Scrittura creativa

Rompere i legami con la tua storia

 

Una delle novità più importanti della mia stagione estiva è stata la decisione di progettare una nuova storia.

 

Avevo due idee in canna, una per un romanzo e una, udite udite, per un giallo.

 

Di quest’ultima ve ne parlerò se mai avrò la forza e il coraggio di cominciare a cimentarmi davvero con un genere che va per la maggiore ma che conosco e apprezzo solo come lettrice.

 

O come presentatrice. Ma questa è un’altra storia che vi ho già raccontato sul mio canale YouTube  ➡ 

 

Ho cominciato a scrivere pagine di quaderno con le prime idee, fino a quando mi sono accorta di essere caduta nella trappola della focalizzazione sulla mia storia personale.

 

I personaggi erano differenti, così come le ambientazioni. Ma le atmosfere, le stesse.

 

Difficile da spiegare e forse anche da comprendere, se non vi è mai capitato, ma ho capito subito che stavo commettendo un errore che mi stava portando a raccontare  sempre la stessa storia.

 

Così mi sono fermata.

 

E ho pensato che tornare continuamente sulle tracce del mio passato stava impedendo una mia crescita personale, come donna e anche come scrittrice.

 

E’ stato allora che ho deciso di rompere i legami con la mia storia personale di donna e di autrice.

 

 

 

Rompere i legami con la tua storia

Rompere i legami con la tua storia

 

Da dove traiamo ispirazione per raccontare una storia?

 

Sono andata a cercare il significato di due termini che la domanda mi ha fatto ricordare: fantasia e immaginazione.

 

Secondo la Treccani, fantasia significa:

 

Facoltà della mente umana di creare immagini, di rappresentarsi cose e fatti corrispondenti o no a una realtà

 

 Se andate a cercare il significato della parola immaginazione, sempre sul sito della Treccani troverete questa definizione:

 

Particolare forma di pensiero, che non segue regole fisse né legami logici, ma si presenta come riproduzione ed elaborazione libera del contenuto di un’esperienza sensoriale, legata a un determinato stato affettivo e, spesso, orientata attorno a un tema fisso; può dar luogo a una attività di tipo sognante (come nei cosiddetti «sogni a occhi aperti»), oppure a creazioni armoniose con contenuto artistico (i. artistica), o anche, con un meccanismo che si riallaccia all’intuizione, a conclusioni ricche di contenuto pratico; con definizione più generica, la facoltà di formare le immagini, di elaborarle, svilupparle e anche deformarle, presentandosi in ogni caso come potenza creatrice

Rielaborare la tua storia personale

 

Rielaborazione è l’utilizzo di concetti, fatti, immagini che appartengono al nostro passato e che possono essere più o meno forti e in esso radicate, e generarne di nuove.

 

L’immaginazione, che è il cuore della creatività, si nutre di questo, di trasformazione.

 

Dunque di ciò cui siamo legati non occorre buttare tutto, ma essere capaci di trasformarlo.

 

 

 

Rompere i legami con la nostra storia significa trasformarla

 

Trasformare significa cambiare forma a una cosa.

 

Se la “cosa” è la nostra storia personale, allora la trasformazione parte dal cambiamento dei costrutti e di ricordi che la compongono.

 

Se abbiamo avuto un’infanzia difficile, fatta di separazioni, per raccontarla non servirà ripercorrere nello stesso modo i fatti vissuti, ma trasformarli in qualcosa anche di molto distante da essi ma che abbia al centro il sentimento, l’emozione che li ha caratterizzati.

 

In questo caso, un’emozione potrebbe essere il senso della perdita e dell’abbandono, che, come intuiamo, può essere raccontata in tanti modi differenti.

 

Perché dobbiamo rompere con la nostra storia?

 

Perché se utilizzeremo le stesse architravi per costruire una casa in cui abbiamo già abitato, il risultato, pur cambiando il colore dell’intonaco, rischierà di essere lo stesso.

 

Molti dei romanzi che ho letto di autori/autrici esordienti e persino il mio pescano a piene mani nel loro vissuto e si sente.

 

Si sente il legame, si sente il giudizio, affiora il dolore patito o la gioia, se è il caso.

 

Tutto ciò a mio avviso turba il percorso del lettore che ha il diritto di provare e sperimentare sentimenti anche molto contrastanti rispetto a quelli che ci hanno spinto a raccontare un fatto o una storia.

 

Il lettore ha il diritto di trovarsi in un mondo che abbiamo costruito per lui/lei senza trovare sul suo cammino le briciole di pane di Hänsel e Gretel per ritrovare il cammino.

 

Se non rompiamo con la nostra storia, questa distanza emotiva dal testo non riusciamo a realizzarla.

 

Questo è per me il percorso di crescita con cui oggi sono chiamata a confrontarmi, ma lo è anche per voi? Potrete raccontarlo come sempre al fondo del post nei commenti.

 

Non so se la scelta che ho fatto, cominciando a progettare una storia che è lontana dalla mia zona di confort, sarà appagante.

 

Di certo mi ha fatto riflettere e credo anche evitare di stare sempre sulla stessa nota, quando ne posso cantare e suonare di molte e differenti!

Con quale storia rompere

 

Ognuno possiede la sua.

 

C’è un tema, un argomento, un fatto accaduto, una ferita mai rimarginata, che dà origine alle nostre storie, che chiede di essere abbracciata e risolta.

 

Spesso questo tema si ritrova nei romanzi d’esordio dell’autore.

 

Il mio?

 

La morte di mio padre.

 

Chi ha letto Così passano le nuvole, ha trovato qualcosa del dolore che ho provato nel rapporto tra i due fratelli, Luce e Fabio, e nella malattia di quest’ultimo, del rapporto con i medici che ho in qualche modo subito, della speranza negata e della necessità di fare delle scelte, di cambiare, per continuare a vivere.

 

Ma se nel tempo restiamo legati a ciò che è la nostra storia personale, che è fonte di una quantità di materiale infinita e di certo non riconducibile a una sola esistenza di scrittrice o scrittore, non ci emanciperemmo mai da quella ferita.

 

La mia vita è segnata da un rapporto conflittuale con i miei genitori e dalla presenza di alcune figure, parentali e non, che mi hanno aiutato a superare questa difficoltà.

 

Ma se non rompo con la mia storia tornerò sempre lì, con personaggi, luoghi, nomi e forse anche trame differenti, ma sempre lì, a quei dolori o a quelle gioie di cui chi mi legge ha già sentito parlare, anche se attraverso dei personaggi.

 

La scrittura è soluzione.

 

E’ sciogliere i nodi della nostra esistenza.

 

Quando capisci di essere ferma ai nodi già sciolti, allora devi fare uno scarto in avanti.

 

 

 

 

Attingi all’immaginazione!

Abbandona i canoni tradizionali della tua  scrittura.

 

Sei pronto a scrivere una storia che non avresti mai creduto di poter raccontare?

 

 

 

 

 

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23 Comments

  • Barbara

    Dal momento che Stephen King non ha poteri telecinetici e non ha dato fuoco ad una palestra, così come Diana Gabaldon non è tornata indietro nel tempo di 200 anni, e pure come Douglas Adams non è mai stato in viaggio per l’Universo, ma soprattutto al termine dell’Universo, e solo per citare qualche noto, direi che non sono un caso piuttosto raro… E per fortuna!! 😀

  • Barbara

    Se fosse così, avrei paura a stare a tavola con Stephen King!
    Dei racconti che ho pubblicato, tolti i due che riguardano i gatti Simba e Mosé realmente esistiti, solo uno degli altri può dirsi alquanto biografico e nessuno del pubblico potrebbe minimamente immaginarselo. Tutto il resto è fantasia pura, con il piede sull’acceleratore. Anche volendo (e non voglio), non potrei attingere alla mia storia personale o a quella della mia famiglia, senza ferire delle persone vicine o trovarmi con una citazione in tribunale. Le ferite si possono anche curare con la scrittura-terapia, ma la scrittura-terapia difficilmente si adatta alla pubblicazione. Mi viene in mente Teresa Ciabatti e il suo “La più amata”, che ha colpito solo perché in gioco c’erano personaggi forti del panorama italiano. Dubito che pubblicarlo le sia servito a guarire dalle sue ferite. In ogni caso, di alcune ferite la cicatrice resta a vita.

    • Elena

      Sei un caso piuttosto raro, non unico ma raro, perché specie agli inizi tutti attingono alle loro storie. La fantasia è un dono, conservalo e sfruttalo al meglio! PS: io con King una cena da sola non la farei… Uno che immagina le cose che scrive, mi fa paura!!!!!!! Ciau

  • Maria Teresa Steri

    Non è un discorso facile, questo, perché ci sono molte sfumature da considerare. Prima di tutto hai fatto un passo importante a renderti conto di ciò che stavi facendo, prenderne atto è un segno di maturità. Ma penso anche che tutti gli scrittori attingano sempre o dal loro vissuto, più o meno consciamente. Ci sono pezzi di persone conosciute, modi di pensare, sentimenti, che sono destinati a tornare, ed è un bene perché essendo parte di noi, abbiamo la conoscenza appropriata per poterne parlare. Ma è anche doveroso trasformare tutto ciò per creare storie sempre nuove. Insomma usare la fantasia per condire ciò che continua ad affiorare.
    Forse dovresti fermarti un attimo e chiederti che storia intendi raccontare al lettore.

    • Elena

      Ciao Maria Teresa, quello che ho fatto è proprio fermarmi e riflettere. La conseguenza è stato un profondo cambiamento. Anche nel genere. Non so dove mi porterà questo percorso, ma sento che è mio. Vedremo

  • Giulia Lu Dip

    Credo di essere uscita dalla mia comfort zone già da un po’ grazie ai miei romanzi gialli, tuttavia…non è proprio così: quando scrivi, qualcosa di te finisce sempre nel romanzo, è quasi inevitabile. La storia che racconti non é la tua, ma i personaggi hanno qualcosa di te.

    • Elena

      Ciao Giulia, indubbio che sia così, non possiamo scrivere che di cose che conosciamo o abbiamo conosciuto. O meglio, possiamo farlo ma non è credibile. Scrivere gialli forse aiuta di più a “esulare” dalla propria storia, ma un romanzo… Davvero non hai mai avuto il dubbio che stessi raccontando la stessa storia, magari con personaggi e ambientazioni differenti? Chapeau alla creatività! E viva i gialli (vedrai che prima o poi mi ci metto ascriverne uno anche io)

  • Grazia Gironella

    Post molto stimolante! Hai ragione da vendere, Elena, se non si sta attenti ci si ritrova a raccontare sempre la stessa storia in veste diversa. Vale la pena di cimentarsi, di osare. Allargherà comunque i nostri confini, male che vada. 🙂

  • Luz

    Negli ultimi anni mi sono imbattuta in molti romanzi chiaramente ispirati a fatti personali. Penso alla Terranova, per dirne una. Proprio questa scrittrice fece durante un incontro con i lettori un discorso molto interessante sull’ispirazione tratta dal proprio vissuto. Lei ha attinto a piene mani al suo, al punto che, disse, probabilmente questo repertorio di ricordi e sensazioni un bel giorno si esaurirà e forse non avrà più nulla da raccontare. Io credo che raccontare recuperando proprie esperienze, ma non come fatti in sé, piuttosto come descrivi tu, quello che le esperienze lasciano dentro, sia qualcosa di doveroso per uno scrittore, in particolare per chi aspira al romanzo realista, più vicino possibile al contemporaneo e per questo contenente elementi che offrono una certa possibilità di identificazione nel lettore. Ma vale anche il tuo discorso di allontanarsi dalla propria comfort zone e allora… ottima idea tentare il romanzo di genere e, perché no, proprio il giallo.

    • Elena

      Cara Luz, a forza di uscire alla zona di confort mi ritrovo a un quasi fantasy, altro che giallo, mi ha messo in crisi!
      Ma io adoro sperimentare e mettermi in discussione, perché scovo sempre qualcosa che non avevo previsto né conosciuto, così vado avanti e per ora non cancello niente. Della Terranova non conosco molto ma il suo discorso mi convince. Hai toccato un tema che non avevo considerato, ovvero l’esaurirsi della vena poetica o scrittoria se preferisci, una sorta di mostro di cui penso tutte noi abbiamo paura, almeno io ce l’ho. Forse proprio abbandonare i fatti e le dinamiche per focalizzare i sentimenti, le emozioni vissute può aprirci strade nuove. E forse un giorno convincerci che anche le nostre emozioni ci stanno vincolando… Ma questo è già un altro passo avanti. Ora mi godo questa oscillazione tra giallo e fantasy e vediamo cosa ne viene fuori… Tu, mai sperimentato terreni “stranieri”?

  • Sandra

    Mediamente si parte spesso se non sembre dalla propria biografia, rielaborata ma comunque molto ancorata al vissuto, affrancarsi è sempre necessario se si vuole crescere come autori, anche se, anche nel romanzo più lontano da noi come trama, ci sarà di sicuro qualche frammento di noi, ma talmente ben gestito e riscritto da venire completamente assorbito dalla narrazione.
    Sfido chiunque a trovare me ne La ragazza che ascoltava De André, c’è un solo episodio reale ed è del tutto camuffato, mentre Frollini a colazione ero indiscutibilmente io.

    • Elena

      Credo che nei primi romanzi sia quasi normale affidarsi alle nostre storie, ma farlo a ripetizione… Guarda che secondo me ne la Ragazza che ascoltava De Andrè ti si ritrova ovunque Sandra, non credere di essere riuscita a mimetizzarti completamente! 😀

  • Brunilde

    OPS! Proprio oggi leggo che la ex moglie di Emmanuel Carrere, fresca di divorzio, è inviperita per l’utilizzo della sua persona all’interno dell’ultimo libro ” Yoga “, candidato al premio Grancourt e già successo editoriale in Francia ( In italia arriverà primavera prossima, pubblicato da Adelphi, son già qui che fremo ). Madame invoca il diritto alla privacy e sostiene che Carrere racconta un sacco di balle. Decisamente, ogni storia ha sempre diverse angolazioni, non a caso la chiamano autofiction. Certo pone problemi di onestà intellettuale e di rispetto per gli altri.

    • Elena

      AHAHAHAHAH mò il divorzio gli costerà il doppio :D!!! Mi sa che gli è scappata la frizione… Va bene l’autofiction, ma il rispetto bisogna mantenerlo…

  • Brunilde

    Concordo. In ciò che scriviamo ci siamo noi, sempre e comunque. Io ho trovato il coraggio di esordire col mio “Mora mora” raccontando del mio incontro con un paese lontano ed esotico, scrivendo la mia storia e le storie della gente del luogo. Forse era l’unico modo per rompere il ghiaccio.
    Comunque mi piacciono le storie autobiografiche, e amo tantissimo uno scrittore come Emmanuele Carrere che riesce sempre ad infilarsi nelle storie che racconta, o parla di sè attraverso le storie degli altri. E’ una sorta di nuovo genere, l’hanno definita autofiction.
    Non amo le etichette ma trovo molto autentico e incisivo quel modo di scrivere.

    • Elena

      Ciao Brunilde, grazie per averci parlato di Emmanuel Carrère, che non conoscevo e che trovo molto affascinante. Ho scoperto che viene dal cinema, che ha sceneggiato George Simenon e che ha scritto parti di Les Revenant (che ho visto e apprezzato). Scrive dentro le storie come se vi avesse assistito, ma non sono le sue storie. Così almeno capisco. Una tecnica cinematografica utilizzata per esempio nelle riprese, come un primo piano continuo. Interessante applicarla al romanzo , anche se giallo, magari riuscire a inventare un genere come ha fatto lui. Io la penso come te: il nostro esordio è molto spesso davvero nostro. Il tema è come continuare. Dobbiamo pescare nel nostro vissuto o sforzarci di guardare oltre? Questo è il mio cruccio, cara amica mia

  • newwhitebear

    Nelle nostre storie c’è sempre qualcosa di personale per il semplice motivo che la nostra storia la conosciamo bene mentre è più complicato progettare una storia senza riferimenti personali.
    Per chiarire. Supponendo che non ci siano riferimenti personali al proprio vissuto la nostrab fantasia o immaginazione rappresenterà quello che in qualche modo sarebbe stato il nostro desiderio non realizzato di vivere. Quindi in un modo obliquo rientriamo dalla finestra. Ancora l’ambientazione sarà qualcosa di familiare, di conosciuto. Anche in questo caso noi alla fine ci siamo sempre.

    • Elena

      Verissimo Gian, noi ci siamo sempre. Mi chiedo però se l’esercizio di rottura, o se preferisci di allontanamento dai nostri legami e dunque dalla nostra storia, non aiuti a far viaggiare l’immaginazione. Non è una domanda retorica quella che mi sto ponendo, e dunque non ho una risposta definitiva mi sto interrogando. Sento una pesantezza dentro di me quando torno sui nodi che ho chiamato irrisolti che penso danneggi la mia scrittura. La collego al vissuto che torna, ma posso sbagliarmi

      • newwhitebear

        L’esercizio di rottura… comprendo i tuoi dubbi ma rompere completamente proprio no. Secondo me stimola l’immaginazione, perché cerchiamo delle altre strade per esprimerci anche se qualche traccia rimane comunque.
        Ad esempio ho scritto una storia ambientata a Milano e a Punta Ala. Niente di personale ma ho comunque pescato dai ricordi milanesi e della vacanza a Punta Ala semplicemente per l’ambientazione.

        • Elena

          Sì chiaro, il tema però non sono i ricordi ma ciò che ho chiamato nodi esistenziali da sciogliere. Una volta che lo hai raccontato, lascialo andare, questo intendo. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: se il nodo esistenziale che vogliamo raccontare, fammi dire se risultasse più chiaro “il messaggio” che vogliamo trasmettere, fosse il rapporto conflittuale madre/figlia, nella nostra produzione credo dovrebbe trovare spazio una volta, al massimo due se ci accorgessimo che non è stato “sciolto” abbastanza. Ma se ad esempio volessimo raccontare le nostre frustrazioni legate a un fatto, un rapporto, un elemento della nostra vita ancora appunto irrisolto, o al contrario le nostre gioie, dovremmo pescare una volta e una volta soltanto nel vissuto. Mi viene in mente Zeno Cosini, personaggio irripetibile e devastato dai tormenti e dalle sue piccole e grandi strutture e sovrastrutture caratteriali. Ogni cosa che scriviamo deve provare ad essere unica. Questo intendo. Ma parlo anche di me come persona e non solo come narratrice, per dire che tornare sul dolore e raccontarlo è una sorta di tortura che non meritiamo né noi né la nostra scrittura. Perciò convengo con te e ti ringrazio per questa discussione che una rottura completa non sia possibile. Ma spero di aver chiarito meglio cosa intendevo quando ho scritto questo articolo … Buona giornata!

          • newwhitebear

            Chiarissima risposta. Certamente se abbiamo dei nodi irrisolti questi vanno chiariti. Probabilmente quando con l’immaginazione vogliamo rappresentarli ed eventualmente sciogliere, qualcosa di personale c’è ance se sfumato.
            Buona serata

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