogno forte di riprendere la penna, però quelle sono pagine bellissime, di grande attesa, di serenità… Insomma, starei ore a parlare di diari personali… Ah, condivido assolutamente il motto: non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te. Grande riservatezza, da parte mia, su tutto: pensa che certe volte mio marito ride del fatto che non apro nemmeno le lettere della pubblicità o dell’Assicurazione o della Banca, indirizzate a lui! Naturalmente pretendo la reciprocità, che in passato è stata motivo di grandi litigi (ma questa è un’altra storia)
Elena
Cara Marina, quanta dolcezza in questo commento. Ti immagino, piegata sul tuo quaderno Holly Hobby (certo che me le ricordo, bucoliche, avevo anche le bamboline!) o sull’agenda riciclata (grande classico) scrivere le tue pene, come Leopardi! Sarà che mi fa sentire meno sola, sarà che quei periodi con lo sguardo di oggi mi fanno, appunto, tenerezza, ma sento molta affinità con questo modo di percepire il rapporto con noi stesse. In fondo il diario è questo, non ho dubbi. Tu? Eppure ti confesso che da quando ho scritto questo post e letto i vostri commenti mi sono ripromessa di segnalare anche le cose positive: si tratta di attitudine naturalmente, ma anche di scelte. Le cose belle aiutano ad andare avanti, segnalarle equivale a ricordarle e riconoscerle… nemmeno io apro le buste delle pubblicità. So che nessuno ci crede ma è così. Sono talmente riservata che non mi cade nemmeno l’occhio su cose che non mi riguardano, nemmeno se esplicite. E sono una tomba: ci tengo molto a questa caratteristica, forse per questo tengo un diario. A qualcuno, certe cose, devo pur confessarle… 🙂
Luz
Io, come te, ero solita scrivere a sera, nella cameretta che dividevo con mia sorella. Non è stata mai una forma di scrittura che mi ha “travolto” ma ci sono stati momenti nella vita in cui ho sentito il bisogno di tenerne uno. Durava qualche mese e niente di più, ma ancora oggi fa un certo effetto ripercorrere quelle pagine.
Anche se non sento il bisogno di ripercorrere gli anni di un passato lontano.
Elena
Si conferma uno strumento direi imprescindibile nella crescita di una giovane donna. Non ho ancora incontrato nessuna che non ne abbia mai tenuto uno! Anche io non le ripercorro di frequente, ma qualche volta tornare a “leggersi”, non solo nelle pagine ma nei sentimenti, mi aiuta a riconoscere parti di me ancora vive e bisognose di attenzione. Altre invece vanno decisamente lasciate alle spalle 🙂
Elena
Cara Giulia, io lo vedo sul mio pc…
Brunilde
Ho iniziato a scrivere il diario a undici anni, e in qualche modo non ho mai smesso.
Anche nel periodo in cui correvo, come un criceto sulla ruota,senza tempo per me, nelle mie agende di lavoro spuntavano qua e là pensieri, frasi che mi avevano colpito, citazioni, frammenti di poesie trascritte.
Ora anch’io ho la Moleskin, in cui riporto pensieri, ricordi, sogni: per scrivere anche quando sono ” bloccata”, e per recuperare la manualità della stilografica sulla carta, visto che la mia grafia, già pessima di partenza, sta diventando una tremenda zampa di gallina. Anche scrivere a mano mi sembra un prezioso momento di riflessione, un’attitudine da preservare: usare le mani, un modo per centrarsi sul corpo…
Elena
Bellissimo richiamo cara Brunilde all’uso del corpo attraverso le mani e la scrittura! Altra importante funzionalità del diario! Devo dire che il rapporto con la scrittura a mano per me è molto complicato. Adoro, letteralmente, appuntare. Se ora ti facessi una foto della mia scrivania (sono in ufficio in un raro momento di evasione post ennesima crisi) ti accorgeresti di cosa voglio dire. E’ ricoperta di carta, molta da riciclare, letteralmente piena di annotazioni, pensieri, commenti, reminder.
Uso penne morbide perché trovo di avere come la mano irrigidita dal computer e così scrivo come una gallina. La cosa buffa è che gli altri adorano la mia calligrafia (tutti matti i miei colleghi!). Avevo, anzi, ho una bellissima stilografica che non riesco a utilizzare perché non riesco a scrivere se non lentissimamente, cosa che mi disturba assai. Anche io corro nella gabbietta. La sera mi obbligo a rallentare, fa parte di una nuova routine di benessere che sto sperimentando… La scrittura cambia ma, attenzione, cambiano anche i pensieri. Incredibile. Ti capita mai una cosa del genere?
Grazia Gironella
Non credo di avere mai letto un romanzo in forma di diario, ma i diari fanno parte della mia vita da quando ero bambina, forse con qualche pausa. Qualche giorno fa, mettendo in ordine gli scaffali (evviva, ho del posto libero per i nuovi libri!) ne ho trovati un paio, e ne ho aperto uno per sbirciare due righe. L’ho rimesso via pensando che lo brucerò. Ma forse no. Chissà. Però il diario per me è fondamentale per tracciare il mio percorso. Ci sarebbe così tanto da dire in merito… Invece ti dico che Pennac è stato un mio grande amore in un periodo della mia vita, e l’ho condiviso con un amico che non c’è più. Grande scrittore. Un abbraccio.
Elena
Ci credo che fai posto sugli scaffali per i nuovi libri se bruci tutto! 😀
“…il diario per me è fondamentale per tracciare il mio percorso. Ci sarebbe così tanto da dire in merito…” – dillo! Anche io ero innamorata di Pennac. Anche senza Malaussene è adorabile. Sono alle pagine in cui il protagonista, giovane adulto, scopre e pratica l’amore. Altro che eros! Non avevo mai letto pagine così intense riferite al corpo maschile. Molto interessanti! Un abbraccio a te e all’amico che non c’è più. Baci
Giulia Mancini
Ho tenuto un diario ai tempi delle scuole medie in cui raccontavo le mie giornate e i miei piccoli segreti adolescenziali, pensa che proprio questa estate, un paio di mesi fa, l’ho riletto ed è stato un tuffo potente nel passato. Ho provato tenerezza per la ragazzina di allora e ho eliminato molte pagine, ho salvato solo alcune parti che voglio ricordare: mi sono resa conto che l’adolescenza è un periodo terrificante in cui crescere è davvero una fatica enorme. Qualche anno dopo, alle superiori, ho scritto ancora un diario, ma erano soprattutto pensieri scritti in forma ermetica e piuttosto pessimisti. Con l’università ho smesso di scrivere diari di carta, tuttavia scoprire il blog, molti anni dopo, quando mi sono dedicata alla scrittura in modo più costruttivo è stato piacevole e lo trovo una forma di diario…
Elena
Ciao Giulia, si il blog è una forma di diario, un racconto delle nostre emozioni e di ciò che viviamo rivisitato dall’esperienza e dalla vena creativa. Questo se offriamo a chi ci legge qualcosa di vero, anche se non completamente svelato (nel mio caso a volte è così, conservo un pudore che mi impedisce di mettere troppo “in piazza” gli affari miei, nel bene e nel male). Ci sono blog che invece fanno man bassa di articoli già noti sul web, magari anche in altre lingue, e poi li traducono, arricchiscono, in italiano. C’è chi invece offre interessanti articoli che riguardano esperienze fatte e poi messe in comune, oppure scorci di vita passata che emozionano e basta. Il tuo blog ultimamente mi offre questa emozione!
Anche in rete si può cancellare un ricordo, ma io non me la sono mai sentita, nemmeno le pagine più vecchie dei miei diari. Conservo tutto. Tutto è parte di me. PS: il tuo commento si vede ma è doppio. Se mi autorizzi, l’altro lo cancello. Buona giornata!
Giulia Lu Dip
Certo cancella il doppio commento, sei giustamente autorizzata
newwhitebear
Mai tenuto un diario. Qualcuno dirà: per forza sei maschio. Nulla di più falso. Se uno tiene il diario lo fa come te, cara Elena: fissare l’istante. Diciamo più che diario ho cataste di fogli, carta riciclata di stampe inutili, piene d’appunti disorganici e disordinati. Cose di tutti i tipi. Proprio per questa peculiarità alla fine finisco nel cassonetto della carta. Però ti ammiro per la costanza nel tenere nota di gioie e dolori, di sensazioni ed emozioni.
Elena
Dici che non hai mai tenuto un diario, ma quelle pile di fogli pieni di pensieri disparati sembra somigliare molto. Si può fissare l’istante su un quaderni, notes, più o meno ordinato, oppure su fogli sparsi. Che poi chissà che rimettendoli insieme non assumano significati ancora diversi, senza un ordine cronologico! Quanta ricchezza in quei pensieri… Non ce li vedo proprio finire nel cassonetto. Non ci sono mai riuscita, nemmeno con quelli vecchi. Il piacere di ritrovarmi è troppo grande… Non ammirarmi, è solo una necessità. Quelle cataste di carta lo testimoniano…